Pagine

domenica 7 marzo 2021

UNA CATASTROFE EDUCATIVA ?

     Contro  la catastrofe educativa serve una risposta da adulti

Scuole, famiglie, parrocchie, associazioni: è il momento di fare un vero gioco di squadra, costruire un’alleanza mettendo al centro il benessere di giovani e bambini

 

-         di LELLO PONTICELLI*

 

«Catastrofe educativa. Non si può rimanere inerti». Così titolava domenica scorsa 'Noi', il supplemento familiare di 'Avvenire'. L’espressione è del Papa ed è molto forte, quasi un 'grido' sull’urgenza dell’ora. Nessuno sia sordo. Dopo la 'scossa' c’è bisogno della 'riscossa'. E questa non può avvenire in ordine sparso, ma ha bisogno di una vera e propria 'Alleanza' educativa, soprattutto tra le persone adulte, qualunque sia il loro ruolo nella vita. Un’alleanza tra adulti e 'adulta' essa stessa, che sa perciò coinvolgere come protagonisti i giovani, i ragazzi, i bambini e perciò le scuole, le famiglie, le parrocchie, le associazioni, gli oratori, tutte le agenzie educative! E un vero 'gioco di squadra', prevede di passare la palla anche ai nonni e agli anziani: altro che emarginarli! E chi custodirebbe i sogni?!

Ma torniamo per un attimo alla 'catastrofe' educativa: insieme alla pandemia è la quaresima-quarantena dell’umanità. Il Papa, come 'Giona', chiama a raccolta tutti ad accogliere l’appello a convertirsi, appunto, ad un nuovo e globale patto educativo. Cari amici adulti, vogliamo ancora 'traccheggiare'? Questa è l’ora della responsabilità, come non lo era da tanto tempo; è l’ora della nostra genitorialità e della nostra ritrovata generatività, dopo la sterilità e dopo aver esitato già troppo (cfr. articolo di Alessandro Zaccuri su questo giornale, il 2 marzo, pag.7: «Adulti non cresciuti senza responsabilità»). La nostra generazione ha lottato per smantellare l’autoritarismo, ma purtroppo ha corroso ed esautorato anche il principio di autorità, posto nelle nostre mani per aiutare a crescere. E così abbiamo lasciato i ragazzi e i giovani più soli, in preda alle loro paure e ai loro impulsi. È ora di fare autocritica, anche da parte di una certa cultura 'laica': come adulti post sessantottini alla Nanni Moretti di 'La Messa è finita', abbiamo abbandonato il nostro ruolo propulsore, canalizzatore, di orientamento e di motivazione.

Intanto il modello educativo che si è fatto strada oscilla tra seduzione e nuove e più subdole coercizioni! Spesso, come adulti, anche nelle nostre realtà di famiglia e di Chiesa, facciamo come il pendolo: passiamo dall’abuso di potere, soprattutto affettivo che collude con la fragilità affamata di paternità, all’essere compiacenti ad oltranza, preoccupati di ottenere a tutti i costi il consenso dei no- stri figli. Aveva purtroppo ragione chi già qualche anno fa scriveva: «Siamo l’ultima generazione di figli che ha ubbidito ai propri genitori e la prima generazione di genitori che ubbidisce ai propri figli» (A. Cencini). E qui sono chiamati in causa tutti gli adulti, nessuno escluso. Lo smantellamento del principio di autorità, come anche la mancanza di autorevolezza e di guida, stanno continuando ad avere un effetto devastante nelle nuove generazioni e i segnali sono sotto gli occhi di tutti: «L’epoca delle passioni tristi » di cui scrivevano Miguel Benasayag e Gérard Schmit qualche anno fa è destinata a dilatarsi oltre modo, se non si pone un argine. E l’argine non è certo l’esercito o i rigurgiti di autoritarismo e repressione, ma è l’educare, educare e ancora educare. Come adulti siamo chiamati a elaborare il lutto della necessaria autocritica e il probabile senso del fallimento che ne scaturisce, per riscoprire la bellezza e la gioia di educare: si, perché educare è bello, anche se difficile; educare è possibile, come «guaritori feriti»; e- ducare è prendere coscienza della complessità, ma riscoprendo l’essenziale invisibile agli occhi distratti; educare è cosa del cuore e non avviene senza conflitto, lotta, cadute, ricadute, ripartenze. Educare, guardando a Dio educatore che ritrova sempre i suoi figli, pure in una «landa di ululati solitari» e se ne prende cura (Dt 32,10). Di recente, a proposito della pandemia e delle sue conseguenze, è stato detto: «Siamo in guerra», «è peggio di una guerra»... ed in parte sono espressioni e metafore comprensibili anche applicandole alla 'catastrofe educativa'. Se così, mentre cerchiamo di resistere e di evitare il peggio, è il caso di pensare già al dopo, sognando il meglio e preparandone l’avvento. Come? Avendo innanzitutto chiara coscienza che le truppe per affrontare la ricostruzione le abbiamo già, anche se hanno bisogno di riprendersi dalla batosta. Noi disponiamo già di un esercito speciale, ben più grande, forte e numeroso di quello 'militare' che tanto certamente ancora farà di buono in questi giorni difficili; ma è di questo altro esercito di cui abbiamo bisogno.

Nel nostro Paese ci sono enormi risorse di persone in gamba tra genitori, insegnanti, catechisti, assistenti sociali, psicologi, educatori, preti, allenatori, giovani volontari, donne e uomini di ogni età e ceto sociale che vive con un altissimo senso del dovere la propria quotidianità; ma ora questa quotidianità si è chiamati a viverla con ritrovata passione e come una vera e propria 'missione educativa', con un atteggiamento bello, altruistico, disinteressato, lungimirante, positivo, creativo. E non dobbiamo più procedere in ordine sparso, ma tessendo 'reti relazionali ed istituzionali' rispettose delle diversità di apporti e culture; capillari, incarnate in ogni territorio e angolo d’Italia avendo tutti la mentalità, l’approccio e lo stile dell’educatore di strada. Recuperiamo la bussola dei valori: quelli creativi, mettendo in gioco doni, qualità e talenti; quelli di esperienza, accogliendo con gratitudine quanto la vita ci offre in bellezza, verità, arte, cultura, fede, tradizione...; quelli di atteggiamento, imparando a prendere posizione attiva e responsabile anche verso ciò che è ineluttabile e non può cambiare ( V. Frankl). Ma soprattutto diamoci vicendevolmente una botta di vita che ci fa superare l’aria di disfattismo, di rassegnazione, smarrimento e di paura: riappropriamoci della speranza che abbatte le illusioni, ma recupera i sogni; offriamo e testimoniamo speranza che aiuta a dominare le voglie e lascia spazio ai desideri e ai progetti. Facciamo tutti come Noè: tutti nella stessa barca in tempesta, tutti fratelli in mezzo al diluvio, ma uniti a preparare la stessa 'arca' per un’umanità rinnovata dove la colomba e il ramoscello d’ulivo già si intravedono. E come Chiesa, anche con qualche falla umilmente da riconoscere e riparare con l’aiuto dal basso e dall’Alto, prendiamo il largo, come la nuova arca dell’Alleanza, per accogliere tutti, per remare insieme e confortarci a vicenda (Papa Francesco 27 marzo 2020): il segno dell’arcobaleno è già all’orizzonte.

 *Sacerdote e psicologo

www.avvenire.it

 

Nessun commento:

Posta un commento