Quando
Comenio scoprì la scuola dell’infanzia
«I
genitori debbono allevare ed esercitare i figli prima di affidarli ai
precettori in onore di Dio, per loro conforto ma anche per la beatitudine dei
bambini» Considerato il padre della pedagogia moderna e molto critico con la
scuola dell’epoca, nel 1629 pubblica un testo, ora in nuova edizione italiana,
in cui spiega perché occorre educare i bimbi sotto i 6 anni.
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di SIMONE PALIAGA
«Nessuno,
tuttavia, può supporre che la gioventù possa formarsi spontaneamente e senza
assiduo lavoro appunto se infatti un germoglio che deve trasformarsi in albero
ha bisogno di essere seminato, piantato, annaffiato, protetto con una
recinzione, sostenuto da un tutore; se una statua lignea necessita di essere
sgrossata con l’accetta, intagliata, levigata, scolpita, rifinita, e dipinta
con colori vari; se un cavallo, un bue, un asino, un mulo debbono essere
addestrati a prestare il loro servizio all’uomo, infine se l’uomo stesso
necessita di esercizio nelle attività corporee (affinché acquisisca perizia nel
mangiare, bere, correre, parlare, afferrare con le mani, lavorare); in modo
che, chiedo, quelle cose più elevate e distanti dai sensi, come la fede, le
virtù, la Sapienza e la scienza, possano spontaneamente presentarsi in
qualcuno?». Così scrive Jan Amos Komenský (1592-1670), più conosciuto con il
nome latinizzato di Comenio, il padre moravo della pedagogia e delle scienze
dell’educazione moderne, in un testo poco noto ora pubblicato da Morcelliana.
Si tratta della Scuola dell’infanzia, uscito in traduzione italiana con
l’attenta curatela di Maria Volpicelli (pagine 232, euro 18), che è stato
composto originariamente dall’autore in lingua ceca tra il 1629 e il 1632, e
poi volto, nel corso degli anni successivi, in tedesco e in latino, per essere
in qualche modo di completamento alla sua Didactica Magna.
Vissuto
nel pieno delle guerre di religione che hanno insanguinato l’Europa moderna tra
Cinque e Seicento, e in particolare al tempo della Guerra dei Trent’anni
(1618-1648), il pensatore ceco ha portato su di sé i segni di quel secolo di
ferro, e soprattutto dell’esilio dalla sua terra natia che lo costrinse a
spegnersi ad Amsterdam, settantottenne. Ma non va dimenticato che da quegli
anni Comenio ha ricavato anche l’ispirazione da cui poi è sorta la sua
riflessione sulla pedagogia e la didattica. Se effettivamente, come precisa
Maria Volpicelli, «il suo programma pedagogico e politico è stato concepito in
maniera direttamente funzionale al riscatto della nazione boema», esso ebbe
delle ricadute ben più a lungo termine.
Per
l’umanista boemo, infatti, la riforma dell’istruzione era l’unico modo per
porre rimedio alla crisi culturale e politica che l’Europa stava attraversando
nel Seicento. L’importanza decisiva riconosciuta, dal pedagogista (definizione
quanto mai restrittiva prendendo in esame il suo percorso!) alla formazione,
che si presenta come «emendatio rerum humanarum » e che corre sotterranea in
tutta la sua opera suddivisa in circa sessanta tomi, è ripresa e riaffermata
con decisione nella Scuola dell’infanzia, che già dal titolo indica quanto
nella sua mente albergasse una visione articolata dell’educazione. Occorreva
ideare un sistema pedagogico che non si limitasse a intervenire nell’età
dell’adolescenza ma, per essere efficace, prevedesse l’inizio dell’azione
educativa già negli anni dell’infanzia per poi continuare in ogni fase della vita
degli uomini. Tuttavia il cammino in vita dell’uomo non prevede un modello
didattico standard, da applicarsi a prescindere dall’età e dalla fase di
maturità di ciascuno.
Comenio
era ben consapevole, infatti, della specificità di ogni fase dell’esistenza e
di come ogni suo momento richiedesse un approccio che non ne ignorasse le
caratteristiche particolari. Da qui nacque l’esigenza di pensare la formazione
anche del bambino.
Questa
sensibilità per l’uomo visto in tutti i suoi momenti di crescita, e per le arti
che gli consen-tono di sviluppare i talenti propri, nasce in Comenio, anche
sulla scia offerta dalla grande stagione dell’Umanesimo europeo che agirà su di
lui attraverso il tedesco Johann Heinrich Alsted e gli umanisti dell’epoca,
dallo spagnolo Juan Luis de Vivès a
Erasmo
e Montaigne, intrecciandosi con il pensiero riformato ereditato dalla sua
famiglia. Come già Montaigne e Pascal, Comenio formulò critiche pesanti contro
le scuole del suo tempo, che considerava alla stregua di «prigione e tortura
della gioventù», incapaci di promuovere la crescita fruttuo-sa dei bambini e
degli adolescenti. L’accusa contro le istituzioni educative dell’epoca non era
fine a se stessa, ma funzionale a promuovere un profondo ripensamento dei
processi di istruzione perché una popolazione istruita possa non solo accedere
direttamente alla lettura della Sacra Pagina ma anche «alla pietà, ai costumi e
alle buone lettere». Per farlo occorre intervenire fin dalla nascita, e «porre
le fondamenta di quelle tre cose».
Da
qui la necessità del curricolo per l’infanzia pensato da Comenio, affinché «i
genitori devoti, in parte essi stessi, in parte tramite balie, bambinaie, e
altri collaboratori debbono allevare ed esercitare, in maniera veramente
ragionevole, il loro gioiello più prezioso di tutti, i bambini, nei primi sei
anni, prima che essi vengano consegnati ai precettori, per onore di Dio, per
conforto di loro stessi, ma anche per la beatitudine dei bambini». Portavoce,
sulla scorta di numerosi passi del Vecchio e del Nuovo Testamento, di
un’autentica apologia dell’infanzia, per la quale i bambini sono «specchio
della modestia, dell’affabilità, della benignità, della concordia, e di altre
virtù cristiane», e comunque «piccole gemme celesti », «immagine ancora non
contaminata di Dio», Comenio si avvede che «il bambino è un tesoro più prezioso
dell’oro, ma più fragile del vetro, può facilmente farsi del male e rompersi e
il danno diventa allora davvero irreparabile».
Per
queste ragioni, secondo l’umanista boemo occorre progettare in maniera attenta
il cammino formativo del bambino, fin dalla prima infanzia, oltre le
metodologie adottate dalle scuole del suo tempo. Per apprendere «a sapere
alcune cose, a fare alcune cose, a dire alcune cose: o piuttosto (sapere, fare,
dire) tutte le cose eccetto quelle malvagie», occorre muoversi con cautela,
dunque, consapevoli che «l’atto di insegnare e di imparare, per sé e per sua
natura, - ammonisce a memoria a lui presente, e diremmo soprattutto a memoria
futura - è soave e giocondo, puro gioco e delizia dell’anima».
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