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venerdì 20 giugno 2025

ADOLESCENTI E VALORI


 
 Per adolescenti 

in deficit emotivo

nuove risposte educative 

sui valori

 

Centinaia di giovani sondati per ascoltarne gli stati d’animo e cogliere i princìpi ai quali ispirano la vita. Con alcune sorprese.

I quattro profili dallo studio dell’Osservatorio legato all’Università Cattolica: ambiziosi bilanciati, leader socialmente orientati, altruisti prudenti e indipendenti distaccati

Una generazione che fatica a governare i suoi sentimenti mostra di essere felice solo quando unisce obiettivi personali e apertura agli altri

La fotografia dell’Istituto Giuseppe Toniolo

 -         di ELENA MARTA*

-          I fatti di cronaca delle ultime settimane hanno prepotentemente costretto la società civile, le istituzioni, le famiglie a soffermarsi a riflettere su come stiano vivendo l’adolescenza i ragazzi e le ragazze e hanno messo in luce una crescente emergenza emotiva, che si manifesta in diversi ambiti e modalità e che sottende una preoccupante emergenza educativa.

Nella società dell’analfabetismo emotivo e dell’iperconnessione digitale si parla spesso della necessità di educare ai sentimenti. Ma con quali strumenti? Una nuova ricerca dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, pubblicata nel Rapporto Giovani 2025 (ed. Il Mulino), suggerisce una strada concreta e forse inaspettata: partire dai valori. Capire, cioè, quali princìpi guidino la giovane generazione nelle sue scelte quotidiane e come questi orientamenti si intreccino con il suo benessere emotivo. Il capitolo, firmato da Iori, Ellena, Marzana, Martinez Damia e Marta, si basa su un’indagine condotta su un campione rappresentativo per età, genere, area geografica e tipo di scuola, composto da 800 adolescenti. La ricerca si è servita di un questionario basato sulla teoria dei valori di Schwartz, che individua dieci domìni valoriali (tra cui potere, successo, edonismo, stimolazione, autodirezione, universalismo, benevolenza, tradizione, conformismo e sicurezza), che possiamo considerare un po’ come “motori” dell’agire umano.

I quattro gruppi

L’ analisi ha permesso di identificare quattro gruppi di adolescenti, ognuno con un proprio profilo valoriale differente.

- Il gruppo di ambiziosi bilanciati: sono ragazzi e ragazze che puntano al successo e all’indipendenza, ma senza trascurare la stabilità e il rispetto per gli altri. Potremmo immaginarli come studenti determinati a ottenere buoni risultati scolastici, ma attenti anche al clima di classe e al proprio equilibrio personale.

- Il gruppo di leader socialmente orientati: sono giovani molto ambiziosi, che vogliono farcela nella vita, ma attribuendo valore alla collaborazione, alle regole e alla giustizia sociale. Sono quelli che partecipano con entusiasmo, guidano progetti scolastici e si mettono a disposizione degli altri.

- Il gruppo di altruisti prudenti che mostrano poco interesse per la competizione o il potere. Cercano ambienti sicuri, relazioni affidabili e agiscono per il bene comune. Magari non alzano la voce, ma sono quelli su cui si può contare davvero.

