Per un pugno di “like”, la trappola del successo
La psicoterapeuta
Versari: «Oggi la ricerca di potere, denaro e notorietà è una vera dipendenza.
Social, reality e chirurgia estetica sono spie di una cultura narcisista.
Donarsi agli altri aiuta a dare un senso anche
alla sofferenza»
di Antonio Giuliano
Ci sono dipendenze e dipendenze. Quella più subdola non riguarda
droghe, alcol o gioco, ma si annida spesso dentro di noi e facciamo fatica ad
ammetterla. È la dipendenza dal successo, che si esprime per lo più sotto forma
di ricerca di potere, denaro o notorietà. Una tesi sostenuta nel suo ultimo
lavoro dalla psicoterapeuta Paola Versari, docente invitata all’Università
Auxilium di Roma, formatasi alla scuola di Logoterapia e analisi
esistenziale di Viktor E. Frankl. Si chiama L’inganno del successo (Ares,
pagine 144, euro 15) il saggio che diventerà presto anche una performance
coreografica presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma. È un testo che
fa riflettere visto che spesso basta un pugno di like per continuare a rimanere
prigionieri di noi stessi, incapaci di trovare uno scopo e un significato alla
nostra vita. Un rischio avvertito peraltro dallo stesso scrittore Dostoevskij
secondo cui «il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere ma
anche nel sapere per che cosa si vive».
Professoressa Versari perché è così diffuso
l’inganno del successo?
Si va consolidando una cultura individualista e narcisista, ce ne
accorgiamo da tanti comportamenti quotidiani: senso di grandiosità che porta a
sentirsi senza motivo superiore agli altri; fantasie illimitate di fascino,
bellezza, intelligenza; credere di essere “speciali” e richiedere eccessiva
ammirazione; pretendere che tutto sia dovuto, usare le persone per i propri
scopi, avere difficoltà a empatizzare con i sentimenti e le necessità degli
altri; avere atteggiamenti arroganti e presuntuosi, provare rabbia alla
presenza di critiche da parte degli altri…
I social network amplificano questo fenomeno?
Sono una straordinaria risorsa ma anche un inganno quando diventano
veicoli per creare una falsa identità. Ci sono infatti quelli che tentano
disperatamente di ispirarsi a un individuo “di successo”, mostrando una falsa
immagine di sé. E non sono solo i nativi digitali, ma anche i meno giovani.
Non c’è il rischio di demonizzare i social?
Non vanno demonizzati ma usati con consapevolezza. Dovrebbero
rappresentare un accessorio utile a favorire e consolidare le relazioni: ma non
possono, però, sostituirsi alle vere relazioni, che non sono quelle
esclusivamente virtuali, ma i rapporti reali. Quelli in cui le persone sono
capaci “dal vivo” di mostrarsi e conoscersi per quello che realmente sono,
anche nei loro limiti e nelle loro fragilità. Ma, a quanto pare, il
bisogno di apparire come dei vincenti, come persone di successo, ha la meglio.
Oggi spopolano anche i reality show…
Sono la rappresentazione mediatica di questa cultura narcisista, in cui
l’immagine di persona di successo nasconde spesso la desolazione di un vuoto
interiore. Lo statunitense Jonathan Taplin, in un libro sui “sovrani” del
nostro tempo, i social, rileva come negli ultimi dieci anni 21 ex
concorrenti di reality show, dopo aver assaggiato il successo, si sono tolti la
vita: una conferma della natura transitoria ed effimera della fama.
L’approccio di Frankl invece invita ad alzare lo
sguardo.
Nel suo modello psicoterapeutico e anche educativo ciò che può dare un
senso alla vita di una persona, è esattamente il contrario
dell’autoattualizzazione. L’uomo di successo è chi, attraverso la dimenticanza
di sé stesso, si dedica a uno scopo preciso: una causa alla quale dedicarsi, un
“tu” al quale relazionarsi, un Dio da servire… Solo così è possibile realizzare
una vita davvero significativa, e perciò di successo: addirittura trovando un
senso alla sofferenza.
Ma oggi, nella società del selfie, siamo più
portati a specchiarci in noi stessi.
Quella del selfie è l’ossessione più emblematica di questa tendenza
all’ autoattualizzazione, di questo bisogno irrefrenabile di nutrire una
immagine di sé da esibire per essere approvati, riconosciuti, apprezzati.
Cresce anche il ricorso alla chirurgia estetica…
Non solo tra i più adulti, ma anche tra i giovanissimi: l’immagine
corporea perfetta da mostrare porta un numero crescente di ragazzine (e
ragazzini) a chiedere a mamma e papà un ritocchino per festeggiare l’ingresso
alla maggiore età…. Gli adolescenti che mostrano questo desiderio sono più
spesso quelli che hanno un genitore che a sua volta è ricorso a questo tipo di
chirurgia. Le veline o gli sportivi muscolosi che popolano la tv o i social
divengono modelli da imitare. A tutti i costi.
Nel libro a proposito della mendacità del successo
riflette in particolare sulle star dello spettacolo. Di recente Vasco Rossi sui
social si è autodefinito un «emarginato di lusso»…
Mi ha molto colpito leggere le affermazioni coraggiose di Vasco Rossi
che mettono il focus su quel senso di vuoto che opprime chi scommette su un
falso successo. Tuttavia non basta riconoscere questo inganno, ma occorre
trovarne l’antidoto: uscire da sé stessi per darsi a qualcosa o qualcuno. Non
si tratta di demonizzare il successo esteriore per chi lo abbia raggiunto. Ma
questo è solo la conseguenza di un compito riuscito, non dovrebbe essere
cercato intenzionalmente.
Lei sostiene che un’ottima terapia è l’umorismo.
Sì, l’autoironia in particolare è uno dei più efficaci rimedi anti–
narciso. È certamente più facile ridere di qualcuno o per qualcosa, piuttosto
che ridere di sé stessi. Ma ridere di sé è una vera e propria ascesi, che può
schiudere a guardare oltre noi stessi, l’unico orientamento in grado di garantire
il successo. Un successo senza inganno.
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