Lʼitaliano, lingua
ricca usata malamente
- di Alfonso Berardinelli
Dato che non sono un linguista, mi permetto di non
pensarla come i linguisti e disubbidire al loro primo comandamento deontologico
secondo cui la linguistica, per essere scientifica, deve essere avalutativa:
deve cioè registrare e descrivere i fenomeni usuali senza giudicarli, perché
giudicare, se non è prescrivere, può esserlo implicitamente. In verità c’è
anche qualcosa da obiettare all’idea di linguistica come scienza “libera da
valori”. Così la pensava proprio il maggiore sociologo del secolo scorso, Max
Weber: ma da un punto di vista un po’ più filosofico o solo limitatamente
marxista, l’idea weberiana di scienza sociale ha meritato le critiche di chi
vedeva nella sua scientificità un eccesso di zelo professionale o professorale,
che si rassegna ad accettare i fatti come sono senza permettersi di valutarli.
Ma si possono studiare le società umane come si studiano gli ambienti naturali?
Personalmente non credo e non lo vorrei mai. In ogni
società umana c’è senza dubbio una parte di natura, a cui si aggiunge però una
decisiva parte di cultura, di giudizio critico e libera scelta. La
linguistica è una scienza sociale, non una scienza naturale: i suoi fenomeni,
essendo un prodotto di scelte umane, presuppongono giudizi e devono perciò
prevedere di essere giudicati almeno in termini di effetti provocati da cause.
Nella presente situazione mondiale, così
drammatica da farci scambiare i numeri dei morti per puri numeri, succede
di ascoltare più di prima discorsi radiofonici e televisivi. Si
notano così una serie di tic linguistici più o meno recenti del
“parlato pubblico”, tic che fanno pensare a un particolare genere di
impoverimento, ma anche di artificiosità verbale, più dovuti ad
acculturazione, enfasi e snobismo che a ignoranza. Per esempio: ormai
nessuno usa più
i semplici articoli dopo il verbo senza aggiungere
un certo riempitivo inutile. Così, invece di dire «vanno considerati i rischi»
oppure «mettere in conto le perdite», si dice «vanno considerati quelli che
sono i rischi» e «mettere in conto quelle che sono le perdite», eccetera:
«quello che sarà il nostro futuro», «quello che è il nostro debito pubblico»,
«quella che è la natura del nostro territorio», «quelle che sono le nostre
idee»... Termini come “problemi”, “difficoltà”, “guasti”, “ritardi”, “inadempienze”,
vengono sostituiti da un solo termine: “criticità”, identico al singolare e al
plurale. Invece di dire “grave”, “notevole”, “interessante”, “preoccupante”,
“rilevante”, “in aumento”, “in diminuzione”, “che fa pensare”, si dice:
“importante” (a orecchio mi sembra un uso anglicizzante). Invece di “spiegare”,
“descrivere”, “chiarire” o semplicemente “dire”, si usa indiscriminatamente
“raccontare”, e invece di “idea” o “interpretazione” si preferisce “narrazione”
(in effetti tutti scrivono romanzi e non pochi raccontano balle). Quanto a “ lockdown” invece
di “chiusura”, non sarebbe stato più educato e civile, in stato di emergenza e
in un Paese in cui gli ultrasettantenni non anglicizzati abbondano, evitare un
tale termine mai usato prima? Accadde già con “ spread”, che
in quel caso voleva dire differenziale, differenza, scarto. Ma evidentemente
quando si tratta di economia la lingua italiana è proibita... Suona inadeguata
o volgare.
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