- Il gruppo di indipendenti distaccati, infine, appaiono più disillusi: danno poco peso sia alle ambizioni personali sia ai valori sociali. Tendenzialmente meno coinvolti, fanno più fatica a trovare un orientamento valoriale chiaro, e anche emotivamente si mostrano più spenti. T ra le variabili demografiche analizzate, solo la tipologia di scuola frequentata ha mostrato una relazione significativa con i profili valoriali: gli istituti tecnici tendono ad accogliere più “ambiziosi bilanciati”, i professionali più “leader socialmente orientati”, mentre nei licei prevalgono gli “altruisti prudenti”. Questo fornisce un dato empirico a un sentire comune: anche i percorsi formativi hanno una relazione con i valori. Ma ciò che colpisce maggiormente è il forte legame tra valori e stati emotivi (disperazione, ottimismo, gioia, speranza, desiderio di lottare). Il dato forse più sorprendente (ma neanche così tanto, a pensarci bene)? I giovani e le giovani che provano più ottimismo, gioia, speranza e desiderio di lottare appartengono al gruppo di leader socialmente orientati; non sono quindi le persone più egocentriche quelle che stanno meglio, ma quelle che sanno coniugare i propri obiettivi con l’apertura verso l’altro. Al contrario, chi è più distaccato mostra meno positività. Una lezione preziosa, che va in controtendenza rispetto ai miti dell’individualismo contemporaneo. La speranza – sentimento oggi tanto fragile nella giovane generazione – sembra germogliare proprio là dove si coltivano valori di cura e rispetto.

Questo porta a una riflessione operativa: di fronte al disagio emotivo degli adolescenti non bastano risposte cliniche o individuali. Servono anche prospettive educative, comunitarie, preventive. Parlare di emozioni, oggi, significa anche interrogarsi su quali valori collettivi vogliamo trasmettere. Valori che aiutino i ragazzi e le ragazze a sentirsi parte di qualcosa di più grande, che diano senso alle difficoltà, che accendano fiducia. Possiamo garantire interventi di questo tipo, insieme a quelli terapeutuci?

Educare ai valori

Ecco allora un messaggio potente: educare ai sentimenti significa anche educare ai valori. Coltivare valori come la cura, la solidarietà, la giustizia e l’empatia non è solo una questione etica, ma una via concreta per nutrire benessere emotivo e speranza. In un tempo in cui molti e molte adolescenti si sentono smarriti/ e o schiacciati/e da aspettative e solitudini, ripartire da una riflessione sui valori del nostro tempo è forse il gesto educativo più urgente e più necessario. P erché questa riflessione sia efficace e si traduca concretamente in un cambiamento, come è stato evidenziato nel volume Adolescenti e vita emotiva (ed. Vita e Pensiero, a cura di Iori, Ellena, Marta), sono ormai non solo necessarie ma urgenti alcune azioni. In primo luogo, è necessario mettere in atto un ascolto reale della voce dei giovani, progettare e realizzare azioni con loro e non per loro. Si tratta di favorire occasioni, luoghi, esperienze che facilitino la costruzione di progetti di sé e di senso per la propria esistenza. Occorre poi offrire spazi fisici e di senso, guidati da professionalità capaci e riconosciute, in grado di ricevere le domande degli stessi adolescenti e di offrire incontri e relazioni intergenerazionali. In secondo luogo, è importante superare un concetto di genitorialità intesa in modo privato per accedere a una genitorialità e generatività sociali. Occorre supportare i genitori nell’andare oltre stili educativi incerti e contraddittori che producono comportamenti soffocanti o eccessivamente tolleranti e comunque incapaci di negoziare i divieti. È però anche importante attivare progetti non solo focalizzati su temi strettamente “genitoriali” ma ricordarsi che i genitori sono uomini e donne, con i loro bisogni, fatiche e desideri. È bene, quindi, offrire anche occasioni e momenti di incontro spontaneo, “leggero” tra adulti che sono anche genitori. I n terzo luogo, nella consapevolezza che la scuola è un elemento fondamentale nella vita degli /delle adolescenti anche per la sua capacità/ possibilità di sviluppo di comunità, è indispensabile aiutare questa istituzione a compiere scelte coraggiose che la configurino non solo come agente di trasmissione di conoscenze e saperi ma anche come agenzia educativa in senso pieno, attenta alla formazione esistenziale ed emotiva.

Patti educativi

Infine, è necessario ricostruire patti educativi e comunità educanti che coinvolgano scuole, Pubbliche Amministrazioni, Regioni, Comuni, Asl, Terzo settore, il Privato sociale (e non), Parrocchie, Oratori, Centri sportivi e altre realtà aventi finalità educative, servizi socioeducativi per ri-fare comunità, contrastare l’isolamento e l’indifferenza reciproca, recuperare il senso del “noi”, costruire un “abitare insieme” il mondo, che promuova empatia, solidarietà, fiducia e speranza.

