Un coniglio dal cappello
-
Giuseppe
Savagnone
È difficile sottrarsi
all’impressione che il coronavirus, in questi ultimi tre mesi – perché sono
poco più tre mesi, anche se sembrano un’eternità – si sia quasi divertito
a scompigliare le carte della politica italiana, qualche volta tirando fuori un
coniglio dal suo cappello, qualche altra facendo svanire nel nulla oggetti che
avevamo sotto gli occhi.
E il primo grande gioco di
prestigio è stato di baciare in fronte Giuseppe Conte, conferendo
inopinatamente al suo governo – nato alla fine dell’estate come
“tappabuchi” e che si era a stento trascinato per mesi col timore di non poter
neppure mangiare il panettone – la nobiltà di una missione decisiva per la
salvezza o la rovina dell’Italia.
Tutti a tacere
Proprio quando le cose si
erano messe decisamente male per la maggioranza – dopo la inaspettata scissione
del Pd e la nascita del partito personale di Renzi, deciso a far valere il
proprio peso politico anche a costo di creare scompiglio (o forse proprio
creandolo…), nonché alla luce dei continui dissapori anche tra Pd e 5stelle – e
ci si chiedeva che senso avesse continuare a tenere in piedi un governo che
stentava tanto a governare, ecco il colpo di scena: l’irrompere devastante
della pandemia, che ha colpito l’Italia, con violenza estrema, prima di tutte le
altre nazioni europee, mettendo a tacere tutti, partiti di maggioranza e
di opposizione, e lasciando la parola a uno solo, il presidente del Consiglio,
a cui è toccato assumersi l’onore e l’onere di fare le scelte e di
rappresentare, agli occhi degli italiani e degli stranieri, il volto del nostro
Paese.
La tattica e la strategia
E lui lo ha fatto
come ha potuto, evidenziando ancora una volta tutti i suoi limiti, già
ampiamente emersi, peraltro, durante il precedente governo gialloverde. Ma, a
dire il vero, acquistando, rispetto a quella disastrosa esperienza di
premier-fantasma, una credibilità e una dignità che non aveva mai avuto. Gli
italiani si sono trovati davanti un uomo spesso confuso, pessimo comunicatore e
tattico infelice (come quando ha causato l’esodo dalla zona rossa lombarda, che
era quello che si voleva evitare, comunicandone la chiusura prima di renderla
effettiva col decreto), ma che ha avuto l’indubbio merito di scegliere
strategicamente la via rivelatasi, col tempo, di gran lunga migliore,
resistendo a contestazioni e irrisioni interne ed esterne.
Sta di fatto che i leader e
i Paesi che avevano guardato con compatimento e ironia le scelte dell’Italia si
sono trovati costretti dai fatti a imitarle, non senza pagare pesantemente il
prezzo del ritardo nel farlo.
La fiducia degli italiani
In ogni caso, in Italia
nessuno ha parlato più di nuove elezioni – il coronavirus lo rendeva assurdo –
e i partiti che le avevano con tanta insistenza chieste fino a pochi giorni
prima, hanno dovuto ripiegare sul piano B di un governo di unità nazionale
guidato da Draghi. Ma anche questa ipotesi non ha decollato, probabilmente
perché, in questo contesto, la netta maggioranza degli italiani ha continuato a
dare la sua fiducia al governo in carica e a Giuseppe Conte, ignorando
l’accanita campagna ostile condotta quotidianamente dai giornali
dell’opposizione.
Problemi evaporati…
Un secondo gioco di
prestigio del coronavirus è stato di far evaporare, quasi con un colpo di
bacchetta magica, problemi su cui la politica italiana aveva logorato da due
anni a questa parte le sue migliori energie. La minaccia, dall’esterno e
dall’interno, costituita dai migranti – su cui si era giocato in modo
quasi esclusivo la questione vitale della sicurezza e che aveva appassionato
per mesi l’opinione pubblica –, è quasi scomparsa dalle cronache, travolta
dalla ben più pressante e realistica insicurezza creata dalla pandemia.
… e bugie smascherate
La quale, peraltro – e in
questo qualcuno ha visto uno scherzo maligno del virus –, impedendo il consueto
arrivo dei migranti stagionali e mandando così in tilt la nostra agricoltura,
ha costretto qualche produttore ad andarli addirittura a cercare, evidenziando
che gli stranieri non vengono a rubare il lavoro ai nostri figli, ma a fare
quelli che gli italiani – perfino messi alle strette dalla improvvisa crisi
economica – non intendono svolgere.
La crisi del sovranismo
A proposito di problemi
scomparsi dall’ordine del giorno del dibattito politico, va segnalato anche
quello, posto insistentemente fino a ieri dai sovranisti, della legittimità e
utilità dell’Unione Europea. Oggi è chiaro come il sole che nessuna nazione può
affrontare da solo il disastro economico causato dal coronavirus. E l’Europa è
l’unica sponda su cui contare. Ne abbiamo dovuto criticare le divisioni e i
perduranti interessi nazionalistici, ma proprio perché possiamo appellarci a un
modello virtuoso di unità europea che li esclude e contiamo sul loro
superamento per salvarci. Ed effettivamente, fra gaffe e dinieghi, è stato
sempre più chiaro che certe dinamiche di solidarietà esistono e sono in atto.
