Genitori:
fondamenta per il dopo apocalisse
Il legame fra scienza e genitorialità è stretto e
contrastante. Come saranno educazione e formazione nel dopo emergenza? Vincerà
il «pensiero calcolante» o il «l’uomo meditante»?
Si dice che nulla potrà essere come prima nei rapporti
umani, ma non sappiamo in cosa cambieranno. Su quel che potrebbe accadere nella
fondamentale relazione fra genitori e figli, ma anche in altri campi, qualche
spunto di riflessione può però venire da film e romanzi ambientati nel futuro.
E spesso emergono risposte di sorprendente speranza
di GIUSEPPE LORIZIO
Siamo a una svolta epocale. Al di là della formula
retorica, la realtà ci impone di prenderne coscienza. Le preoccupazioni
immediate riguardano la crisi economica, che si affianca all’emergenza
sanitaria. Ma chi si preoccupa di come saremo nel dopo apocalisse? Eppure,
possiamo rinvenire tracce e semi di pensiero nella letteratura, nel cinema e
nelle serie che, prima della crisi, ci piaceva definire, con atteggiamento
evasivo, post-apocalittiche.
Che ne sarà delle relazioni interpersonali, dopo il
“passaggio” (pesach) attraverso la cosiddetta 'distanza sociale'? Magari lo
sapessimo grazie alla scienza! E, siccome non lo sappiamo, ci viene incontro la
fantascienza. Visto che abbiamo tempo e modo di dedicarci alle letture e alla
meditazione a partire dal cinema e dalle serie televisive, ci sembra di poter
indicare tre scenari post-apocalittici, che possono farci riflettere.
Il primo scenario emerge a partire dal libro di Cormac
McCarthy, pubblicato nel 2006 e rappresentato in un bel film del 2009, diretto
da John Hillcoat, The road.
Un padre e un figlio percorrono le macerie di un
evento traumatico che ha distrutto buona parte della terra e ucciso molti dei
suoi abitanti. Un tema che percorre tutta la vicenda, che è metafora reale
dell’esistenza umana anche nel nostro oggi, è quello del fuoco. Il «fuoco è
dentro di te». È il messaggio del padre morente che si sacrifica per il figlio
e lo spinge verso una comunità di amore, che lo accoglie e lo consegna alle
braccia della donna: «Quando la donna lo vide lo abbracciò e lo tenne stretto.
Oh, gli disse, come sono contenta di vederti. Ogni tanto la donna gli parlava
di Dio. Lui ci provava a parlare con Dio, ma la cosa migliore era parlare col
padre, e infatti ci parlava e non lo dimenticava mai. La donna diceva che andava
bene così. Diceva che il respiro di Dio è sempre il respiro di Dio, anche
se passa da un uomo all’altro in eterno». E finalmente: «Mappe e labirinti. Di
una cosa che non si poteva rimettere a posto. Che non si poteva riaggiustare.
Nelle forre dove vivevano ogni cosa era più antica dell’uomo, e vibrava di
mistero». Riusciremo a recuperare questo senso del 'mistero' dopo questa
catastrofe? Il respiro di Dio passerà attraverso i nostri respiri, condivisi e
gustati nella notte del rapporto con chi amiamo. La figura della madre, che
nel corso della narrazione era semplicemente evocata attraverso ricordi e
sogni, trova qui (alla fine) la sua incarnazione.
Cambio di scena: da un padre e un figlio a una madre e
una figlia, così come evocate nel film I am mother di Roger
Michell. Una madre robot fa nascere da una serie di embrioni congelati dei
figli o delle figlie, di cui si prende cura e che educa, dal suo punto di
vista, nel migliore dei modi. Quando qualcuno/a di essi delude le sue
aspettative, lo/a sopprime. Così una bimba diventa fanciulla,
adolescente e giovane donna e fra momenti di trasgressioni e di
interlocuzioni, continua a chiamare il robot «madre», mentre viene
interpellata col nome di «figlia». Nessun nome proprio, solo
identificazioni funzionali. Finché non irrompe nel laboratorio (progettato per difendere gli
umani da sé stessi) una figura femminile reale, che interpella la giovane donna
e finché non nasce un bimbo, che verrà affidato alle cure delle persone
piuttosto che all’attenzione delle macchine. Ecco la metamorfosi che ci viene
indicata dal film, come possibile “passaggio” (pasquale?) dalla civiltà delle
macchine a quella delle relazioni interpersonali! L’educazione non è solo
trasmissione di scienza e di informazioni, come pretende la madre robot e la
nostra società digitale, che verifica la conoscenza attraverso dei test,
ma deve generare sapienza e inverarsi in rapporti autentici e veramente umani.
Ecco cosa potrà sopravvivere alla catastrofe: non la scienza e il pensiero
calcolante, ma la sapienza e il pensiero meditante. L’ultimo scenario
ci proietta di fronte a una famiglia in cui non c’è un solo genitore (il padre
o la madre), ma una coppia, prima in crisi, quindi ricomposta nella serie Lost
in space. Il futuro, rappresentato dal più giovane figlio dei
Robinson, Will, sarà gravido di speranza nella misura in cui sapremo realizzare
un profondo e non strumentale rapporto col regno delle macchine, delle scienze
e della tecnologia, presenti nell’intelligenza artificiale extraterrestre. La
domanda è: sapremo umanizzare i robot o non continueremo a essere macchine noi
stessi, spersonalizzandoci?
Il rapporto del padre col figlio ci rimanda al
calvario, che abbiamo meditato durante la Settimana Santa. Il Padre lascia
andare il Figlio, il quale sperimenta così il suo abbandono, ma al tempo stesso
si consegna alle sue braccia, che continua a pensare amorevoli. La madre (che
la tradizione denomina non solo 'madre di Cristo', ma addirittura 'madre di
Dio') viene affidata al discepolo, che ci rappresenta (come Chiesa) e ci
consente di chiamarla con questo nome, affidandoci alla sua custodia e
protezione. Padre/figlio, madre/figlia, genitorialità del presente sul Golgotha
e nel futuro della speranza post apocalittica.
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