Pagine

lunedì 14 novembre 2022

COMENIO E LA SCUOLA DELL'INFANZIA

Quando Comenio scoprì la scuola dell’infanzia

 «I genitori debbono allevare ed esercitare i figli prima di affidarli ai precettori in onore di Dio, per loro conforto ma anche per la beatitudine dei bambini» Considerato il padre della pedagogia moderna e molto critico con la scuola dell’epoca, nel 1629 pubblica un testo, ora in nuova edizione italiana, in cui spiega perché occorre educare i bimbi sotto i 6 anni.

 - di SIMONE PALIAGA

 

«Nessuno, tuttavia, può supporre che la gioventù possa formarsi spontaneamente e senza assiduo lavoro appunto se infatti un germoglio che deve trasformarsi in albero ha bisogno di essere seminato, piantato, annaffiato, protetto con una recinzione, sostenuto da un tutore; se una statua lignea necessita di essere sgrossata con l’accetta, intagliata, levigata, scolpita, rifinita, e dipinta con colori vari; se un cavallo, un bue, un asino, un mulo debbono essere addestrati a prestare il loro servizio all’uomo, infine se l’uomo stesso necessita di esercizio nelle attività corporee (affinché acquisisca perizia nel mangiare, bere, correre, parlare, afferrare con le mani, lavorare); in modo che, chiedo, quelle cose più elevate e distanti dai sensi, come la fede, le virtù, la Sapienza e la scienza, possano spontaneamente presentarsi in qualcuno?». Così scrive Jan Amos Komenský (1592-1670), più conosciuto con il nome latinizzato di Comenio, il padre moravo della pedagogia e delle scienze dell’educazione moderne, in un testo poco noto ora pubblicato da Morcelliana. Si tratta della Scuola dell’infanzia, uscito in traduzione italiana con l’attenta curatela di Maria Volpicelli (pagine 232, euro 18), che è stato composto originariamente dall’autore in lingua ceca tra il 1629 e il 1632, e poi volto, nel corso degli anni successivi, in tedesco e in latino, per essere in qualche modo di completamento alla sua Didactica Magna.

 Vissuto nel pieno delle guerre di religione che hanno insanguinato l’Europa moderna tra Cinque e Seicento, e in particolare al tempo della Guerra dei Trent’anni (1618-1648), il pensatore ceco ha portato su di sé i segni di quel secolo di ferro, e soprattutto dell’esilio dalla sua terra natia che lo costrinse a spegnersi ad Amsterdam, settantottenne. Ma non va dimenticato che da quegli anni Comenio ha ricavato anche l’ispirazione da cui poi è sorta la sua riflessione sulla pedagogia e la didattica. Se effettivamente, come precisa Maria Volpicelli, «il suo programma pedagogico e politico è stato concepito in maniera direttamente funzionale al riscatto della nazione boema», esso ebbe delle ricadute ben più a lungo termine.

 Per l’umanista boemo, infatti, la riforma dell’istruzione era l’unico modo per porre rimedio alla crisi culturale e politica che l’Europa stava attraversando nel Seicento. L’importanza decisiva riconosciuta, dal pedagogista (definizione quanto mai restrittiva prendendo in esame il suo percorso!) alla formazione, che si presenta come «emendatio rerum humanarum » e che corre sotterranea in tutta la sua opera suddivisa in circa sessanta tomi, è ripresa e riaffermata con decisione nella Scuola dell’infanzia, che già dal titolo indica quanto nella sua mente albergasse una visione articolata dell’educazione. Occorreva ideare un sistema pedagogico che non si limitasse a intervenire nell’età dell’adolescenza ma, per essere efficace, prevedesse l’inizio dell’azione educativa già negli anni dell’infanzia per poi continuare in ogni fase della vita degli uomini. Tuttavia il cammino in vita dell’uomo non prevede un modello didattico standard, da applicarsi a prescindere dall’età e dalla fase di maturità di ciascuno.

Comenio era ben consapevole, infatti, della specificità di ogni fase dell’esistenza e di come ogni suo momento richiedesse un approccio che non ne ignorasse le caratteristiche particolari. Da qui nacque l’esigenza di pensare la formazione anche del bambino.

 Questa sensibilità per l’uomo visto in tutti i suoi momenti di crescita, e per le arti che gli consen-tono di sviluppare i talenti propri, nasce in Comenio, anche sulla scia offerta dalla grande stagione dell’Umanesimo europeo che agirà su di lui attraverso il tedesco Johann Heinrich Alsted e gli umanisti dell’epoca, dallo spagnolo Juan Luis de Vivès a

 Erasmo e Montaigne, intrecciandosi con il pensiero riformato ereditato dalla sua famiglia. Come già Montaigne e Pascal, Comenio formulò critiche pesanti contro le scuole del suo tempo, che considerava alla stregua di «prigione e tortura della gioventù», incapaci di promuovere la crescita fruttuo-sa dei bambini e degli adolescenti. L’accusa contro le istituzioni educative dell’epoca non era fine a se stessa, ma funzionale a promuovere un profondo ripensamento dei processi di istruzione perché una popolazione istruita possa non solo accedere direttamente alla lettura della Sacra Pagina ma anche «alla pietà, ai costumi e alle buone lettere». Per farlo occorre intervenire fin dalla nascita, e «porre le fondamenta di quelle tre cose».

 Da qui la necessità del curricolo per l’infanzia pensato da Comenio, affinché «i genitori devoti, in parte essi stessi, in parte tramite balie, bambinaie, e altri collaboratori debbono allevare ed esercitare, in maniera veramente ragionevole, il loro gioiello più prezioso di tutti, i bambini, nei primi sei anni, prima che essi vengano consegnati ai precettori, per onore di Dio, per conforto di loro stessi, ma anche per la beatitudine dei bambini». Portavoce, sulla scorta di numerosi passi del Vecchio e del Nuovo Testamento, di un’autentica apologia dell’infanzia, per la quale i bambini sono «specchio della modestia, dell’affabilità, della benignità, della concordia, e di altre virtù cristiane», e comunque «piccole gemme celesti », «immagine ancora non contaminata di Dio», Comenio si avvede che «il bambino è un tesoro più prezioso dell’oro, ma più fragile del vetro, può facilmente farsi del male e rompersi e il danno diventa allora davvero irreparabile».

Per queste ragioni, secondo l’umanista boemo occorre progettare in maniera attenta il cammino formativo del bambino, fin dalla prima infanzia, oltre le metodologie adottate dalle scuole del suo tempo. Per apprendere «a sapere alcune cose, a fare alcune cose, a dire alcune cose: o piuttosto (sapere, fare, dire) tutte le cose eccetto quelle malvagie», occorre muoversi con cautela, dunque, consapevoli che «l’atto di insegnare e di imparare, per sé e per sua natura, - ammonisce a memoria a lui presente, e diremmo soprattutto a memoria futura - è soave e giocondo, puro gioco e delizia dell’anima».

 www.avvenire.it

 

Nessun commento:

Posta un commento