Soprattutto è stato chiaro che, se gli italiani avessero dato ascolto a chi –
tra le forze attualmente dentro e fuori l’attuale governo – in passato invocava
addirittura un referendum per uscire dall’euro ed evocava il recupero di una
piena autonomia nazionale, oggi sarebbero soli (e disperati).
Il Nord e il Sud
Un terzo gioco di prestigio
del coronavirus può essere visto nell’avere capovolto dispettosamente, in
questi pochi mesi, il rapporto tra Nord e Sud. Regioni tradizionalmente
considerate l’emblema della funzionalità e del progresso, soprattutto in campo
sanitario, come la Lombardia e l’Emilia Romagna, si sono trovate invece a fare
i conti – soprattutto la prima – con una crisi assai più grave che non
altre regioni, soprattutto del Sud, il cui sistema sanitario era considerato un
colabrodo.
Puro caso? Situazioni
ambientali (come l’inquinamento) sfavorevoli? Maggiore permeabilità a contatti
con l’esterno? Errori di gestione? E in questo caso, del governo regionale o di
quello centrale?
Scontro sulla Lombardia
Su quest’ultimo
interrogativo è ancora in atto un aspro scontro che ha contrapposto, da una
parte, il governatore della Lombardia, Fontana – che ha sempre ribadito la
correttezza delle proprie scelte, scaricando sul governo di Roma la
responsabilità dell’altissimo numero di contagi e di decessi –, e, dall’altra,
chi ha denunciato dei gravi errori della giunta regionale lombarda, accusandola
di essersi concentrata, per motivi di prestigio, sulla costruzione a tempo di
record di un immenso ospedale rivelatosi del tutto inutile, tralasciando una
più oculata strategia per evitare il contagio, soprattutto nella gestione delle
case di riposo per anziani.
Lo scontro è in corso ed è
difficile dare un giudizio definitivo. Anche se a gettare serie ombre sulla
tesi di Fontana, sostenuto a spada tratta dal leader della Lega, è il fatto
innegabile che il governatore del Veneto, Zaia – peraltro anche lui leghista –
ha ottenuto (con o senza l’aiuto del governo: questo è da vedere) risultati
incommensurabilmente migliori nella sua politica sanitaria.
E se avessimo avuto a governarci Johnson o Trump?
Un ultimo colpo di bacchetta
magica del coronavirus qualcuno lo vedrà nel forte calo dei consensi alla Lega,
fino a pochi mesi fa in piena ascesa (rispetto alle non lontane elezioni
europee, il calo è di dieci punti…). Probabilmente hanno giocato negativamente
le prese di posizione di Salvini, spesso contraddittorie e sistematicamente
smentite dagli sviluppi del contagio.
Ma non è escluso che a
raffreddare l’entusiasmo degli italiani per il leader leghista sia stata anche
la disastrosa immagine offerta, in occasione della pandemia, dai capi di
governo più apprezzati e lodati dai sovranisti, Trump, Johnson, Borsonaro.
Forse molti, davanti alle notizie catastrofiche provenienti Stati Uniti, Regno
Unito e Brasile, si sono chiesti che cosa sarebbe potuto accadere da noi se a
governarci fosse stato, invece del nostro premier, con tutti i suoi difetti,
uno di questi personaggi, fino a poco tempo fa additati da una parte
della destra come modelli da seguire…
L’incantesimo che non c’è stato
Ci sarebbe voluto un ultimo,
più importante, atto di magia. Quello che purtroppo il coronavirus non ha
fatto: creare le condizioni per un vero cambiamento della politica italiana.
Già in questi primi giorni della “fase 2” si sono visti risorgere, dopo il lungo
digiuno da pandemia, i meschini giochi di potere all’interno del governo. E
l’opposizione, che finora non è sembrata in grado di fare proposte costruttive,
continua a privilegiare la logica dello scontro, preparandosi a scendere in
piazza per tentare di canalizzare a proprio vantaggio l’inevitabile malessere
creato dalla crisi economica e gli evitabili malcontenti suscitati dai
tanti errori del governo .
Chi si illudeva che il
coronavirus svolgesse le funzioni di un diluvio universale, preparando un mondo
migliore, vede già smentiti i propri sogni.
Il nostro futuro dipende da noi
A meno che… A meno che le
risorse di rettitudine, di generosità, di senso del bene comune emerse in
questa tragica congiuntura, e di cui forse pochi sospettavano l’esistenza, non
si riversino finalmente sulla scena politica, travolgendo la nuova casta
(inclusiva di governo e opposizione) nata dalla finta svolta populista di
questi anni e facendo prevalere, sulle logiche di puro potere, la cura del bene
della gente.
Abbiamo disperatamente
bisogno di un cambiamento che, dopo le tristi vicende della Seconda Repubblica,
ci restituisca una “Sinistra” e una “Destra” di cui da troppo tempo vediamo
solo le caricature. Ma questo nessun colpo di bacchetta magica può produrlo, e
tanto meno il coronavirus. Dobbiamo renderci conto che il nostro futuro dipende
da noi. Solo da noi.
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