Le parole di Papa Francesco
sullo Spirito Santo, “lo sconosciuto della nostra fede” che opera tutto in modo
nascosto: dona la gioia, la pace, l’amore, ci fa vivere da risorti, quali figli
di Dio. Grazie a Lui possiamo guardarci come fratelli
Sergio Centofanti
Lo Spirito Santo fa tutto,
ma non si vede. Si possono vedere i suoi effetti, ma occorre un cuore aperto. È
umile, Amore nascosto, è Dio. Parla ogni giorno, sommessamente, in mezzo al
nostro frastuono. Bisogna fare silenzio per ascoltarlo. Ma chi è e cosa ci dice
lo Spirito?
Senza lo Spirito Santo non
siamo cristiani
È “lo sconosciuto della
nostra fede” dice Papa Francesco (Omelia a Santa Marta, 13 maggio 2013): eppure,
senza di Lui non siamo cristiani, non esiste la Chiesa né la sua missione.
Senza di Lui viviamo una doppia vita: cristiani a parole, “mondani” nei fatti.
Lo Spirito ci fa vivere da risorti
Lo Spirito “non è una cosa
astratta”, è una Persona che ci cambia la vita: com’è accaduto agli apostoli,
ancora timorosi e chiusi nel Cenacolo, nonostante avessero visto Gesù risorto,
e dopo Pentecoste “impazienti di raggiungere confini ignoti” per annunciare il
Vangelo, senza più paura di dare la vita. “La loro storia ci dice che persino
vedere il Risorto non basta, se non lo si accoglie nel cuore. Non serve sapere
che il Risorto è vivo se non si vive da risorti. Ed è lo Spirito che fa vivere
e rivivere Gesù in noi, che ci risuscita dentro” (Omelia di Pentecoste, 9 giugno 2019).
Diventiamo figli di Dio e
fratelli tra di noi grazie allo Spirito
La nuova vita, quella vera
di risorti, è “riallacciare la nostra relazione col Padre, rovinata dal
peccato”. Questa è la missione di Gesù: “toglierci dalla condizione di orfani e
restituirci a quella di figli” amati da Dio. “La paternità di Dio si riattiva
in noi grazie all’opera redentrice di Cristo e al dono dello Spirito Santo”. È
grazie a questa relazione col Padre e col Figlio che “lo Spirito Santo ci fa
entrare in una nuova dinamica di fraternità. Mediante il Fratello universale,
che è Gesù, possiamo relazionarci agli altri in modo nuovo, non più come
orfani, ma come figli dello stesso Padre buono e misericordioso. E questo
cambia tutto! Possiamo guardarci come fratelli” (Omelia di Pentecoste, 15 maggio 2016).
L’uomo spirituale porta concordia dov’è conflitto
Noi dobbiamo sempre
diminuire, Gesù deve sempre crescere in noi. Il rischio è di servirsi di Cristo
più che servirlo. La via è uscire da noi stessi, allontanandoci dal nostro
egocentrismo. È possibile grazie alla preghiera che suscita in noi lo Spirito.
“Quando spezziamo il cerchio del nostro egoismo, usciamo da noi stessi e ci
accostiamo agli altri per incontrarli, aiutarli, è lo Spirito di Dio che ci ha
spinti. Quando scopriamo in noi una sconosciuta capacità di perdonare, di amare
chi non ci vuole bene, è lo Spirito che ci ha afferrati” (Omelia a Istanbul, 29 novembre 2014). Chi vive secondo
lo Spirito “porta pace dov’è discordia, concordia dov’è conflitto. Gli uomini
spirituali rendono bene per male, rispondono all’arroganza con mitezza, alla
cattiveria con bontà, al frastuono col silenzio, alle chiacchiere con la
preghiera, al disfattismo col sorriso”. “Per essere spirituali” occorre mettere
lo sguardo dello Spirito “davanti al nostro” (Omelia di Pentecoste, 9 giugno 2019).
Lo Spirito crea l’unità nella diversità
La divisione tra i cristiani
è uno dei grandi scandali che allontana dalla fede. Il diavolo divide, mentre
“lo Spirito fa dei discepoli un popolo nuovo”, perché “crea un cuore nuovo”. “A
ognuno dà un dono e tutti raduna in unità. In altre parole, il medesimo Spirito
crea la diversità e l’unità”, “l’unità vera, quella secondo Dio, che non è
uniformità, ma unità nella differenza”. Occorre resistere “a due tentazioni
ricorrenti. La prima è quella di cercare la diversità senza l’unità. Succede
quando si formano schieramenti e partiti, quando ci si irrigidisce su posizioni
escludenti … magari ritenendosi i migliori … si diventa tifosi di parte anziché
fratelli … Cristiani di destra o di sinistra prima che di Gesù; custodi
inflessibili del passato o avanguardisti del futuro prima che figli umili e
grati della Chiesa. Così c’è la diversità senza l’unità. La tentazione opposta
è invece quella di cercare l’unità senza la diversità” e tutto diventa
“uniformità, obbligo di fare tutto insieme e tutto uguale, di pensare tutti
allo stesso modo”. Invece, lo Spirito “crea la diversità” e poi “realizza
l’unità: collega, raduna, ricompone l’armonia” (Omelia di Pentecoste, 4 giugno 2017).
