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giovedì 24 aprile 2025

IL VANGELO DELL'EDUCAZIONE


 Il testamento pedagogico

 di Papa Francesco

 per la scuola del futuro

 




-       -  di  Antonio Fundarò

 

C’è stato un tempo – che è il nostro – in cui parlare di misericordia sembrava segno di debolezza, di ingenuità, quasi una resa di fronte alla durezza del mondo. In quel tempo è giunto un Papa venuto “dalla fine del mondo” che, con voce mite ma radicale, ha rovesciato il paradigma. Papa Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio, non è stato soltanto il 266° successore di Pietro, ma un vero maestro di umanità, che ha restituito alla parola “educazione” la sua antica sacralità: educere, cioè “tirar fuori”, generare vita.

Nato a Buenos Aires nel 1936, gesuita per vocazione, sacerdote per servizio, Francesco ha abbracciato la pedagogia dell’evangelo (approccio educativo ispirato al messaggio e alla figura di Gesù Cristo) con la sapienza del cuore. In lui si sono incontrati il rigore dell’intelligenza e la dolcezza dello sguardo, la fermezza della dottrina e la rivoluzione della tenerezza. La sua forza non è mai stata nella condanna, ma nell’abbraccio. Ha proposto al mondo, e in particolare alla scuola, una nuova grammatica educativa: meno basata su contenuti e più fondata su relazioni, meno centrata sulla prestazione e più sulla cura della persona.

Il suo linguaggio è stato chiaro e diretto, adatto ai bambini e agli insegnanti, ai credenti e ai non credenti. Le sue lettere al mondo della scuola, gli appelli ai docenti, le parole pronunciate durante gli incontri con i giovani hanno tracciato una visione della formazione come strumento di rigenerazione sociale. Non per costruire eserciti di competenti, ma per formare coscienze libere, consapevoli, capaci di “piangere per chi soffre”, come egli stesso amava dire.

Nel suo pensiero educativo, la scuola non è mai stata un’istituzione neutra, ma un laboratorio di umanità. “Educare – diceva – è un atto d’amore, è dare la vita”. E ancora: “Non si può educare senza passione”.

Le sue parole non appartengono al solo ambito ecclesiale. Appartengono all’intera umanità. Per questo oggi, alla luce del suo magistero, è necessario raccogliere il suo lascito in forma viva, come bussola per ogni comunità scolastica che voglia educare con il cuore e con la mente, con rigore e con empatia.

Papa Francesco ha indicato nella scuola il luogo del cambiamento possibile. E lo ha fatto non solo con le sue encicliche e i documenti ufficiali, ma anche con i suoi silenzi, i suoi gesti, la sua scelta di uno stile di sobrietà e vicinanza. Non esiste oggi pedagogia della dignità che non possa trarre ispirazione dalla sua vita. Per questo, il suo esempio ci chiede, con forza e dolcezza insieme, di ripensare la scuola come spazio in cui nessuno venga lasciato indietro, nessuno venga umiliato, nessuno venga dimenticato.

Le parole-chiave del suo lessico educativo

Papa Francesco ha costruito un lessico educativo che, pur attingendo alla tradizione evangelica, parla con forza a tutte le scuole del mondo, anche a quelle laiche, multiculturali, plurali. Non ha mai proposto un’enciclopedia di concetti astratti, ma un vocabolario dell’anima, fondato su parole semplici, vive, concrete, capaci di incidere nel quotidiano scolastico: misericordiacuraincontrofraternitàperiferiaascoltotenerezzadignità. Ogni termine, nelle sue omelie come nei suoi gesti, diventa un pilastro educativo da rileggere in chiave pedagogica.

La parola misericordia, cuore del suo pontificato, non è mai stata, per Francesco, sinonimo di indulgenza facile. È stata, invece, proposta come fondamento di ogni relazione educativa: guardare l’altro, anche l’alunno più difficile, non attraverso le lenti del pregiudizio o della valutazione, ma come portatore di un mistero, di una storia, di una possibilità. Misericordia significa sospendere il giudizio per aprire alla comprensione; significa accompagnare senza mai sostituirsi, orientare senza mai invadere.

Cura è l’altra parola chiave, che richiama l’etimologia stessa dell’educare come atto che nutre e protegge. Francesco invita la scuola a diventare una comunità che si prende cura non solo delle competenze, ma delle fragilità, degli affetti, dei sogni. La cura educativa si traduce in attenzione personalizzata, ascolto empatico, progettazione inclusiva. È il superamento definitivo dell’educazione trasmissiva, a favore di una didattica generativa, che accompagna lo sviluppo integrale della persona.

Fraternità è la base di una scuola che non classifica ma abbraccia. In un tempo dominato dalla competizione, Francesco ci ricorda che siamo tutti fratelli. Questo ha profonde conseguenze pedagogiche: la classe non è un’arena di giudizio ma un laboratorio cooperativo. La valutazione diventa uno strumento per crescere, non per escludere. Le metodologie didattiche che si rifanno alla cooperazione, al peer tutoring, al learning by doing trovano nella fraternità il loro presupposto etico.

