La pandemia di Covid–19 ci ha mostrato in maniera drammatica
l’importanza delle relazioni sociali.
Contro un sistema che crea disuguaglianze occorre una
“conversione” radicale, che è innanzitutto un nuovo apprezzamento spirituale
dei legami
di PIERPAOLO DONATI
Senza relazioni, il virus non esiste. Il che
significa che le relazioni contano, e contano più del denaro. Il Covid–19 ci ha
costretti, dunque, a misurare le relazioni. La relazione non è soltanto un
veicolo, un canale dentro cui passa qualcosa e che dunque “porta” il virus,
così come le tubazioni portano l’acqua. In un certo senso, possiamo dire che
“il virus è nella relazione”, è la stessa relazione, quando la relazione non è
compresa nella sua portata. Ma nello stesso tempo, la relazione “è il suo
rimedio”, se siamo capaci di capirlo.
P rendere o meno il virus dipende dalle qualità e
proprietà della relazione sociale, nella sfera pubblica come nella famiglia.
Dobbiamo misurare la distanza e la forza della relazione, le sue qualità e le
sue proprietà causali. Saper prender le distanze giuste tra Sé e l’Altro,
coinvolgerci e distaccarci, diventa fondamentale perché la distanza cambia la
forza di ciò che è trasmesso, così come determina la sua bontà, neutralità o
dannosità. Ma come si fa a vivere senza relazioni per non prendere il virus?
Delle relazioni abbiamo assoluto bisogno, ma dobbiamo saper distinguere fra
relazioni buone e non buone. D unque, la pandemia ci ha mostrato
che le relazioni sono la stoffa del sociale, nel lavoro, nella vita
associativa, in famiglia, in ospedale, nella comunità ecclesiale, in tutte le
attività con altri. Le relazioni decidono della qualità della nostra vita, e
del nostro destino. Lo fanno nel bene e nel male. Mica poco! Infatti, da un
lato le relazioni sociali fra amici, colleghi, familiari, parenti, sono state il veicolo
del virus e hanno prodotto una catastrofe mondiale. Dall’altro, per combattere
il virus, si è dovuto ricorrere alle buone relazioni in famiglia. La soluzione
additata è stata quella di isolare le persone in famiglia, rivitalizzando le
relazioni di compagnia fra genitori e figli, e magari connettendosi a distanza
con i nonni su internet.
Il messaggio è stato: se non fate attenzione alle
relazioni, dentro e fuori della famiglia, rischiate di ammalarvi. I nonni sono
stati isolati. Nello stesso tempo, l’isolamento richiesto alle singole persone
e alle famiglie ha costretto le famiglie a una vita in comune mai sperimentata
in precedenza, e così ha messo sotto stress le loro relazioni interpersonali.
Lo stress (tensioni, disagio, ansia) ha avuto e avrà anche in seguito effetti
selettivi: alcune famiglie si sentiranno più unite, altre e- sploderanno
in vari modi. Questo è un tema di future ricerche.
Q ualcuno osserverà che c’è stata una
grandecondivisione di informazioni, messaggi, conversazioni su internet.
Ma è tutto da dimostrare che queste connessioni abbiano rafforzato la
cultura delle relazioni. Sono certamente state un ulteriore passo
nella alfabetizzazione delle persone e delle famiglie al mondo
digitale, che nella nostra realtà era molto indietro rispetto agli
altri Paesi europei. In poche settimane, smart working, didattica a
distanza, servizi su internet, e così via, hanno addestrato le
famiglie italiane al mondo del digitale come nessun altro avrebbe potuto
fare in molti anni. Ma qualcuno potrebbe argomentare
che si tratta di un ulteriore passo verso la sorveglianza e
la colonizzazione della popolazione. E allora ritorna il tema di quali
relazioni sociali abbiamo bisogno per non farci colonizzare dalla grande
Matrice Digitale che sta governando il mondo.
Durante la pandemia, tutti hanno dovuto aggiornarsi
nell’uso delle tecnologie, soprattutto le Ict, le app, le piattaforme, e capire
qualcosa di più di come funzionano gli algoritmi e le intelligenze artificiali. La
pandemia è stata una spinta incredibile a entrare nella infosfera.
La tecnologia cambierà radicalmente le nostre relazioni. Ne
può venire molto di buono, ma anche molto di male se le tecnologie saranno
usate senza una cultura adeguata delle relazioni. Bisognerà capire come dare
più potere e capacità alle persone affinché non diventino ancora di più i
terminali di un sistema tecnocratico che tutti sorveglia e tutti
condiziona verso scopi non detti, o comunque non decisi dalle persone
e dalle famiglie. Su questo terreno, i due modelli leader nel mondo, il regime
autoritario della Cina e la democrazia americana che poggia sul mercato, non
promettono nulla di buono. L’Italia sarà stretta fra questi colossi che
utilizzeranno le tecnologie digitali per condizionare con strumenti penetranti
la vita della gente. Il coronavirus ha dato una grande mano in questa
direzione. O ccorre potenziare la nostra cultura delle relazioni. Le
relazioni sono ambivalenti ed enigmatiche perché possono generare il bene o il
male, e dunque ri- chiedono un’osservazione competente, capace di vederle
(sono una realtà diversa dai nostri sentimenti o idee) e gestirle. Di norma noi
non vediamo, né tantomeno gestiamo le relazioni, le quali, invece, – sotto la
forma delle connessioni virtuali sui media – vedono e gestiscono noi come
persone. Le relazioni non sono comunque mai ciò che desideriamo che siano, non
sono proiezioni dei nostri interessi. Incidono sulle nostre vite senza che ne
siamo consapevoli.
Quando la pandemia sarà finita, il posto di questo virus
sarà preso da altri agenti patogeni, quelli di una cultura darwiniana che usa consumi e tecnologie
per selezionare la popolazione e creare un mondo di fantasmi e di cyborg. È qui
la sfida per avviare un altro modello di sviluppo sociale, in cui la cultura
delle relazioni dovrebbe essere oggetto di una cura speciale. Per
evitare il rischio di una evoluzione darwiniana che privilegia il più forte e
crea disuguaglianze, serve una “conversione” radicale, che è innanzitutto un
nuovo apprezzamento spirituale delle relazioni umane (in latino cum–vertere significa
fare sì che una cosa divenga altra da quella che è, trasmutare, trasformare).
*Sociologo, membro dell’Accademia Pontificia di
Scienze Sociali
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