martedì 1 novembre 2022

FARE MEMORIA

 

*Perché fare memoria 

dei morti?*




- p. Giuseppe Grampa

 

Perché ricordare i morti? Riconosciamolo: è questo un pensiero che istintivamente cerchiamo di allontanare e che invece dovrebbe accompagnarci.

La morte dell'altro è già in parte il nostro morire.

Chi tra noi non ha fatto l'esperienza del silenzio che scende dentro di noi con la morte d'altri, soprattutto di una persona cara?  È l'esperienza di un dialogo ormai impossibile. Qualcosa di me muore con la morte dell'altro.

Col silenzio di chi muore e col quale non potremo parlare più, la morte dell'altro penetra in me spezzando questa appartenenza reciproca.

Al fondo la morte svela il senso profondo della vita, svela una appartenenza reciproca, una comunione di vita che appunto la morte interrompe.

Allontanare la morte d'altri, renderci ad essa indifferenti vuol dire negare questa appartenenza, negare che il senso della vita va cercato nella reciprocità e non nella distanza.

Abbiamo costruito un 'noi' con chi ci lascia.

Questo vale soprattutto per la morte di persone care con le quali abbiamo avuto consuetudine di vita, ma vale anche per ogni morte che in qualche misura ci appartiene.

Vale per gli innumerevoli morti di questa guerra che sembra non aver mai fine, vale per le migliaia di morti che giacciono in fondo al Mediterraneo.

Cesare Pavese ha espresso mirabilmente questa appartenenza, anche nel caso della morte del 'nemico': "Ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini.  Sono questi che mi hanno svegliato.

Se un ignoto, un nemico diventa, morendo, una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto, il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l'ha sparso.

Potremmo infatti essere al loro posto: per questo ogni guerra è una guerra civile, ogni caduto somiglia a chi resta e gliene chiede ragione" (La casa in collina, p. 185).

È bello, anche se arduo, fare memoria dei morti.

Vuol dire tener desta, nella sofferenza, la consapevolezza del nostro comune destino.

Con linguaggio cristiano: la comunione dei santi, cioè il legame di appartenenza che tutti ci unisce, nel vivere e nel morire, tra noi e con Colui che ha voluto condividere il nostro vivere e il nostro morire.

Per questo da Lui, il Vivente, e dai nostri Morti, niente ci può separare.

 

RS Servire

 

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