Ha
suscitato un vespaio di polemiche lo spot pubblicitario di una nota catena di
supermercati in cui molti hanno visto una colpevolizzazione delle coppie
separate e una difesa ideologica della famiglia tradizionale, in contrasto con
altri che invece l’hanno apprezzato e difeso.
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di Giuseppe Savagnone*
È
opportuno, prima di tutto, spiegare di cosa parliamo. Si tratta di un piccolo
cortometraggio, di due minuti, di cui è protagonista una bambina. Nella prima
scena, all’interno di un supermercato, la mamma la cerca preoccupata e poi la
trova vicino al banco della frutta. «Vuoi una pesca? Potevi dirlo», la
rimprovera. Poi tornano a casa e la madre, in macchina, cerca di parlare con la
bambina, che però è visibilmente assorta e triste.
Nella
scena successiva suonano alla porta. Si capisce che è venuto il padre a
prenderla, perché i genitori sono separati. La bambina entra nell’auto, tira
fuori la pesca dallo zainetto e la porge al padre con un sorriso: «Te la manda
la mamma».
Sembra
passato un secolo dai caroselli che presentavano un’immagine idilliaca della
famiglia, come quella proverbiale de «Il Mulino bianco». L’idea dello spot è
piuttosto di rappresentare quella reale, che abbiamo tutti sotto gli occhi, con
tanti genitori separati o divorziati e i figli che fanno la spola tra il papà e
la mamma.
Ma
è proprio questo che ha suscitato accese discussioni sui social e ha avuto perfino
una ricaduta a livello politico. Tra i primi a puntare il dito contro la
pubblicità, l’account «Aesteticasovietica», che ha commentato: «Ma è il nuovo
spot o un’enciclica contro il divorzio?» e ha accusato lo spot di scatenare un
«feroce disumano, giudicante senso di colpa» nei genitori separati. «La
tossicità di questa narrazione», secondo l’account, «consiste nel considerare
come necessariamente drammatica una separazione che invece molto spesso
coincide con una liberazione».
Sulla
stessa linea un altro blog “alternativo” molto seguito, «Mammadimerda», secondo
cui il video «in un solo colpo rinforza sensi di colpa e stigmatizza divorzio e
figli di divorziati», mentre i tempi sono maturi per «scindere il concetto di
coppia da quello di famiglia e quello di famiglia dalla genitorialità».
Di
parere opposto lo psicoterapeuta Alberto Pellai: «La pesca che la bambina dona
al suo papà, dicendo che gliel’ha data la mamma, è un’onda che arriva e
travolge noi adulti perché ci mostra che nessun bambino è mai felice quando due
genitori si separano. E questa è l’unica verità di cui dobbiamo diventare
consapevoli. Questo spot ce la racconta. E ce la racconta bene. Non
stigmatizza, non condanna, non colpevolizza, al contrario fa ciò di cui tutti i
bambini hanno bisogno quando due genitori si separano: responsabilizza gli
adulti. Forse per questo è così divisiva e perturbante».
Voci
isolate di persone che non hanno altro a cui pensare, dirà qualcuno. E invece
no. La discussione sullo spot si è scatenata sui social e ha diviso l’opinione
pubblica, trovando una risonanza anche a livello politico.
È
intervenuta addirittura la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha
definito il video «molto bello e toccante». Poi è stata la volta del
vice-premier, Matteo Salvini, che lo ha considerato «uno splendido messaggio di
Amore e Famiglia».
Da
parte loro, invece, non hanno risparmiato critiche gli esponenti della
Sinistra: «Mi sembra davvero sbagliato, in questo e in altri casi, mettere in
mezzo la sofferenza dei bambini su temi delicati per scopi commerciali», ha
scritto Pier Luigi Bersani su Twitter.
All’apprezzamento
della premier ha reagito, da parte sua, l’esponente di Sinistra italiana Nicola
Fratoianni: «Presidente Giorgia Meloni, vedo che commenta lo spot di una nota
catena di supermercati ma che non dice nemmeno una parola sul carrello della
spesa di milioni italiani, separati e non. Per loro anche una pesca rischia di
diventare un lusso. L’Italia attende risposte».
Davanti
a questa inattesa risonanza, la catena dei supermercati che ha commissionato la
pubblicità ha preso le distanze da ogni interpretazione ideologica. «Con il
film “La Pesca”» – ha chiarito un comunicato del gruppo – «si è voluto porre
l’accento sull’importanza della spesa, che non viene vista solo come un
acquisto, ma descritta come qualcosa che ha un valore più ampio».
Una
“filosofia” che nasconde qualcosa
Forse
è il caso di dire subito che la sorpresa e perfino l’irritazione di alcuni, di
fronte a tante discussioni su una banale pubblicità, non tengono conto che, da
sempre, i messaggi commerciali veicolano spesso, senza che gli utenti se ne
rendano conto, un modo di vedere la vita e la realtà destinati ad influenzarli.
Le
immagini, gli slogan, anche quando sembrano riguardare solo dei prodotti, non
sono innocenti. Sono studiati da esperti in modo da toccare zone inconsce della
psiche umana, influenzandola ben al di là dell’obiettivo immediato del singolo
acquisto. Dietro molti messaggi di cui siamo oggi giorno destinatari, fin dalla
più tenera infanzia, c’è una “filosofia”.
Che
una volta tanto – ma dovrebbe capitare più spesso – se ne stia prendendo
coscienza e discutendo apertamente, dipende forse dal fatto che si tratta,
questa volta, di una provocazione che è in contrasto con quella del politically
correct dominante.
