Uno sconvolgimento globale
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di Giuseppe Savagnone
Almeno in
Italia, il coronavirus sembra avere toccato il suo picco e, pur permanendo
l’emergenza sanitaria, si comincia a fare più pressante l’interrogativo sul
“dopo”. Perché ci rendiamo conto che questa pandemia non è stata solo un
“incidente di percorso”, ma il più radicale sconvolgimento a livello planetario
dopo la seconda guerra mondiale. Niente, probabilmente, sarà più come prima.
Un “sistema” che il Sessantotto aveva contestato
senza riuscire a intaccarlo veramente, che il terrorismo aveva simbolicamente
colpito, con l’attentato dell’11 settembre, in modo più spettacolare che
sostanziale, nel giro di tre mesi è stato travolto a livello finanziario –
borse in picchiata –, economico – attività produttive e commerciali bloccate –,
sociale – rapporti umani sospesi o affidati esclusivamente a internet –,
religioso – funzioni religiose di ogni tipo sospese.
La politica senza più alibi
Non sappiamo ancora come sarà possibile uscire da
questa crisi, ma fin da adesso è chiaro che un ruolo decisivo spetterà alla
politica. Ora che la pretesa inviolabilità delle regole del mercato
neocapitalistico è stata messa in crisi dal coronavirus, emerge l’importanza
delle scelte politiche che stanno dietro i dettami dell’economia e della
finanza. La pandemia smaschera l’illusione della “mano invisibile”, che
affidava al libero gioco degli interessi particolaristici il raggiungimento del
miglior risultato per la comunità, mettendo in piena luce l’insostituibile
responsabilità di chi ha il compito di garantire il perseguimento del bene
comune.
Europa ed Italia
Ciò è vero, in particolare, per l’Europa, che
fino ad ora si era aggrappata a un apparato di convenzioni economiche per
eludere il progetto originario di un vera unità politica, col superamento degli
egoismi nazionali.
Ancora più vero è per un Paese come l’Italia, che
era già in crisi prima del coronavirus, con un debito pubblico spaventoso e un
tasso di crescita che rasentava lo zero, ma che soprattutto ha sofferto – a
partire dalla fine della Prima Repubblica – di un vuoto di politica.
L’inadeguatezza della nuova casta
Da noi, i protagonisti della scena pubblica, in
questi ultimi anni, non hanno offerto uno spettacolo rassicurante. L’esperienza
italiana ha evidenziato la falsità del teorema del populismo, secondo cui il
popolo non ha bisogno della mediazione di rappresentanti specificamente
preparati per esercitare l’arte del governo – inevitabilmente portati a
costituirsi come una “casta” –, perché può benissimo governarsi da sé
attraverso leader improvvisati che siano espressione della “gente comune”.
Abbiamo visto tutti gli effetti pratici di questa illusione: alla fine si è
solo creata una nuova casta, forse ancora più attaccata alle “poltrone” di
quella precedente, solo più portata a sostituire la politica con una campagna
elettorale permanente.
La protesta incontrollata dei diseredati
Non è dunque con le carte migliori che stiamo per
affrontare la difficile partita che attende il nostro Paese. Cosa accadrà? La
minaccia più immediata, già in qualche modo affiorante dalle cronache, è
l’esplodere – in seguito al disastro economico prodotto dalla pandemia
– di tensioni sociali incontrollabili, soprattutto al Sud.
Abbiamo letto in questi giorni di supermercati
presi d’assalto da una folla di disperati pronti a tutto per procurare a sé e
alla proprie famiglie generi alimentari di prima necessità. Non è, per ora, la
situazione della media borghesia. Lo è però – soprattutto al Sud – di una massa
di persone che vivevano ai margini del sistema economico, lavorando spesso “in
nero” come camerieri e cameriere, garzoni, posteggiatori abusivi. Per non parlare
dei mendicanti, che non hanno più chiese affollate sui cui gradini chiedere
l’elemosina. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Ho visto una foto di
prostitute in fila davanti a un centro della Caritas…
Una crisi a lungo termine
Ma questi sono solo i primi sintomi. Molte
piccole imprese e molti esercizi commerciali non sopravviveranno,
probabilmente, alla crisi della pandemia, e dovranno licenziare impiegati ed
operai. Il settore dei trasporti e quello del turismo hanno già avuto danni
enormi, ma ancora maggiori ne sono prevedibili per l’estate. È troppo
pessimistico prevedere un drammatico acuirsi della conflittualità sociale?
La forbice delle disuguaglianze
In realtà, la pandemia è venuta a rendere
insostenibile una situazione che già era folle. La forbice che divide i ricchi
dai poveri da molti anni è in costante allargamento. Ai primi di gennaio,
secondo Eurostat, il 20% della popolazione italiana che godeva dei redditi più
alti aveva entrate sei volte superiori al 20% dei meno abbienti. Per non parlare
dei patrimoni: secondo il rapporto Oxfam, dello stesso gennaio 2020, il
patrimonio del 5% più ricco degli italiani (titolare del 41% della ricchezza
nazionale netta) è superiore a tutta la ricchezza detenuta dall’80% più
povero (cfr. «Sole24ore» del 20 gennaio 2020).
