Il Papa: chi rischia la vita in mare non invade, cerca vita.
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di Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
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“C’è
un grido di dolore che più di tutti risuona, e che sta tramutando il Mare
Nostrum in Mare Mortuum, il Mediterraneo da culla della civiltà a tomba della
dignità. È il grido soffocato dei fratelli e delle sorelle migranti…”.
Papa
Francesco conclude i Rencontres Méditerranéennes, l’evento che prosegue il
cammino di Bari (2020) e Firenze (2022) che gli ha dato l'occasione di visitare
questa città meridionale della Francia che definisce "sorriso del
Mediterraneo" e "capitale dell’integrazione dei popoli". Intorno
a lui ci sono i vescovi delle cinque sponde del Mediterraneo; nel parterre
sindaci e autorità delle città e dei territori bagnati dal mare. In prima fila
sono seduti il presidente Emmanuel Macron e la moglie Brigitte, che lo hanno
salutato all’ingresso e che applaudono ascoltando passaggi del discorso.
Discorso
lungo, corposo, intervallato da citazioni di Paolo VI, La Pira, Pascal, don
Tonino Bello. Gli occhi sono sui fogli, ma lo sguardo è sul mare, quello che si
estende maestoso fuori dal Palais, situato sul promontorio del Pharo che domina
il Porto Vecchio. Un mare, il Mediterraneo, il mare nostrum, crocevia tra Nord
e Sud, tra Est e Ovest, che “concentra le sfide del mondo intero, come
testimoniano le sue ‘cinque rive’”: Nord Africa, vicino Oriente, Mar Nero-Egeo,
Balcani ed Europa latina.
Questo
mare, ambiente che offre un approccio unico alla complessità, è “specchio del
mondo” e porta in sé una vocazione globale alla fraternità, unica via per
prevenire e superare le conflittualità.
Il
Papa ricorda la storia di queste acque e ribadisce il sogno che, oggi come
allora, il Mediterraneo torni ad essere “culla di civiltà”, “laboratorio di
pace”, faro in questo “odierno mare dei conflitti”.
Da
dove iniziare per radicare la pace? Anzitutto da quelli che Cristo ha indicato
come i “privilegiati”: i poveri. “Sono volti, non numeri”, rimarca il Papa. “Il
cambio di passo delle nostre comunità sta nel trattarli come fratelli di cui
conoscere le storie, non come problemi fastidiosi; sta nell’accoglierli, non
nel nasconderli; nell’integrarli, non nello sgomberarli; nel dar loro dignità”.
“L’impegno
delle sole istituzioni non basta”, afferma il Papa, ciò che serve è “un
sussulto di coscienza per dire ‘no’ all’illegalità e ‘sì’ alla solidarietà, che
non è una goccia nel mare, ma l’elemento indispensabile per purificarne le
acque”. Il “vero male sociale”, infatti, “non è tanto la crescita dei problemi,
ma la decrescita della cura”, ammonisce Francesco. Esorta alla vicinanza,
allora, a tutti quei “giovani lasciati a sé stessi, facili prede della
criminalità e della prostituzione”, alle “persone schiavizzate” dal lavoro,
alle “famiglie impaurite, timorose del futuro e di mettere al mondo nuove
creature”. Invita ad ascoltare il “gemito degli anziani soli”, “parcheggiati”
in qualche struttura o “con la prospettiva falsamente dignitosa di una morte dolce,
in realtà più salata delle acque del mare”. Incita a non dimenticare i “bambini
non nati, rifiutati in nome di un falso diritto al progresso, che è invece
regresso nei bisogni dell’individuo”.
Dinanzi
a questo panorama di sofferenze, il Pontefice sposta poi il focus sulla
questione migratoria: “Chi – domanda - guarda con compassione oltre la propria
riva per ascoltare le grida di dolore che si levano dal Nord Africa e dal Medio
Oriente?”.
Quanta
gente vive immersa nella violenza e patisce situazioni di ingiustizia e di
persecuzione! Penso a tanti cristiani, spesso costretti a lasciare le loro
terre oppure ad abitarle senza veder riconosciuti i loro diritti, senza godere
di piena cittadinanza. Per favore, impegniamoci perché quanti fanno parte della
società possano diventarne cittadini a pieno diritto.
Il
Vescovo di Roma si sofferma sull’immagine del porto. Oggi, osserva con dolore,
“vari porti mediterranei si sono chiusi”, a causa anche di due parole che sono
risuonate “alimentando le paure della gente”: “Invasione” ed “emergenza”.
