Attenzione alle mafie
che
si approfittano
delle fragilità
Intervista con il presidente dell’associazione
“Libera”: le organizzazioni criminali, che dispongono di immensi capitali,
possono approfittare di questa situazione di grande emergenza.
“È necessario che siano gli apparati dello Stato ad
intervenire per arginare questa minaccia”
di Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Nella Messa a Santa Marta, Papa Francesco oggi ha pregato perché Dio ci
doni una coscienza retta e trasparente per compiere sempre il bene. Qualcuno,
ha spiegato il Santo Padre, in questo tempo segnato dalla pandemia può
approfittare della situazione per se stesso, per il proprio guadagno. La mafia
è un ‘virus’ - sottolinea il fondatore e presidente di “Libera”, don Luigi
Ciotti - che si può approfittare del coronavirus. È importante che l’impegno
contro la pandemia non faccia passare in secondo piano gli sforzi contro le
organizzazioni criminali. Si devono vincere l'indifferenza, l'egoismo, la
delega, la rassegnazione e l’omertà. E, soprattutto, si devono promuovere
politiche sociali a sostengo del lavoro e della scuola. Questa, sottolinea don
Luigi Ciotti, è la vera lotta contro le mafie.
R. - La presenza
criminale non è ai margini, ma è dentro le fessure della nostra società. E non
possiamo dimenticare che la forza, ad esempio, delle mafie si ritrova proprio
in quell'impasto di complicità, a volte anche di ignoranza, di indifferenza che
gli permettono di prosperare e diffondersi. Complicità e indifferenza che
sacrificano al profitto - non dimentichiamolo mai - la vita delle persone. La
lotta al male non faccia passare in secondo piano quella contro i virus che
infestano il nostro Paese da decenni: le mafie, la corruzione, le
disuguaglianze sociali, la povertà, la distruzione e l’inquinamento ambientale.
Ma soprattutto dobbiamo dirci, e il Papa lo richiama sempre con forza, che la
lotta al male è anche contro quei virus che hanno rafforzato, e reso possibile,
questi mali. Tali mali sono proprio l'indifferenza, l'egoismo, la delega, la
rassegnazione e l’omertà. È quindi l'impegno nel territorio diventa decisivo e
insostituibile. Le mafie si approfittano delle fragilità. Le mafie e la
corruzione si approfittano anche della vulnerabilità del contesto sociale: la
fragilità dei servizi, delle opportunità, dei diritti. La mafia virus può
approfittare del coronavirus.
Il fatto che le
attività produttive siano quasi del tutto ferme, rende le persone ancora più
vulnerabili e le mafie più aggressive…
R. - C’è meno
lavoro, le attività produttive sono ferme. Le mafie non aspettano altro:
dispongono di immensi capitali illeciti e sono in attesa di collocare tutti
queste risorse. A favorire tale situazione, c’è questa bomba sociale, più
evidente in alcuni contesti. Le mafie si approfittano di queste fragilità. Tra
i vulnerabili, non possiamo dimenticare i lavoratori in nero, i lavori invisibili
che sono privi di ammortizzatori sociali e di assistenza. Le organizzazioni
criminali fanno inoltre un po’ da banca. Bisogna allora che, in questo momento,
siano le banche a prestare denaro, ad andare incontro a chi è fragile.
Altrimenti, a fare da banca e a prestare soldi sono proprio le organizzazioni
mafiose.
Oltre a queste
gravissime minacce legate alle attività delle organizzazioni criminali, ci sono
anche molteplici casi di speculazioni sui prezzi di vari articoli e dispositivi
sanitari…
R. Questo è un
allarme, come quello ad esempio della frode on line sulla vendita di prodotti
che sono falsamente miracolosi per combattere le malattie e, in
particolare, il coronavirus. Un amico di “Libera” a Londra, un ricercatore,
riferisce ad esempio di un’impennata, nella capitale britannica, dei furti di
materiali sanitari. Vengono rubati respiratori, mascherine. Dispositivi che,
poi, si trovano nei mercati criminali. Le mafie approfittano di questa
situazione. Un aspetto che oggi si riscontra in alcuni territori, è che le
mafie agiscono come se fossero realtà con fini di assistenza, beneficenza. Ed
offrono beni di prima necessità per ottenere consenso, legittimazione. Per
questo, è necessario che siano gli apparati dello Stato e le banche ad
intervenire per arginare questa minaccia.
Questo rischio
legato alla gravissima crisi sociale è presente soprattutto nel sud Italia. È
possibile che le mafie alimentino il vento della rivolta, delle sollevazioni
popolari per minare sistemi e valori democratici?
R. - Certamente,
questi segnali già si sono registrati. Sono cose che, in forme diverse, sono
già avvenute. Sono segnali, che sono già stati dati, sui quali bisogna essere
molto attenti. Non dobbiamo dimenticarci che nell’ultimo rapporto della
Direzione nazionale antimafia, consegnato qualche mese fa al Parlamento
italiano, già si parlava, prima del coronavirus, di una forte presenza
criminale e mafiosa nel nostro territorio. Una presenza in tutto il territorio,
in varie forme e modalità, in una sorta di ‘aria grigia’ che presenta una
commistione tra legale e illegale. Quindi, c’era già un grido di allarme,
nonostante il grande impegno della magistratura e delle forze di polizia. Non
dimentichiamoci che il coronavirus darà una spinta ulteriore alle organizzazioni
mafiose. E, quindi, è un dovere avere una maggiore attenzione, essere più
partecipi. Soprattutto, da parte nostra, c’è bisogno di un impegno per una
lotta sociale, per la promozione sociale. Lotta alla mafia vuol dire lavoro,
casa, famiglia, educazione, cultura. Scuola e lavoro diventano fondamentali.
Lotta alla mafia vuol dire servizi, inclusione sociale. Le politiche
sociali devono essere intese da tutti come un investimento, non come un costo.
Possono essere, e lo sono state quando si è voluto, un volano per uno sviluppo
ecologico e sostenibile. Oggi abbiamo bisogno di questo volano. Le politiche
sociali non sono un costo. Abbiamo bisogno di questo. Allora io mi stupisco di
chi si stupisce della situazione che si è creata ora. E, certamente, ci sono
personaggi mafiosi che godono e ne approfittano di queste situazioni. Noi
dobbiamo impegnarci, fare la nostra parte. Viviamo tempi difficili che sfidano
la nostra speranza. Ma è qui, nella durezza delle nostre esperienze, che
dobbiamo fare i conti anche con la nostra fede.
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