 

*Docente di Psicologia sociale e di comunità all’Università Cattolica Membro del Comitato scientifico dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi superiori

 

www.avvenire.it

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lunedì 5 maggio 2025

GIOVANI E SPERANZA


 La difficile speranza dei giovani italiani

 

Tra le nuove generazioni di italiani la speranza non è un sentimento molto diffuso. E lo è meno tra le donne rispetto agli uomini e tra chi abita nel Nord Est rispetto a chi vive nel Sud e nel Nord-Ovest. In generale, esprimono sentimenti di speranza nel futuro meno di un giovane italiano su due. D’altra parte, è evidente che le giovani e i giovani che percepiscono più speranza sperimentano un maggior benessere emotivo, sociale, e psicologico oltre a una maggiore soddisfazione di vita.

Sono alcuni tra i dati salienti di una originale ricerca sulla Speranza curata dai ricercatori dell’Università Cattolica per lOsservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, che ha esplorato il tema cui è dedicato il Giubileo 2025. “Università laboratorio di speranza” è anche il titolo della Giornata per l’Università Cattolica  celebrata domenica 4 maggio (www.giornatauniversitacattolica.it).

Diventa dunque di grande interesse indagare ciò che intendono i giovani per “speranza”, in cosa la fanno consistere, dove e come ne fanno esperienza.

Oltre alla serie di domande dirette al campione, la ricerca utilizza una misurazione della speranza più articolata come la Scala integrata della Speranza, basata su quattro componenti: la percezione di Controllo e la competenza personale nel plasmare il proprio futuro (?Personal Mastery); la percezione di avere Supporto dagli altri; la Fiducia in sé e negli altri; la Spiritualità.

La componente che presenta punteggi medi più elevati è il Supporto, seguito dal Personal Mastery, dalla Fiducia e infine, dalla Spiritualità. Le prime due componenti mostrano un punteggio medio-alto, le ultime due medio -basso

Ma cosa determina la speranza nei giovani? Dalle analisi emerge che la speranza è determinata soprattutto dall’aver trovato un significato al vivere, a seguire dalla soddisfazione dei bisogni psicologici di base (sentirsi competenti, sentirsi autonomi e sentire di avere relazioni significative), dalla religiosità e dalla ricerca di significato. 

Alcuni dati specifici dell’indagine

AREA GEOGRAFICA: Se consideriamo il sentirsi speranzoso/a in relazione all’area di residenza emerge che i più speranzosi sono le giovani e i giovani del Nord-Ovest, anche se le variazioni sono di pochissimi punti%: le giovani e i giovani che si dichiarano molto o moltissimo speranzosi sono il 47,6% nel Nord-Ovest, il 44% nel Nord -Est, il 45% al Centro e il 46,2% al Sud e isole.

Se consideriamo le componenti della Speranza vedremo che il Nord-Ovest registra valori superiori in Fiducia rispetto al Sud e alle Isole (punteggi medi: Nord- Ovest: 2.94 – Sud e isole: 2.60; range della scala 1-5) mentre quest’ultima area si distingue per un livello di Spiritualità superiore rispetto al Centro e al Nord-Ovest (punteggi medi Sud e Isole: 2.76 – Nord-Ovest: 2.58; Centro: 2.54; range della scala: 1-5).

CONDIZIONE LAVORATIVA: Si riscontrano differenze statisticamente significative in Personal Mastery, Supporto e Spiritualità tra chi lavora e chi non lavora: i lavoratori mostrano punteggi medi superiori rispetto a chi non lavora.

BENESSERE: Chi ha livelli più alti di speranza riporta un maggior benessere emotivo, sociale, e psicologico oltre a una maggiore soddisfazione di vita rispetto a chi ha livelli più bassi di speranza.

