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di Alessandro D’Avenia
Qualche giorno fa ho incontrato le terze medie della mia scuola, prima delle «Lezioni di futuro», incontri durante i quali gli ospiti raccontano il loro percorso esistenziale e professionale per dare agli studenti qualche spunto su come affacciarsi al periodo della vita in cui si inizia a scegliere non per procura, per sentito dire, per soddisfare aspettative altrui. Ho detto subito che il futuro non esiste, ma esiste solo un presente più o meno «gravido», «in stato interessante»: avere futuro dipende dalla vita che in te vuole e può venire alla luce oggi, qualsiasi età tu abbia.
Del
futuro abbiamo fatto un idolo, adoriamo ciò che deve venire, l’ultima versione
di tutto, come se nuovo fosse ciò che è recente e non ciò che è inesauribile,
che dà qualcosa a ogni incontro (Beethoven è più nuovo dell’ultima hit), e ci
illudiamo che, ottenuto qualcosa, avremo pace, ma sappiamo bene che il
desiderio è infinito, vuole sempre dell’altro. E poiché dai desideri dipende il
destino, la materializzazione del futuro ci porta a costruire «carriere»
anziché «cammini», «accelerazioni» più che «destinazioni», la velocità è
preferita alla verità. Quale verità? «Che cosa avete fatto o farete oggi che
rimarrà per sempre?», ho chiesto.
Le
risposte, dettate da una ancora quasi intatta purezza, mostravano che il futuro
è destino fatto tempo, e quindi carne, oggi. Che cosa hanno risposto?
«Comincio
a scrivere un libro di mitologia giapponese», «Leggo di dinosauri e mi piace
cercare cose perdute, voglio fare il paleontologo», «Il mio allenamento di
ginnastica ritmica», «Per me il per sempre è sciare: mi sento al mio posto, non
vedo l’ora di riprendere», «Voglio diventare ferroviere come mio nonno che mi
ha fatto scoprire la bellezza dei treni. Il momento più bello è stato un
Milano-Roma con lui, in cabina», «Cantare, tutte le volte che posso canto e
soprattutto quando non so gestire le mie emozioni, cantare mi salva», «La
lezione di latino di oggi: mi affascina che quelle parole siano state dette
così tanto tempo fa e siano finite in tante lingue»...
A
ciascuno di loro ho allora chiesto: «Quando te ne sei accorto, quando è
cominciato questo presente carico di futuro?». Hanno risposto: «da sempre»,
«sin da piccolo», «non ricordo, me lo sono ritrovato».
Il
futuro
Il
futuro è già dentro di noi, non è fuori, non è dopo, ma è già. Avete mai
pensato al paradosso linguistico per cui i posteri sono quelli “post”, dal
latino “dopo” e “dietro”, mentre gli antenati sono quelli “ante”, dal latino
“prima” e “davanti”? Il futuro è dopo perché è dietro, ancora invisibile (per
vederlo devi voltarti), mentre il passato è prima perché è davanti, davanti ai
nostri occhi, purché siano ben aperti. Siamo originali quindi nella misura in
cui siamo originari, ci colleghiamo e facciamo fiorire ciò che DNA ed
educazione hanno seminato in noi. L’interazione tra genetica ed epigenetica
(l’ambiente in cui cresciamo) ci mostra sempre più quanto conta per la nostra
destinazione ciò di cui veniamo dotati nei primi 1000 giorni della nostra
esistenza, e soprattutto nei 280 nel grembo materno.
L’universo
ha cominciato a espandersi 14 miliardi di anni fa, e non si è mai data né mai
più si darà, una configurazione di atomi come ciascuno di quei ragazzi. Il
futuro svanisce quando si perde questa origine-originalità. E che cosa la
minaccia? Tutto ciò che punta a “intruppare” e “uniformare”, quello che fa ogni
“regime”, e purtroppo anche la scuola, come è fatta oggi, tende a ignorare
l’unicità di cui è ciascuno è portatore, non rispondendo quindi alla propria
vocazione: aiutare ciascuno a cercare nel mondo, sempre più autonomamente, ciò
che gli serve per fiorire. Da insegnante mi chiedo: che cosa non si è mai visto
nella storia umana che solo questo ragazzo può essere e fare? Questo lo aiuterà
ad “andar bene”: cioè, a camminare in direzione di se stesso e del mondo.
Quando Dante incontra il suo maestro nell’aldilà, Brunetto Latini gli dice che,
se non fosse morto, avrebbe speso le sue energie per dare “conforto” ai doni
evidenti nel giovane Alighieri. L’educazione è questo: con-forto, cioè “dare
forza” a ciò che è embrionale, potenziale ma potente, sia scoprendolo insieme
sia esercitandolo, come un allenatore che mette il giocatore al posto giusto.
La
libertà
Oggi
invece prevale il modello della libertà assoluta: decidere chi sei e che cosa
vuoi senza rispetto di quei «sin da piccolo», «da sempre», «me lo sono
ritrovato». Ma per avere una destinazione non basta deciderla: è compimento di
un destino che abbiamo già dentro di noi e che va scoperto poco a poco. Quando
Ulisse compare sulla scena del suo poema è in lacrime su una spiaggia. Si trova
da sette anni sull’isola di Calipso e vuole tornare a casa. Quell’isola è un
paradiso, Calipso è una dea innamorata di lui e stare con lei lo rende
immortale. Eppure Ulisse piange: si sente separato dalla sua destinazione (Itaca)
perché è separato dal suo destino (ciò per cui “da sempre” è fatto). Presso
Calipso, che significa “colei che nasconde, che copre”, Ulisse non può “venire
alla luce”, “scoprirsi” e “scoprire”. Deve prendere la via del mare anche se
questo comporterà dolore. Non è l’eroe della curiosità, ma del nascere
attraverso l’esperienza del limite.
Itaca
Itaca
non è fuori di lui, ma dentro di lui, già fatta ma tutta da fare. Ho cercato di
raccontarlo in «Resisti, cuore - L’Odissea e l’arte di essere mortali», che ho
scritto perché da anni conosco le lacrime di chi ha un’Itaca nel cuore da cui è
separato, o perché non è stato aiutato a scoprirla o perché non è stato
“confortato” nell’intraprenderne la ricerca. Itaca vuol venire alla luce, c’è
da sempre, come mi ha ricordato la risposta che l’amato cantautore Angelo
Branduardi ha dato in una recente intervista su questo giornale, alla domanda
sul suo talento con il violino: «Sono dotato di un talento fisico che non
capisco, perché io inciampo, non so cambiare una lampadina, non so fare nulla:
è strano che abbia questa coordinazione su uno strumento così complesso». È
strano? No, è originale: un destino, e quindi una destinazione, un presente
(sinonimo anche di “dono”) e quindi, se scoperto, ricevuto e allenato, un
futuro.
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