Nei
nostri spot pubblicitari, ma anche nel cinema e nelle serie televisive, il
grande protagonista è ormai da tempo il single, legato a un partner da un
rapporto opzionale e non vincolante, in nome di una libertà che ha orrore per i
legami definitivi: «Stiamo insieme finché stiamo bene insieme». E così saremo
tutti felici e contenti.
Questa
immagine rassicurante nasconde in realtà alcune verità scomode. Prima fra tutte
quella che ogni nostra scelta, anche la più personale, ricade sempre su qualcun
altro. Non è vero, come si sente ripetere, che «la libertà di ciascuno finisce
dove comincia quella degli altri», come se ci fosse un confine al di qua del
quale a ognuno è permesso di fare ciò che vuole senza dovere rispondere a
nessuno.
Quella
immagine spaziale è illusoria. Il confine non esiste. Nella realtà un
professionista che si lascia andare e non crede più nel suo lavoro, non si
aggiorna, non si impegna; un padre che trascura la famiglia perché si lascia
monopolizzare dalla sua professione; un figlio che si droga o, peggio, si
uccide, incidono pesantemente, con le loro scelte – che sono personalissime! –
, su coloro che stanno intorno a loro. La libertà è sempre anche
responsabilità.
E
questo vale innanzi tutto nei rapporti familiari. Presentare la coppia o la
convivenza come l’incontro tra due single che, attraverso il rapporto, cercano
la propria realizzazione personale – salvo a cambiare partner se la trovano in
un’altra soluzione – nasconde il fatto che attraverso questo incontro nasce
qualcosa di più della pura somma di due individui, che è la famiglia.
Di
questa irriducibilità della comunità familiare ai single che la costituiscono e
alle loro mutevoli preferenze è segno evidente la presenza dei figli e la
responsabilità genitoriale. Qui il legame, lo si voglia o no, è indissolubile.
A un figlio non si può dire che «si sta insieme finché si sta bene insieme». E
forse anche da questo nasce, oggi, la tendenza, nel nostro paese (e proprio
nelle regioni più ricche), a non farne più.
Una
“liberazione” per i figli?
Perciò,
nella logica del politically correct, si deve anche nascondere che la scelta di
rompere un legame di coppia non riguarda soltanto i coniugi o i compagni, ma
ricade sulla pelle dei loro figli, che non possono difendersi.
A
questo scopo, ci si sforza di sottolineare che non bisogna «considerare come
necessariamente drammatica una separazione che invece molto spesso coincide con
una liberazione». Come scrive anche Gramellini sul «Corriere della sera»:
«Molte coppie divorziano proprio per evitare che i figli crescano tra le
tensioni». Insomma, è per il loro bene.
Dimenticando
di aggiungere che è proprio la “filosofia” del single, con la sua logica
autocentrata, che porta sempre più frequentemente a esasperare e drammatizzare
queste tensioni – da sempre inevitabili in una comunità come quella familiare
(ma anche in tute le altre vere comunità) – e a renderle decisive per una
rottura definitiva.
In
realtà, i teorici della nonviolenza spiegano che i conflitti, se correttamente
gestiti, sono fisiologici e possono costituire occasione di crescita e di
accettazione reciproca. Solo se degenerano in violenza, fisica o psicologica,
diventano un motivo per eliminare l’altro – fisicamente o moralmente – dalla
propria vita. Ma questo dipende molto dal modo di affrontarli e di viverli.
La
crisi che porta alla rottura di una famiglia non è un destino inesorabile, ma
il frutto di atteggiamenti e di scelte che hanno un margine di libertà. Senza
mai dimenticare che le loro conseguenze non riguardano solo coloro che li fanno
propri, ma ricadono sui più deboli.
Il
video pubblicitario, involontariamente (era fatto per il mercato), mette in
luce questa scomoda verità. Quello che non si capisce è perché essa sia “di
destra” e come tale venga attaccata dalla “sinistra”.
È
noto che tanto Fratelli d’Italia quanto la Lega hanno sempre sbandierato la
loro fedeltà al valore della famiglia (Forza Italia, dato l’esempio del
comportamento sessuale del suo fondatore, non ne ha avuto il coraggio). Ma è significativo
che Giorgia Meloni non si sia mai voluta sposare e Salvini sia divorziato,
passando da una compagna all’altra. È questo il modello? E poi di quali
famiglie si tratta? Solo di quelle italiane? E quelle che vengono lasciate
annegare nel Mediterraneo, oppure vengono relegate in centri di accoglienza
disumani, dove ogni intimità familiare viene cancellata?
Reciprocamente,
è davvero sorprendente che l’alternativa proposta dalla sinistra – evidenziata
anche dalle proteste nei confronti dello spot – sia un individualismo che, in
nome della rivendicazione indiscriminata dei diritti, mette in ombra il tema
delle responsabilità. Questa è la tradizione liberal-radicale, non quella
socialista e neppure quella cattolica, le due anime da cui era noto il PD.
Forse
oggi i democratici, prima di contare le loro preferenze nei sondaggi,
dovrebbero decidere quale deve essere la loro. Magari ripensando seriamente al
proprio modo di concepire la libertà e il suo ruolo rispetto alle comunità,
prima fra tutte quella familiare. Per evitare che sia uno spot pubblicitario a
far saltar fuori il problema.
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*Scrittore ed editorialista. Pastorale della Cultura Diocesi Palermo
www.tuttavia.eu
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