VOLONTARIATO: La speranza – nello specifico le componenti di Personal Mastery, Supporto e Spiritualità – risulta più elevata tra coloro che attualmente svolgono attività di volontariato – sia continuativa sia saltuaria – rispetto a chi non l’ha mai praticato e rispetto a chi lo ha fatto solo in passato.

Il commento di Elena Marta, professore ordinario di Psicologia sociale e di comunità all’Università Cattolica

“Colpisce il fatto che circa metà dei giovani, e soprattutto delle giovani, nutrano poca speranza proprio in una fase della vita che dovrebbe essere ricca di progettualità, sogni, voglia di futuro. Anche perché i dati ce lo mostrano chiaramente: avere speranza impatta sul benessere e sulla qualità della vita in generale. È interessante come questi, e altri dati che stiamo elaborando, mostrino una stretta relazione tra speranza e possibilità di dare un senso al vivere. In questi momenti carichi di ansia e preoccupazione, la speranza offre la possibilità di ritrovare un orizzonte di senso e con questo un orizzonte di futuro, la possibilità non solo di sopravvivere agli affanni quotidiani, ma di fare un’esperienza di vita piena, per sé e per gli altri, dove anche l’impegno civico e solidale trova spazio e offre categorie di senso. È quindi importante offrire ai giovani luoghi intergenerazionali di ricostruzione di senso del vivere, di trame di fiducia e di speranza”.

Nota metodologica

La ricerca è stata condotta tra il 17 febbraio e il 3 marzo 2025 presso un campione di 2001 giovani italiani tra i 18 e i 34 anni secondo quote rappresentative di genere, età, titolo di studio, condizione lavorativa e area geografica di residenza. Le interviste sono state effettuate tramite metodologia CAWI (Computer Assisted Web Interview).

È stata realizzata da Ipsos per l’Osservatorio Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo, ente fondatore dell’Università Cattolica, con il sostegno di Fondazione Cariplo e condotta dai docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore: Elena Marta, professore ordinario di Psicologia sociale e di comunità, Daniela Marzana, professore associato di Psicologia sociale e di comunità e Adriano Mauro Ellena, assegnista di ricerca in Psicologia sociale e di Comunità.

 

Istituto Toniolo

venerdì 19 marzo 2021

DIDATTICA A DISTANZA, LUCI E OMBRE


DAD- PARLANO GLI STUDENTI: 

DURANTE LE LEZIONI IL 96% HA CHATTATO CON I COMPAGNI, l’88% HA MANGIATO E QUASI 1 SU 4 HA CUCINATO

-  Sono i dati dello studio di Parole O_Stili e Istituto Toniolo, condotto con il supporto tecnico di Ipsos: è peggiorata la capacità di seguire le lezioni e la relazione con i professori. Solo il 17% dei genitori ha imposto limiti di tempo nell’utilizzo dello smartphone, il 14% nell’accesso ai social e il 13% nell’accesso ad alcuni giochi on line. Il 77% degli studenti vuole tornare in presenza, continuando a utilizzare gli strumenti digitali, ma in modo più efficace per l’apprendimento.

Dopo un anno di didattica a distanza, oltre il 40% degli studenti ha percepito un peggioramento nelle proprie attività di studio e il 65% fatica a seguire le lezioni. Il 96% durante la DAD ha chattato con i compagni, l’89% è stato sui social media, l’88% ha consumato cibo e il 39% ha cucinato.

È quanto emerge da una ricerca di Parole O_Stili e Istituto Toniolo, condotta con il supporto tecnico di Ipsos, su oltre 3.500 studenti della scuola secondaria. I dati presentati il 17 marzo a “Didacta” .

In allegato il comunicato stampa e le grafiche.

