In
un momento che evidenzia l’urgenza di consapevolezza e cultura, il ruolo degli
insegnanti emerge in tutta la sua essenziale importanza
di GIANNI
VACCHELLI
Perché parlare di scuola oggi? Quanto bisogno
abbiamo di occuparcene? E soprattutto: quanto è importante la scuola nel dare
senso e futuro? Sono alcune domande essenziali, che sgorgano dal libro di
Roberto Contu, insegnante di lettere nella scuola secondaria superiore e
scrittore, dal blog Letteratura e noi fino a questo suo Insegnanti
(Il più e il meglio), edito da Aguaplano. Simili domande sono tanto
più cruciali e attuali oggi con gli istituti chiusi, didattica a distanza,
necessità di continuare a insegnare, nonostante l’emergenza e forse proprio per
quello. Questi tempi difficili sono anche rivelativi e vi succede qualcosa
di abbastanza raro e inusuale negli ultimi anni: ci si stringe anche intorno
agli insegnanti. E la loro bistrattata categoria sembra tornare importante e
considerata. Così il Presidente della Repubblica esprime la riconoscenza «agli
insegnanti che mantengono il dialogo con i loro studenti», e il critico Romano
Luperini torna a parlare «della funzione insostituibile che svolgono».
Del resto questo momento è come un telescopio e un
microscopio che può permetterci di vedere meglio lo stato delle cose, anche per
iniziare a meditare un futuro più giusto, più consapevole pure per la scuola. E
il libro di Contu dà spunti per leggere in prospettiva ciò che è stato,
l’adesso e il dopo. Nasce dall’esperienza diretta di chi la scuola la fa, la
vive in prima persona, con passione e competenza, riflettendo sull’esperienza
educativa stessa. Qui il circolo virtuoso di prassi e teoria si rilancia continuamente.
La fenomenologia dell’insegnante è varia. C’è l’insegnante burocrate spento,
l’insegnante autoreferenziale dell’ “io faccio, io sono”, quello altruista,
missionario e sacrificale. E poi c’è l’insegnante che ha la giusta stima di sé,
per averla dell’altro. Studia, si prepara, è curioso. Contagia lo studente
della passione per la conoscenza che non cessa di abitarlo.
Contu scrive belle pagine su una parola così
desueta, nel degrado civile di questi anni: virtù. L’insegnante che cerca di
essere onesto, corretto, e si sforza di essere giusto. Prudenza, equilibrio,
buon senso, comportamento adulto, maturo, capacità di mettersi in discussione e
dialogare. Nulla di agiografico. Massima concretezza. Chi ha esperienza diretta
di insegnamento sa per certo come questo piccolo glossario di “virtù cardinali”
sia essenziale per il benessere di tutti in classe, professore compreso. L’insegnante
di cui la scuola ha bisogno è un intellettuale, perché «gli intellettuali oggi
possono abitare solo in quella specie di riserva indiana chiamata scuola», più
che nell’accademia. Lo afferma ancora Luperini, in una lezione che rimane
impressa nella memoria degli studenti e di Contu stesso. Una cosa è il ruolo e
l’altra la funzione dell’insegnante. C’è il ruolo di chi deve sapere riempire
un registro, e «la funzione di chi, adempiendo al proprio man- dato,
accende la coscienza di un adolescente e spiega perché Dante sì a scuola e
Folcacchiero dei Folcacchieri no». Un insegnante simile è sempre work
in progress: coltiva l’autorevolezza, non l’autoritarismo. È sicuro di
sé, della sua esperienza, di una preparazione acquisita con lo studio ed
esercitata, ma non cessa di avere dubbi sul suo operare.
La tanto vituperata «lezione frontale » è difesa con
equilibrio e intelligenza. Nessun passatismo. Nessun rifiuto delle tecnologie
digitali. Ma la lezione frontale è insostituibile, perché senti e sperimenti
«che tutto ciò che si conosce realmente e seriamente passa e arriva senza
troppo faticare, quasi per osmosi verbale». E l’insegnante nella lezione
frontale non è di fronte, ma al centro, di una classe che, nei momenti più
felici, si fa comunità ermeneutica, con lui e grazie alla pregnanza dei testi e
degli autori letti. Curioso di altre forme di apprendere, aiuta i giovani a
recuperare «una dimensione complessa a fronte della disgregazione granulare
operata dalla rete».
Una delle sfide assolutamente necessarie per
“l’insegnante di Contu” è quella di portare in aula i classici, in modo
appassionato e rigoroso insieme. I classici nutrono. I classici sono vivi, i
classi piacciano, colpiscono, anche quando sono ardui e difficili. Ma sta qui
il ruolo dell’insegnante. E se far amare Dante pare quasi scontato, la sfida è
di avvicinare i ragazzi a Petrarca, meno immaginifico, più interiorizzato,
ma di affascinante modernità. Bisogna «portare a spasso il canone», allargarlo,
aggiornarlo ai più grandi del secondo novecento, sperimentarlo, su se stessi e
sui ragazzi, per vedere cosa tiene e cosa no, non solo in sé ma in relazione a
loro e a noi che lo insegniamo.
Ma forse le pagine più dense del saggio sono quelle
finali. Fare scuola non è facile, perché il contesto che ci circonda è
degradato: semplificazioni, delegittimazione dell’insegnante, dichiarata
inutilità della cultura, pensiero unico, mercificazione radicale, razzismo e
brutalità. Fare scuola è difficile perché «fare scuola oggi è contro natura».
Significa lotta e resistenza di fronte all’istinto bestiale, alla
disgregazione, al non senso, cercando di tessere accoglienza, dubbio
umanizzante, civiltà per «produrre quotidianamente senso e futuro».
Certo si potrebbe obiettare a Contu che la sua
visione è dentro il «mito della scuola», un mito di valore certo, ma sempre
parziale. La scuola ha anche una violenta controproduttività: fa disamorare,
annichilisce, toglie fiducia, esclude. La lezione di Ivan Illich è ineludibile.
Se la scolarizzazione è cruciale, bisogna anche de–scolarizzare la società
perché la scuola non ha il monopolio dell’educazione. Piacerebbero anche uno
smascheramento più acuminato delle politiche neoliberiste aziendalizzanti che
vessano la scuola e una maggiore radicalità in vista di una didattica della
liberazione: i giovani in questo sistema economicistico non hanno futuro, così
come è a rischio il pianeta. La scuola deve risvegliare anche in questo senso.
Ma i meriti del libro sono molti. E l’insegnante che
Contu tratteggia è anche quello di cui abbiamo bisogno in questo frangente.
Diligente, appassionato e critico, userà la didattica a distanza come necessità
del momento, che mai può sostituire la carne e il sangue del fare aula insieme.
Non scimmiotterà la scuola che non può fare adesso, ossessionato da valutazioni
e compiti in classe. Accompagnerà gli studenti aiutandoli a leggere il presente
e facendo loro intravedere che le “pesti” hanno una storia, delle conseguenze
anche gravi, ma possono essere superate. Non scimmiotterà cerbero o caronte, ma
sarà lui stesso alla scuola di Virgilio o dell’angelo nocchiero danteschi.
Perché servono forza, equlibrio e levità per uscire insieme a riveder le
stelle.
Roberto Contu, Insegnanti. Il più e il
meglio
Aguaplano. Pagine 144. Euro 16,00
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