Il
Papa indica la mappa alle sue spalle e guarda “i porti privilegiati per i
migranti: Cipro, Grecia, Italia, Malta, Spagna”. “Il mare nostrum grida
giustizia, con le sue sponde che da un lato trasudano opulenza, consumismo e
spreco, mentre dall’altro vi sono povertà e precarietà”, scandisce Francesco. E
anche qui il Mediterraneo rispecchia il mondo, “con il Sud che si volge al
Nord, con tanti Paesi in via di sviluppo, afflitti da instabilità, regimi,
guerre e desertificazione, che guardano a quelli benestanti, in un mondo
globalizzato nel quale tutti siamo connessi ma i divari non sono mai stati così
profondi”.
Eppure,
“questa situazione non è una novità degli ultimi anni, e non è questo Papa
venuto dall’altra parte del mondo il primo ad avvertirla con urgenza e
preoccupazione. La Chiesa ne parla con toni accorati da più di cinquant’anni”,
rammenta Jorge Mario Bergoglio. Cita allora Paolo VI e la Populorum progressio
con il suo appello a favore dei "popoli della fame” che interpellano “i
popoli dell’opulenza”, chiamati a “tre doveri”: il “dovere di solidarietà”, “il
dovere di giustizia sociale”, il “dovere di carità universale”. Certo, ammette
Papa Bergoglio, “sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà nell’accogliere,
proteggere, promuovere e integrare persone non attese, però il criterio
principale non può essere il mantenimento del proprio benessere, bensì la
salvaguardia della dignità umana”.
L’invito
è allora a lasciarsi “toccare dalla storia di tanti nostri fratelli e sorelle
in difficoltà, che hanno il diritto sia di emigrare sia di non emigrare”, e non
chiudersi “nell’indifferenza”. “La storia ci interpella a un sussulto di
coscienza per prevenire un naufragio di civiltà”, ammonisce il Pontefice. “Il
futuro, infatti, non sarà nella chiusura, che è un ritorno al passato,
un’inversione di marcia nel cammino della storia”. Dire “basta”, è “chiudere
gli occhi”, avverte ancora; tentare ora di “salvare sé stessi”, “si tramuterà
in tragedia domani, quando le future generazioni ci ringrazieranno se avremo
saputo creare le condizioni per un’imprescindibile integrazione, mentre ci
incolperanno se avremo favorito soltanto sterili assimilazioni”.
L’integrazione
dei migranti allora “è faticosa, ma lungimirante”, mentre l’assimilazione, “che
non tiene conto delle differenze e resta rigida nei propri paradigmi”, fa
“prevalere l’idea sulla realtà e compromette l’avvenire, aumentando le distanze
e provocando la ghettizzazione, che fa divampare ostilità e insofferenze”.
Il
Papa si rivolge alla Chiesa, a cui ricorda la sua vocazione alla carità, la
fulgida testimonianza di santi come Charles de Foucauld, il Vangelo che è “la
magna charta della pastorale”. La Chiesa non è né “dogana”, né “condominio di
prescrizioni”, dice il Pontefice.
Non
possiamo accettare che le vie dell’incontro siano chiuse, che la verità del dio
denaro prevalga sulla dignità dell’uomo, che la vita si tramuti in morte!
Un
pensiero va infine ai giovani, “luce che indica la rotta futura”. Marsiglia,
grande città universitaria, sede di quattro campus dei quali circa 5 mila
studenti su 35 mila sono stranieri, è esempio di come le università possano
essere luogo per “tessere i rapporti tra le culture”, costruire il futuro,
abbattere pregiudizi, sanare le ferite.
Una
teologia mediterranea
“Giovani
ben formati e orientati a fraternizzare potranno aprire porte insperate di
dialogo”, è l’auspicio del Papa che invoca pure una “teologia mediterranea” in
grado di "unire le generazioni legando memoria e futuro" e
"promuovere con originalità il cammino ecumenico tra i cristiani e il
dialogo tra credenti di religioni diverse”.
Faro
di pace per fendere gli abissi della violenza
Ringraziando
per la “pazienza dell’ascolto”, il Papa si dice infine contento di essere a
Marsiglia: “Una volta il presidente (Macron, ndr) mi ha invitato a visitare la
Francia e mi ha detto così: l’importante è che venga a Marsiglia”. Poi fa un
invito a tutti: vescovi e politici, sindaci e missionari, giovani e anziani:
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