 Itsituto Toniolo

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Dad, un anno in giostra «Ma il digitale è il futuro»

 

-         di PAOLO FERRARIO

 Quattro studenti su dieci hanno percepito un peggioramento nelle attività di apprendimento e il 65% ha faticato a seguire le lezioni. Quasi tutti (il 96%) hanno chattato durante le lezioni a distanza, l’88% ha consumato cibo e il 39% ha addirittura trovato il modo (e il tempo) per cucinare. E ancora. Per il 60% dei docenti, con la pandemia aumenteranno gli alunni che non arriveranno al diploma di scuola superiore e la stessa percentuale di insegnanti è convinta che il Covid-19 abbia aumentato il divario tra gli studenti, tra chi ha più risorse economiche e chi ne ha meno. In ogni caso, però, quasi 3 studenti su 4 ritengono che, nell’emergenza, la scuola e i docenti abbiano dimostrato la capacità di evolversi e il 47% dei ragazzi e il 63% dei docenti auspica che, anche nel futuro libero dal coronavirus, il digitale continui ad essere presente nella scuola. Ha parecchie ombre, ma anche qualche luce, il bilancio del primo anno di didattica a distanza nelle scuole italiane, realizzato dall’associazione Parole O_Stili e dall’Istituto Toniolo, con il supporto tecnico di Ipsos. La ricerca è stata condotta su un campione di oltre 3.500 studenti di scuola superiore e circa 2mila insegnanti della scuola primaria e secondaria.

Il primo dato che emerge con forza è la grande quantità di tempo che, negli ultimi dodici mesi, bambini, ragazzi e adolescenti hanno trascorso online, collegati con professori e compagni di classe, ma anche (spesso e volentieri) con gli amici per attività non inerenti allo studio. Di fatto, all’82,75% degli studenti del campione non è stata posta nessuna limitazione di tempo nell’utilizzo dello smartphone da parte dei genitori, così come l’87,43% ha avuto libero accesso ai giochi online e l’85,64% nessun vincolo all’utilizzo dei social network. Una libertà che, però, non è bastata per migliorare la qualità delle relazioni che, anzi, è peggiorata per un terzo degli studenti, per quanto riguarda i rapporti con compagni e professori.

«Studenti, docenti e genitori sono stati un po’ abbandonati in questo lungo anno di didattica a distanza», afferma Rosy Russo, presidente di Parole O_Stili, che sollecita il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, a «introdurre in tutte le scuole un’ora di cittadinanza digitale alla settimana».

Sulle «fatiche» della Dad insiste Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica e coordinatore scientifico di Laboratorio futuro dell’Istituto Toniolo. «Non è questa la scuola che i ragazzi desiderano», ricorda lo studioso. «Sia studenti che insegnanti – aggiunge Rosina – vorrebbero un maggior uso in futuro del digitale, non in funzione sostitutiva ma come arricchimento dell’attività didattica, in grado di stimolare di più, di coinvolgere in modo attivo, di mettersi in sintonia con nuovi modelli di apprendimento ».

 www.avvenire.it

 

 

 

 

 

venerdì 10 luglio 2020

LA "GENERAZIONE Z" IN CERCA DI UNO SGUARDO DI VERA FIDUCIA


La nuova fotografia del Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo sulle relazioni dei ragazzi nati tra il 1997 e il 2012
Gli adolescenti oggi testimoniano una buona qualità dei rapporti familiari ma patiscono le stesse ambivalenze del mondo adulto, sentendosi fragili.
Occorre guardare al fenomeno adolescenza attuale non limitandosi a concentrarsi su ciò che manca ma cercando di valorizzare il bene che c’è perché possa esprimersi al meglio 
Chi ha la responsabilità di guidare i ragazzi deve aprirgli uno spiraglio di speranza per farli uscire dalla «liquidità»


