La
percezione che si ha della scuola è ormai lontana dalla realtà. È un mondo
completamente sfrangiato, che va avanti solo per la dedizione di alcuni
-
di Laura Giulian
La
scuola oggi è quel luogo in cui arrivano migliaia di euro da spendere
obbligatoriamente solo per lo sviluppo dell’ambito tecnologico-informatico, ma
non c’è nemmeno una macchinetta del caffè da più di due anni perché
semplicemente è scaduto il bando con la ditta appaltatrice e per una questione
di sicurezza non è possibile usare una banale macchina automatica a cialde in
aula docenti.
La
scuola è quel luogo in cui le aziende fanno pressione per fare l’orientamento
verso la scelta della scuola superiore, preferibilmente tecnica o
professionale, mostrando che tipo di figure professionali servirebbero nel
mondo del lavoro e richiedendo molta qualità, ma è anche lo stesso luogo in cui
alunni di terza piangono sconfortati, fragili, confusi, perché non hanno nel
cuore nessuna direzione per il futuro.
La
scuola è quel luogo in cui viene richiesta una formazione continua, complessa e
in costante evoluzione da un anno all’altro rispetto a stesura di documenti,
valutazione, Rav, Ptof, Invalsi, anno di prova, Pei, ma poi mancano i soldi per
comprare dei palloni per la palestra, necessari per qualsiasi attività minima
da progettare.
La
scuola è quel luogo in cui si fanno tanti progetti, spesso nemmeno voluti dai
docenti stessi che sono i primi che vorrebbero fare molta più didattica. Spesso
è il territorio in cui si è insediati che li richiede per tessere relazioni,
per fare rete, per offrire occasioni, ma poi mancano le relazioni base ai
nostri alunni, quelle cresciute a casa, quelle che insegnano l’abc dei
sentimenti, oggi svuotati di contenuto.
La
scuola è quel luogo in cui dall’esterno in molti spingono verso l’ambito
scientifico-tecnologico, un’iniziativa giusta ed opportuna, ma è al contempo il
luogo in cui ci scontriamo quotidianamente con un grosso analfabetismo emotivo
e una grossa povertà umana e relazionale.
La
scuola è quel luogo in cui il lavoro sommerso è aumentato in modo incalcolabile
per i docenti: le famose “18 ore” che tutti credono non esistono più da tempo,
le responsabilità professionali richieste sono davvero enormi e purtroppo la
didattica è l’ultima tra queste, ma è anche lo stesso luogo in cui lo stipendio
è rimasto bloccato e un docente che vive da solo, con l’affitto o il mutuo da
pagare, fatica ad arrivare a fine mese.
Queste
non sono né critiche, ne giudizi. Non è nemmeno una lamentela. Ogni lavoro,
ogni epoca storica, ha avuto le sue falle, le sue frustrazioni, come pure le
sue evoluzioni di novità e le sue meraviglie. È oggettivamente innegabile,
però, come sia avvenuto un grosso cambiamento all’interno di un mondo che è di
tutti, di cui tutti possono dire qualcosa, fosse solo perché tutti lo hanno
vissuto dall’altra parte della cattedra. Ma proprio come le cose che sono di
tutti, rimangono affamate. “Il cane di due padroni muore di fame”. È un mondo
che pare abbia molti doveri ma che abbia perso per strada i diritti. È un luogo
in cui la buona volontà o la disponibilità gratuita spesso sono il motore
trainante principale, elemento eticamente e moralmente ammirevole, ma
professionalmente distruttivo.
Nei
tantissimi anni di precariato ho incontrato tanti tanti colleghi, molti sono
diventati poi amici. Tutti questi sono animati dal mio stesso spirito di chi
desidera portare su di sé la causa scolastica, di chi la incarna e la vive ben
oltre le “18 ore”, di chi non si lamenta e basta, ma cerca di svolgere ruoli
attivi e “protagonisti”, di chi desidera continuare a sognare e attuare
cambiamenti. Ogni tanto ho la sensazione anch’io però che questi sforzi e
queste aspirazioni finiscano, come per don Chisciotte, in un nulla di fatto. In
quei giorni devo ripensare alla goccia che scava la roccia: quotidiana,
testarda, tenace, umile, piccola, fedele, che non molla di un millimetro. Forse
la scuola è anche questo luogo qui; o forse è questa la vera utopia di chi
continua a sceglierla, nonostante tutto.
Nessun commento:
Posta un commento