Non è “comunismo”, ma etica politica
Qui ci vorrebbe una presa di posizione della
politica che rimetta in discussione il dogma dell’intoccabilità dei patrimoni.
In Italia, rispetto agli altri Paesi europei, la tassazione è esorbitante riguardo
ai redditi (anche perché non si colpiscono gli evasori o si fanno condoni nei
loro confronti), ma estremamente blanda verso i patrimoni, per esempio nel caso
delle eredità. C’è gente che dal resto d’Europa viene a morire in Italia per
far pagare meno tasse di successione ai figli.
Adeguarsi allo standard europeo non
significherebbe certo cedere alla logica del “comunismo”, come gridano alcuni
(milionari) appena se ne accenna. Ma una simile scelta esigerebbe un consenso,
a partire da una diffusa consapevolezza etica che da molti anni sembra essersi
eclissata, della responsabilità di ognuno verso tutti e del primato del bene
comune sugli interessi privati.
Luci e ombre della gestione del governo
Quello che il governo sta facendo è,
comprensibilmente, volto a fronteggiare l’emergenza conseguente alla pandemia.
Il punto è che qui non basterà gestire l’esistente. Siamo in un contesto in
cui, come si è visto, è necessaria una svolta. Ne sarà capace un presidente del
Consiglio che, pur con tanti limiti e ed errori, sta facendo probabilmente del
proprio meglio, meritandosi la fiducia della grande maggioranza degli italiani,
ma che non sembra ancora capace di grandi prospettive e di scelte coraggiose? Ne
sarà capace il Paese, per evitare il caos?
Una campagna di disprezzo e di odio
Quello che è certo è che chi attualmente
contrasta Conte non è sulla linea che ipotizziamo. Purtroppo rientra nel
deficit di politica del nostro Paese il comportamento dell’opposizione. Non mi
riferisco tanto alle prese di posizione ufficiali dei suoi capi – anche se
definire pubblicamente «criminale» il presidente del Consiglio, come ha fatto
Giorgia Meloni, non è certo un modo di favorire la collaborazione
nell’affrontare l’emergenza nazionale –, quanto al nutrito gruppo di quotidiani
che rappresentano una certa opinione pubblica.
A differenza di tutti gli altri mezzi
d’informazione, questi giornali, invece di dedicare i titoli di prima pagina
alle tragiche cifre della pandemia e alla lotta contro di essa, in queste
settimane si sono impegnati, con una costanza degna di miglior causa, ad
attaccare ogni giorno personalmente il capo del governo, accusandolo e
irridendolo, anche nei modi più volgari, per delegittimarlo.
L’incitamento a scatenare la paura
È presumibile che il clima di disprezzo e di odio
a cui questa campagna contribuisce non favorirà la coesione del Paese
nell’affrontare il difficile futuro che lo attende. Ma non sembra questo, del
resto, l’intento di questo tipo di opposizione. Mi ha colpito il contenuto
dell’editoriale di Vittorio Feltri, direttore di uno di questi quotidiani
(«Libero» 24 marzo scorso), che rimproverava il leader della sua parte
politica, Matteo Savini, di scarsa incisività di fronte alla visibilità
pubblica di Giuseppe Conte. «Tu non puoi lasciargli delle praterie di
consenso», scriveva Feltri, «devi frenarlo, abbatterlo, almeno
zittirlo. Cavalca la paura delle gente come sai fare tu, non permettere di
essere accantonato quasi fossi diventato una comparsa. Reagisci da par tuo come
se ti trovassi al cospetto di una nave piena di africani clandestini. In tal
modo riconquisterai la tua posizione apicale».
Che tipo di politica si prospetta in queste
righe? Quello che da molti viene rimproverato a Salvini, nelle sue prese di
posizione sulla questione migratoria – l’aver giocato sulle passioni
irrazionali per ottenere il consenso – è indicato
qui come un modello di comportamento da seguire. Altro che politica
volta al bene comune!
Tra presente e futuro
Siamo sospesi tra un presente ancora tutt’altro
che rassicurante e un futuro carico di incognite ma, forse proprio per questo,
di possibilità nuove. La pandemia ci sta già insegnando molte cose che avevamo
dimenticato. Ci sarà, queste, un modo di fare politica che tenga conto della
verità e della giustizia più di quanto si sia fatto nel recente passato?
Possiamo almeno sperarlo. Ma soprattutto possiamo fare quello che è in potere
di ciascuno di noi, come cittadini, perché questo avvenga.
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