PAOLA BIGNARDI*
ELENA MARTA

Quale sguardo siamo soliti posare sui giovani nati tra il 1997 e il 2012, i membri della cosiddetta Generazione Z, i fratelli minori dei Millennials, i primi veri nativi digitali? Una generazione nata e cresciuta in un mondo fortemente connotato dalla guerra al terrorismo seguita all’11 settembre, che ha vissuto gli esiti di una forte crisi economica e che ora, nel pieno della sua adolescenza e transizione all’età adulta, sta vivendo un’emergenza pandemica inedita e inattesa. Cosa vediamo quando li guardiamo? La loro condizione di rischio, in parte fisiologica data la fase che stanno vivendo e in parte legata alle letture mass-mediatiche dei 'rischiologi'? La loro visione concreta e realista, che sembra porre in secondo piano sogni e ideali? La loro capacità di appassionarsi per le condizioni ambientali del nostro pianeta, di scendere in piazza, di delineare scenari futuri di sviluppo, con competenza e caparbietà, alternando momenti di serietà con momenti di gioiosa confusione?
Non è indifferente lo sguardo che posiamo su di loro perché da esso discende il modo con cui li sappiamo valorizzare o squalificare, accompagnare e sostenere o dominare e mortificare e da cui, certo in maniera non deterministica ma possibile, a sua volta deriva il modo con cui si penseranno cittadini nelle loro comunità di vita. C onsapevole di questo, nel 2016 l’Istituto Toniolo, attraverso il suo Osservatorio Giovani, ha dato avvio alla ricerca nazionale longitudinale denominata «Generazione Z», giunta alla sua quarta rilevazione, che ha coinvolto mediamente 6mila adolescenti all’anno, studenti di diversi tipi di scuole secondarie superiori (licei, istituti tecnici e istituti professionali). In questa ricerca abbiamo deciso di guardare gli adolescenti con uno sguardo né malevolente né benevolente a priori, quanto piuttosto curioso, empatico, non giudicante ma nemmeno de-responsabilizzante, accogliente ma connotato dalla fermezza che dovrebbe caratterizzare l’adulto che si assume, in maniera generativa, la responsabilità di far crescere la generazione successiva alla propria. Abbiamo deciso di metterci in ascolto della loro voce, dei loro desideri, dei loro sogni. Ma anche di considerarli come soggetti-in-relazione con pari e adulti e soggetti-nei- contesti di vita che con essi condividono.
Dal punto di vista scientifico abbiamo assunto come frameworkteorico il «Positive Youth Development», un approccio nato all’interno della psicologia degli interventi di comunità che, pur non dimenticando i rischi e le difficoltà dell’ado- lescenza, focalizza l’attenzione contemporaneamente sia sui talenti delle persone sia sui contesti relazionali in cui essi possono svilupparsi e venir valorizzati.
Q uesto framework ci ha consentito di considerare gli adolescenti come persone nella loro pienezza senza ridurre i loro talenti a profili di competenze standard, ma valorizzandoli in termini di qualità personali che hanno un valore in sé e danno valore al Sé di ciascuno. Inoltre, focalizzare l’attenzione sui contesti relazionali ha significato per noi trattare il tema di ciò che fonda il legame interpersonale e sociale, ovvero la fiducia. Costrutto relazionale per eccellenza, essa si compone di tre aspetti: cognitivo, ovvero le informazioni che si possiedono sull’altro e le strategie co- gnitive che si possono utilizzare per prevedere il suo comportamento; emotivo, ovvero la paura di fidarsi dell’altro o, al suo opposto, un coinvolgimento 'cieco' e acritico nelle relazioni; pro-sociale o morale, ovvero l’interesse non tanto e non solo per sé, non tanto e non solo per l’altro, quanto soprattutto per la relazione. Non una relazione purchessia, ma una relazione generativa, attraversata dalla dinamica del dono, che sempre porta con sé gratuità e obbligo, riconoscimento dell’altro e gratitudine. Ecco perché lo sguardo che poniamo sui giovani è importante: se la fiducia è un prerequisito affinché la relazione si generi, è lo sguardo che noi poniamo sull’altro – e viceversa – che di fatto genera il legame o lo rigenera nel caso si sia incrinato o rotto.
