La
logica evangelica
sovverte le categorie del potere
«Voi
sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano
su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole
diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra
voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto per
farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». (Mc
10,2-16)
-di
Miriam D’Agostino
La
logica evangelica sovverte le categorie del potere, e di ogni potere piccolo o
grande che sia.
Nessuno
è esente dall’esercizio del potere, perché sin da bambini con un pianto
“obblighiamo” qualcuno a prendersi cura di noi, della nostra fame, della nostra
sete, del nostro bisogno di cure, attenzioni e coccole, e se quel “qualcuno”
manca o è carente ci lasciamo “morire”.
Il
potere ha diverse sfumature, diversi luoghi e tempi di esercizio, diverse forme
e modalità, differenti linguaggi, accessori, collaboratori e responsabilità.
Quando
qualcuno ha potere su di noi per orari di lavoro, tasse da pagare, compiti da
fare, sentiamo subito il peso della frustrazione di non essere stati noi a
decidere il “come” e il “quando” di una nostra azione, pensiero, emozione.
Quando
invece siamo noi ad agire per potere, ne assaporiamo il fascino, il gusto,
avere qualcuno che fa le cose “come dico io” ci fa sentire “migliori”,
confondendo l’idea che per esserci bisogna essere “migliori” di qualcuno da
trattare da “peggiore”.
Non
nascondiamoci dietro un dito, succede così nelle nostre famiglie, a scuola, al
lavoro, nelle associazioni, nei grandi movimenti, nei club, perché l’esercizio
del potere innesca una parte di noi ineliminabile, l’istinto alla sopravvivenza
e le tentazioni dell’autoreferenza, del fare carriera e anche del nepotismo.
La
logica evangelica del Vangelo si inserisce proprio qui, nella forma che noi
scegliamo di dare ad un elemento creaturale ineliminabile, che ci rimette
continuamente in relazione con gli altri, noi stessi e il Padre. Gesù non
sminuisce minimamente l’autorità di Mosè, il valore della Scrittura, ciò che va
rinnovato, convertito, trasformato, sovvertito è la forma del vivere quel
valore che nell’esperienza di altri (scribi e farisei) sembra aver perso la sua
originaria validità.
La
questione non è non esercitare la propria autorità, la propria libertà, la
propria responsabilità, ma la forma con cui quotidianamente scegliamo viverla.
Il
vangelo ce ne suggerisce il criterio, quello di considerarci “fratelli”, di
vivere relazioni di fratellanza, di non pretendere che nessuno si inginocchi ai
nostri piedi, di trattare l’altro semplicemente da “altro “con la sua
dignità. “Voi siete tutti fratelli”, non
c’è un migliore o un peggiore, ma tutti possiamo riconoscerci fratelli nella
misura in cui ci riconosciamo figli.
Ed
è qui che forse la buona notizia evangelica sovverte le categorie del potere,
imparare a riconoscersi figli, figli di un unico Padre, significa riconoscere
che l’esercizio del mio potere non è arbitrario ma per essere sano, dignitoso,
ha l’unico criterio di riferimento che è quello del Padre. Solo nella misura in
cui riconosciamo il potere del servizio con cui il Padre, nella persona di Gesù
ha esercitato e continua ad esercitare quotidianamente nella fertilità della
storia, e di ogni storia, il nostro vivere e relazionarci sarà quello di creare
relazioni di fratellanza.
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http://www.monasterosantanna.it/la-logica-evangelica-sovverte-le-categorie-del-potere/
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