Lo Spirito del perdono è il collante che ci tiene
insieme
L’unità è possibile nel
perdono. “Gesù non condanna i suoi, che lo avevano abbandonato e rinnegato
durante la Passione, ma dona loro lo Spirito del perdono. Lo Spirito è il primo
dono del Risorto e viene dato anzitutto per perdonare i peccati. Ecco l’inizio
della Chiesa, ecco il collante che ci tiene insieme, il cemento che unisce i
mattoni della casa: il perdono. Perché il perdono è il dono all’ennesima
potenza, è l’amore più grande, quello che tiene uniti nonostante tutto, che
impedisce di crollare, che rinforza e rinsalda. Il perdono libera il cuore e
permette di ricominciare: il perdono dà speranza, senza perdono non si edifica
la Chiesa. Lo Spirito del perdono, che tutto risolve nella concordia, ci spinge
a rifiutare altre vie: quelle sbrigative di chi giudica, quelle senza uscita di
chi chiude ogni porta, quelle a senso unico di chi critica gli altri. Lo
Spirito ci esorta invece a percorrere la via a doppio senso del perdono
ricevuto e del perdono donato” (Omelia di Pentecoste, 4 giugno 2017).
Dio ci parla ancora oggi
Lo Spirito di verità non
smette di parlare, ci fa entrare sempre più pienamente nel senso delle parole
di Gesù. È la novità del Vangelo, di una Parola sempre viva, perché il
cristianesimo, come dice il Catechismo della Chiesa cattolica, non è una
“religione del Libro”, “una parola scritta e muta”, ma della Parola di Dio,
cioè il Verbo incarnato e vivente. “La novità ci fa sempre un
po’ di paura, perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo,
se siamo noi a costruire, a programmare, a progettare la nostra vita secondo i
nostri schemi, le nostre sicurezze, i nostri gusti. E questo avviene anche con
Dio. Spesso lo seguiamo, lo accogliamo, ma fino ad un certo punto; ci è
difficile abbandonarci a Lui con piena fiducia, lasciando che sia lo Spirito
Santo l’anima, la guida della nostra vita, in tutte le scelte; abbiamo paura
che Dio ci faccia percorrere strade nuove, ci faccia uscire dal nostro
orizzonte spesso limitato, chiuso, egoista, per aprirci ai suoi orizzonti. Ma,
in tutta la storia della salvezza, quando Dio si rivela porta novità …
trasforma e chiede di fidarsi totalmente di Lui” (Omelia di Pentecoste, 19 maggio 2013).
Le resistenze allo Spirito Santo: la tentazione di
addomesticarlo
“È sempre presente in noi la
tentazione di fare resistenza allo Spirito Santo, perché scombussola, perché
smuove, fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti. Ed è sempre più facile
e comodo adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate. In realtà, la
Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo nella misura in cui non ha la
pretesa di regolarlo e di addomesticarlo. E la Chiesa si mostra fedele allo
Spirito Santo anche quando lascia da parte la tentazione di guardare sé stessa.
E noi cristiani diventiamo autentici discepoli missionari, capaci di
interpellare le coscienze, se abbandoniamo uno stile difensivo per lasciarci
condurre dallo Spirito. Egli è freschezza, fantasia” che “non riempie tanto la
mente di idee, ma incendia il cuore” e spinge a “un servizio di amore, un
linguaggio che ciascuno è in grado di comprendere” (Omelia a Istanbul, 29 novembre 2014).
Missione è portare al mondo la gioia dello Spirito
Senza lo Spirito Santo non
esiste la missione. Infatti, la missione non è opera nostra, è un dono. La Chiesa
ha bisogno di evangelizzatori che si aprano “senza paura all’azione dello
Spirito Santo” che “infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con
audacia (parresia), a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche controcorrente”
(Evangelii gaudium, 259). Si tratta di evangelizzatori
consapevoli che “la missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una
passione per il suo popolo” (EG 268). Gesù vuole “che tocchiamo la carne
sofferente degli altri” (EG 270). “Nel nostro rapporto col mondo siamo invitati
a dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e
condannano” (EG 271). “Può essere missionario solo chi si sente bene nel
cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri” (EG 272):
“se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già
sufficiente a giustificare il dono della mia vita” (EG 274). La gioia, la pace,
l’amore, sono frutti dello Spirito.
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