L o sguardo degli adulti sui giovani dunque non è privo di conseguenze. Ecco perché è così importante guardare alla Generazione Z con fiducia e studiare la qualità delle relazioni che essa vive nei diversi contesti della sua quotidianità: per dare avvio a questo circolo relazionale virtuoso che offre senso al vivere e fonda il convivere con gli altri e con le altre generazioni.
Ecco perché abbiamo dedicato al tema della fiducia e delle relazioni significative degli adolescenti un capitolo del Rapporto Giovani 2020 (edito dal Mulino) e più diffusamente ne tratteremo nella pubblicazione di prossima uscita a fine luglio per i tipi di Vita e Pensiero.
Le relazioni indagate sono quelle con i familiari, padre, madre e fratelli/sorelle; con il partner e con i pari; con compagni di squadra e allenatori. Alle relazioni con gli insegnanti era stato dedicato il volume precedente. In generale i dati della ricerca ci mostrano che la qualità delle relazioni familiari è buona e che la mamma continua a rimanere la figura cardine delle relazioni degli adolescenti. Vale la pena notare, però, che anche con il padre vi sono relazioni positive: in particolare i dati pongono in luce un interessante asse padre-figlio maschio. È questo un dato che conferma come si sia chiusa l’epoca dei cosiddetti 'padri pallidi': il padre non ha più una posizione marginale ma è difficile definire i contorni della sua presenza all’interno del nucleo familiare.
Un altro elemento interessante è l’intensità con cui sembra che questa generazione viva le relazioni al Sud: sia gli aspetti più positivi sia quelli più critici, in questa parte del nostro Paese sono vissute 'al massimo', e restituiscono l’immagine di relazioni ricche e vive. Lo stesso profilo sembrano avere le relazioni per le sorelle rispetto ai fratelli.
Chi sono, dunque, i giovani e le giovani della Generazione Z? Sono persone/ cittadini in formazione che sperimentano più degli adulti le ambivalenze del vivere: sono figli delle libertà autoespressive e sono vittime di uno scenario sociale che li rende fragili ed esclusi. In questo non sono diversi dalla generazione adulta, con la quale oggi purtroppo troppo spesso condividono la difficoltà di dare una direzione e un senso coerente al proprio vivere. Come gli adolescenti delle generazioni precedenti hanno sogni e desideri, ancorati al loro tempo. E come ci siamo spesso trovate a dire, riconfermiamo che spetta a ogni generazione assumersi le proprie responsabilità. Agli adulti viene chiesto costantemente di assumersi le proprie responsabilità, termine molto usato soprattutto in questi tempi, che nella pratica però si traduce in stretti e impervi sentieri poco frequentati. È nostra la responsabilità di iniziare a guardare al 'fenomeno adolescenza' con occhi diversi: non solo puntare il dito su ciò che non funziona, che manca, che crea disagio o problemi, ma anche e soprattutto valorizzare ciò che già c’è e che ha bisogno di essere sostenuto per potersi esprimere al meglio. È responsabilità della generazione adulta aprire lo spiraglio alla speranza d’uscita dalla liquidità baumaniana, che significa rendere pensabile e possibile la speranza in un mondo veramente a misura di persona, capace di valorizzare i talenti di ciascuno/a e rinforzi costantemente quei circoli virtuosi di fiducia che rendono la vita degna di essere vissuta.

