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sabato 18 aprile 2020

LA SCUOLA E' FUTURO. ANCHE NELL'EMERGENZA

In un momento che evidenzia l’urgenza di consapevolezza e cultura, il ruolo degli insegnanti emerge in tutta la sua essenziale importanza

di GIANNI VACCHELLI

Perché parlare di scuola oggi? Quanto bisogno abbiamo di occuparcene? E soprattutto: quanto è importante la scuola nel dare senso e futuro? Sono alcune domande essenziali, che sgorgano dal libro di Roberto Contu, insegnante di lettere nella scuola secondaria superiore e scrittore, dal blog Letteratura e noi fino a questo suo Insegnanti (Il più e il meglio), edito da Aguaplano. Simili domande sono tanto più cruciali e attuali oggi con gli istituti chiusi, didattica a distanza, necessità di continuare a insegnare, nonostante l’emergenza e forse proprio per quello. Questi tempi difficili sono anche rivelativi e vi succede qualcosa di abbastanza raro e inusuale negli ultimi anni: ci si stringe anche intorno agli insegnanti. E la loro bistrattata categoria sembra tornare importante e considerata. Così il Presidente della Repubblica esprime la riconoscenza «agli insegnanti che mantengono il dialogo con i loro studenti», e il critico Romano Luperini torna a parlare «della funzione insostituibile che svolgono».
Del resto questo momento è come un telescopio e un microscopio che può permetterci di vedere meglio lo stato delle cose, anche per iniziare a meditare un futuro più giusto, più consapevole pure per la scuola. E il libro di Contu dà spunti per leggere in prospettiva ciò che è stato, l’adesso e il dopo. Nasce dall’esperienza diretta di chi la scuola la fa, la vive in prima persona, con passione e competenza, riflettendo sull’esperienza educativa stessa. Qui il circolo virtuoso di prassi e teoria si rilancia continuamente. La fenomenologia dell’insegnante è varia. C’è l’insegnante burocrate spento, l’insegnante autoreferenziale dell’ “io faccio, io sono”, quello altruista, missionario e sacrificale. E poi c’è l’insegnante che ha la giusta stima di sé, per averla dell’altro. Studia, si prepara, è curioso. Contagia lo studente della passione per la conoscenza che non cessa di abitarlo.
Contu scrive belle pagine su una parola così desueta, nel degrado civile di questi anni: virtù. L’insegnante che cerca di essere onesto, corretto, e si sforza di essere giusto. Prudenza, equilibrio, buon senso, comportamento adulto, maturo, capacità di mettersi in discussione e dialogare. Nulla di agiografico. Massima concretezza. Chi ha esperienza diretta di insegnamento sa per certo come questo piccolo glossario di “virtù cardinali” sia essenziale per il benessere di tutti in classe, professore compreso. L’insegnante di cui la scuola ha bisogno è un intellettuale, perché «gli intellettuali oggi possono abitare solo in quella specie di riserva indiana chiamata scuola», più che nell’accademia. Lo afferma ancora Luperini, in una lezione che rimane impressa nella memoria degli studenti e di Contu stesso. Una cosa è il ruolo e l’altra la funzione dell’insegnante. C’è il ruolo di chi deve sapere riempire un registro, e «la funzione di chi, adempiendo al proprio man- dato, accende la coscienza di un adolescente e spiega perché Dante sì a scuola e Folcacchiero dei Folcacchieri no». Un insegnante simile è sempre work in progress: coltiva l’autorevolezza, non l’autoritarismo. È sicuro di sé, della sua esperienza, di una preparazione acquisita con lo studio ed esercitata, ma non cessa di avere dubbi sul suo operare.
La tanto vituperata «lezione frontale » è difesa con equilibrio e intelligenza. Nessun passatismo. Nessun rifiuto delle tecnologie digitali. Ma la lezione frontale è insostituibile, perché senti e sperimenti «che tutto ciò che si conosce realmente e seriamente passa e arriva senza troppo faticare, quasi per osmosi verbale». E l’insegnante nella lezione frontale non è di fronte, ma al centro, di una classe che, nei momenti più felici, si fa comunità ermeneutica, con lui e grazie alla pregnanza dei testi e degli autori letti. Curioso di altre forme di apprendere, aiuta i giovani a recuperare «una dimensione complessa a fronte della disgregazione granulare operata dalla rete».
Una delle sfide assolutamente necessarie per “l’insegnante di Contu” è quella di portare in aula i classici, in modo appassionato e rigoroso insieme. I classici nutrono. I classici sono vivi, i classi piacciano, colpiscono, anche quando sono ardui e difficili. Ma sta qui il ruolo dell’insegnante. E se far amare Dante pare quasi scontato, la sfida è di avvicinare i ragazzi a Petrarca, meno immaginifico, più interiorizzato, ma di affascinante modernità. Bisogna «portare a spasso il canone», allargarlo, aggiornarlo ai più grandi del secondo novecento, sperimentarlo, su se stessi e sui ragazzi, per vedere cosa tiene e cosa no, non solo in sé ma in relazione a loro e a noi che lo insegniamo.
Ma forse le pagine più dense del saggio sono quelle finali. Fare scuola non è facile, perché il contesto che ci circonda è degradato: semplificazioni, delegittimazione dell’insegnante, dichiarata inutilità della cultura, pensiero unico, mercificazione radicale, razzismo e brutalità. Fare scuola è difficile perché «fare scuola oggi è contro natura». Significa lotta e resistenza di fronte all’istinto bestiale, alla disgregazione, al non senso, cercando di tessere accoglienza, dubbio umanizzante, civiltà per «produrre quotidianamente senso e futuro».
Certo si potrebbe obiettare a Contu che la sua visione è dentro il «mito della scuola», un mito di valore certo, ma sempre parziale. La scuola ha anche una violenta controproduttività: fa disamorare, annichilisce, toglie fiducia, esclude. La lezione di Ivan Illich è ineludibile. Se la scolarizzazione è cruciale, bisogna anche de–scolarizzare la società perché la scuola non ha il monopolio dell’educazione. Piacerebbero anche uno smascheramento più acuminato delle politiche neoliberiste aziendalizzanti che vessano la scuola e una maggiore radicalità in vista di una didattica della liberazione: i giovani in questo sistema economicistico non hanno futuro, così come è a rischio il pianeta. La scuola deve risvegliare anche in questo senso.
Ma i meriti del libro sono molti. E l’insegnante che Contu tratteggia è anche quello di cui abbiamo bisogno in questo frangente. Diligente, appassionato e critico, userà la didattica a distanza come necessità del momento, che mai può sostituire la carne e il sangue del fare aula insieme. Non scimmiotterà la scuola che non può fare adesso, ossessionato da valutazioni e compiti in classe. Accompagnerà gli studenti aiutandoli a leggere il presente e facendo loro intravedere che le “pesti” hanno una storia, delle conseguenze anche gravi, ma possono essere superate. Non scimmiotterà cerbero o caronte, ma sarà lui stesso alla scuola di Virgilio o dell’angelo nocchiero danteschi. Perché servono forza, equlibrio e levità per uscire insieme a riveder le stelle.

Roberto Contu, Insegnanti. Il più e il meglio
Aguaplano. Pagine 144. Euro 16,00



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