L’idea di pubblicare i registri di classe
del grande poeta e insegnante
invita a riflettere sulla centralità del ruolo
di docente di scuola primaria.
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di ROBERTO CARNERO
Giorgio
Caproni (1913 1990) è stato uno dei più grandi poeti del Novecento, ma per gran
parte della vita, oltre all'attività letteraria, ha esercitato anche un altro
lavoro: quello di maestro elementare. Ora Garzanti pubblica, a cura di Nina
Quarenghi, i suoi “Registri di classe” (pagine 336, euro 24,00): un volume che
può rappresentare un suggestivo viatico per maestri e professori che in questi
giorni sono alle prese con l'avvio dell'anno scolastico.
Scrittura
e insegnamento sono stati per Caproni due aspetti poco comunicanti tra loro: lo
prova il fatto che egli non ha scritto quasi mai poesie dedicate alla scuola.
Ma sbaglierebbe chi pensasse che l'attività di docente non fosse importante per
lui e che egli avesse scelto questa professione solo per garantirsi uno
stipendio. In realtà è vero il contrario: in pochi casi come in questo si vede
chiaramente la valenza vocazionale dell'essere insegnante.
Caproni,
che era nato a Livorno e a 10 anni si era trasferito con la famiglia a Genova,
aveva frequentato una scuola tecnica, dedicandosi contemporaneamente allo
studio del violino. A 18 anni, dovendo contribuire al magro bilancio familiare,
accetta l’incarico di fattorino presso uno studio legale, rinunciando, con
sofferta decisione, agli studi musicali.
Intanto
la poesia occupa sempre più i suoi giorni e la sua mente, come testimonia la
pubblicazione della sua prima plaquette: Come un’allegoria (1936). Diplomatosi
da privatista all'istituto magistrale, prende servizio come maestro elementare
a Rovegno, paesino montano dell’Alta Val Trebbia, tra Genova e Piacenza.
Comincia così una faticosa carriera che dal 1935 si protrarrà sino al 1973.
Trasferitosi a Roma nel 1938, prende servizio nella scuola “Giovanni Pascoli“,
in una zona popolare e allora periferica della capitale, a sud di Trastevere e
Testaccio. Dopo la parentesi della guerra (che lo vede prima soldato e poi
partigiano in Val Trebbia), torna a Roma, riprendendo a insegnare. Nel 1951
passa alla scuola “Francesco Crispi“, nel quartiere di Monteverde, dove rimarrà
sino al pensionamento.
A
scuola non parlava mai del proprio lavoro letterario. Leggiamo in un appunto
vergato sul registro dell'anno scolastico 19591960: «La Rai ha trasmesso alcuni
miei versi. Sorpresa degli scolari, già colpiti dall’intervista di un quarto
d’ora alla tv, dove sono state lette alcune poesie mie, da me commentate,
tratte da Il seme del piangere, premio Viareggio 1959. Potenza della radio e
della tv! esclamo ironicamente. Ma ho subito smontato i miei piccoli...
ammiratori: “Sono il vostro maestro, e voletemi bene come tale”. Il resto... è letteratura! (Et tout le reste – diceva
Verlaine – est littérature!)».
Rispetto
alla pubblica ribalta alla quale lo consegna la poesia, l'attività didattica di
Caproni, scrive Nina Quarenghi, «rimase nell’ombra, ma, proprio come un’ombra»,
gli «restò cucita addosso (...) per buona parte della vita, e divenne tanto più
marcata quanto più sprigionava luce il Caproni poeta e intellettuale, che
sempre difese la sua professione, talvolta bistrattata». Leggiamo infatti,
sempre nel registro del '59-'60: «Mi sono accorto quanto poco siamo stimati noi
maestri elementari, proprio grazie ai miei... successi letterari. “L’Europeo“
in prima fila s’è chiesto come mai io, nonostante tutto, faccio il maestrino di
scuola. Come se fare il “maestrino di scuola” fosse un “mestieruccio”, e
comunque fosse più facile che “fare” il poeta».
Ma
che tipo di maestro era Caproni? I registri restituiscono l'immagine di un
insegnante in anticipo sui tempi, attento ai bisogni specifici dei suoi
allievi, caratterizzato da un atteggiamento inclusivo (come diremmo oggi),
contrario alle punizioni corporali (in anni in cui la disciplina si teneva
ancora a colpi di bacchetta) ma capace di tenere a bada l'eccessiva vivacità
degli scolari con la propria autorevolezza di docente colto e preparato,
propenso ad attribuire maggiore importanza all'empatia con la classe che non
agli adempimenti burocratici: « Più che tracciare un piano di lavoro da seguire
punto per punto, credo (...) che per questo primo mese », leggiamo nel registro
del 1964-1965, «non mi resti altro da fare che chiamare a raccolta tutte le poche
virtù che posseggo, e di puntare soprattutto su quell’amore (amore eguale
comprensione, eguale intelligenza, eguale conoscenza) che senza dubbio è il
primo “sesamo” capace di schiudere ogni porta e di sciogliere ogni nodo.
Capire, più che studiare, i bambini di fronte ai quali mi trovo; e capire, più
che studiare, me stesso, in modo da potermi adeguare a loro».
Leggere
le pagine dei registri ora pubblicati dà la possibilità di entrare nelle classi
del maestro Caproni, ripercorrendo un arco di quasi quarant'anni (dal 1935 al
1973), in cui l'Italia cambia profondamente: dagli stenti degli anni del
dopoguerra al sempre crescente benessere del periodo successivo.
I
registri contengono descrizioni delle classi e del profitto degli alunni, le
problematiche che si presentano (fino agli anni '50 anche di tipo materiale: la
povertà delle famiglie degli scolari, la mancanza dei libri di testo ecc.), le
relazioni di fine anno con la segnalazione dei fatti notevoli, ma anche
annotazioni di taglio diaristico su ciò che accade in classe e riflessioni sul
mestiere di insegnante: «Gli esperimenti “sul buon contegno”, malgrado certi
casi che certamente non saranno incorreggibili ma che mi fanno disperare, dà i
suoi primi buoni frutti. Ma com’è difficile per un insegnante, com’è faticoso
perseverare! Coraggio» (a.s. 1946-1947).
Leggiamo
in un appunto del febbraio 1953: «Ho letto ai miei scolari le poesie di
Carducci: Teodorico e il Parlamento. L’effetto è stato sorprendente,
contrariamente alle mie aspettative. Devo aver più fiducia in loro e in me
stesso». È, questo, un invito a osare. A credere nelle proprie capacità di
docenti e in quelle dei propri alunni. Un'idea che può servire per cominciare
con fiducia anche questo nuovo anno scolastico.
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