*Paola Bignardi è coordinatrice dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo Elena Marta è componente dell’Osservatorio Giovani docente di Psicologia sociale e di comunità all’Università Cattolica




sabato 11 aprile 2020

VIRUS E GIOVANI. L'ETA' DELL'INCERTEZZA

L’Istituto Toniolo: più timori sul futuro, ma si riscopre il valore proprio e degli altri
I dati dell’indagine mostrano una generazione che considera la pandemia una frattura nei percorsi individuali e collettivi

di ALESSANDRO ROSINA*

C’è un mondo nuovo da costruire dopo la crisi sanitaria. La pandemia, con i suoi rischi e le sue implicazioni ci costringe a farlo, forzandoci a rimettere in discussione molti dei punti di riferimento su cui era costruita la nostra quotidianità passata in termini di vita privata, sociale, scolastica, lavorativa. Ma questo tempo e questa prova possono essere trasformati in un’opportunità unica per guardarci individualmente dentro e guardare collettivamente oltre. La crisi ci dice, al massimo, cosa non possiamo più essere e fare, ma sta a noi decidere cosa diventare dopo questa esperienza. La Bibbia è piena di momenti di passaggio, di abbandono di un luogo e di una condizione per assumere l’impegno di un nuovo inizio. La Pasqua stessa ha alla base un desiderio di rinnovamento che trasforma quello che la realtà ci presenta come un fallimento o una perdita in rinascita che apre nuovi orizzonti di senso e di valore.
Nel nuovo orizzonte saranno soprattutto i giovani a dover riprogettare le proprie vite, a dare spinta e direzione a un nuovo percorso comune. L’indagine promossa dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, condotta da Ipsos a fine marzo, aiuta a capire come le nuove generazioni interpretano questo passaggio collettivo e come si inserisce nel loro passaggio verso la vita adulta. I dati ci dicono che se, come evidenziato in varie ricerche passate, le generazioni italiane presentavano una forte incertezza nei confronti del futuro, il nuovo scenario creato dalla pandemia ha aggiunto un ulteriore strato di incertezza, che può scendere in profondità e diventare insicurezza se non gestito nel modo adeguato.
È importante notare come la crisi sanitaria non sia considerata solo una emergenza temporanea a cui resistere per tornare a vivere come prima, ma venga letta come una disconti- nuità nei percorsi individuali e nei modelli sociali e di sviluppo. Conta quindi come verrà gestita l’emergenza ma anche le premesse poste come prospettive sul dopo. L’adozione da parte del Governo di misure eccezionali di interesse generale e la situazione di emergenza da affrontare in modo compatto – nonostante qualche improvvisazione e contraddizione – portano gli intervistati a rafforzare più che a ridurre la fiducia nell’esecutivo: a fronte di un 27,3% che afferma di aver rivisto al ribasso il giudizio, il 29,7% lo ha invece migliorato. Più critico risulta, invece, il giudizio verso i partiti: il 40% ha accentuato la sua visione negativa nei loro confronti. Evidentemente, in un momento così grave, a essere apprezzate più che divisioni e strumentalizzazioni sono le posizioni responsabili.
Del resto, la prova che l’Italia deve affrontare richiede fiducia e responsabilità da parte di tutti, cittadini e istituzioni. Forti sono, infatti, le preoccupazioni sulla tenuta del Paese e sulle condizioni sociali. Quasi due giovani su tre si aspettano conseguenze complessivamente negative, soprattutto sulla dimensione economica e occupazionale. Ma inquietano anche le possibili ricadute sul reddito delle famiglie, sulla tenuta del welfare pubblico e sull’inasprimento delle diseguaglianze. Se gli intervistati intravedono aspetti positivi sul campo delle nuove tecnologie (smart working, commercio online, competenze digitali), meno chiaro è come evolverà lo scenario rispetto alle relazioni sociali e alla cura del bene comune. Ma proprio su questi aspetti si giocherà la differenza tra un Paese che dimostra di avere risorse personali e collettive per guardare oltre i limiti del passato e rigenerarsi e uno invece che si accontenta di adattare il declino a una nuova normalità. Gran parte dei giovani intervistati sembra voler scommettere sulla prima opzione. Prevalgono decisamente, infatti, gli intervistati che dicono che in questo periodo hanno scoperto di poter contare maggiormente su sé stessi e sugli altri, di sentirsi più capaci di far fronte a cambiamenti e riconoscere nuove opportunità, di dar maggior valore alla vita. Questa energia positiva può diventare la miglior spinta del Paese per un nuovo inizio.

*Coordinatore scientifico dell’Osservatorio Giovani Istituto Toniolo