E poi ci sono le periferie, che per Francesco non sono solo luoghi geografici, ma condizioni esistenziali. Ogni scuola che si rispetti deve saper guardare alle sue periferie: gli alunni in svantaggio, i ripetenti, i nuovi arrivati, i ragazzi che non parlano, quelli che disturbano, quelli che vengono dimenticati. Papa Francesco ci insegna che una scuola giusta è quella che sa spostare il baricentro verso chi è più lontano, perché è lì che si gioca la verità del nostro compito educativo.

Tenerezza, infine, è la parola che più ha scandalizzato i fautori di una scuola fredda e iper-razionale. Ma Francesco ha avuto il coraggio di riproporla con forza, definendola “la forza dei forti”. La tenerezza non è debolezza, è consapevolezza piena della dignità dell’altro. Insegnare con tenerezza significa guardare gli alunni non solo come soggetti da formare, ma come persone da amare. È una pedagogia del cuore, che non teme di essere umana, che sa sorridere, consolare, aspettare.

Tradurre questo lessico nella prassi scolastica non è solo possibile, ma doveroso. Un docente che agisce secondo questo vocabolario educativo non insegna soltanto nozioni, ma mostra che la scuola è un luogo in cui la cultura si fa carne, si fa relazione, si fa speranza. Ed è questa, forse, la più alta eredità che Papa Francesco ci lascia: l’invito a non temere la bontà, a non avere paura della bellezza, a non rinunciare mai all’umanità. Neanche tra i banchi di scuola.

Il “Patto Educativo Globale”: un manifesto per l’educazione del XXI secolo

Nel 2019, Papa Francesco lancia una sfida che è insieme invocazione, programma e profezia: quella di un Patto Educativo Globale. Lo fa con parole accorate e visionarie, invitando scuole, università, famiglie, istituzioni e religioni a un’alleanza educativa planetaria, capace di affrontare le ferite del nostro tempo: la solitudine, la disuguaglianza, la guerra, la crisi ecologica e quella delle relazioni. “Occorre – afferma – il coraggio di generare un cambiamento culturale, di costruire insieme una civiltà dell’amore”. È un appello pedagogico, ma anche civile, perché considera l’educazione l’unica vera via per una rigenerazione del mondo.

Il Patto si articola in sette impegni educativi, che, tradotti nel linguaggio della scuola, possono diventare linee guida per ogni istituzione scolastica, indipendentemente dall’orientamento religioso o culturale. Il primo è la centralità della persona, principio pedagogico per eccellenza: ogni alunno è unico, irripetibile, degno. Significa rivalutare l’educazione personalizzata, promuovere ambienti di apprendimento inclusivi e flessibili, investire sul benessere emotivo degli studenti.

Il secondo è ascoltare la voce dei giovani, vero cuore pulsante della scuola. Francesco chiede che i ragazzi non siano solo destinatari, ma protagonisti dell’educazione. Questo richiede pratiche dialogiche, metodologie partecipative, consigli di classe aperti, assemblee vive, e una didattica che interroghi il mondo reale.

Il terzo è favorire la piena partecipazione delle bambine e delle donne all’educazione, come motore di libertà, uguaglianza e giustizia sociale. Ciò si traduce nell’integrazione dei temi di genere nella progettazione educativa, in pratiche didattiche non stereotipate e nell’apertura a un modello di leadership scolastica inclusiva.

Il quarto è educare all’accoglienza e all’incontro, superando le barriere dell’indifferenza. Una scuola che accoglie è una scuola che sa lavorare sulla cultura dell’alterità, sull’educazione interculturale, sul valore della convivenza. Nelle aule si può insegnare geografia, storia, diritto e insieme far crescere l’empatia, l’ospitalità, la solidarietà.

Il quinto impegno è formare persone disponibili a porsi al servizio della comunità, promuovendo il senso civico e la cittadinanza attiva. Educare al bene comune vuol dire dare spazio al volontariato, all’esperienza, ai progetti di service learning. Significa far uscire la scuola da se stessa, per far entrare nel curricolo la realtà.

Il sesto è promuovere una cultura dell’incontro e del dialogo, contro la logica dello scontro e del sospetto. Qui il riferimento alla mediazione, alla nonviolenza, alla gestione dei conflitti in classe e fuori è fortissimo. La scuola può diventare un luogo dove si impara a discutere senza odiare, a confrontarsi senza annientarsi.

Infine, il settimo impegno: custodire la casa comune, l’ambiente come responsabilità educativa. È l’invito a declinare la Laudato si’ nelle pratiche scolastiche, attraverso percorsi di ecologia integrale, laboratori ambientali, orti didattici, progetti green e, soprattutto, attraverso uno stile di vita sostenibile che sia incarnato anche dalla comunità educante.

Il Patto Educativo Globale non è un’utopia spirituale, ma un programma concreto, adatto a ogni scuola che voglia educare non solo teste, ma cuori. Francesco chiede di ricostruire l’educazione come spazio di alleanza tra generazioni, culture, mondi, per edificare una nuova civiltà. Non propone ricette, ma un metodo: mettersi insieme, guardarsi negli occhi, prendersi cura del futuro.

Ogni consiglio di classe, ogni dirigente, ogni docente può trovare in questo Patto una mappa per orientare la propria missione. Perché, come ha ricordato più volte Papa Francesco, educare è sempre un atto d’amore. È dare vita.

Educare al cuore: la pedagogia della tenerezza

In un tempo in cui la scuola viene spesso invocata come luogo di disciplina, di competenza, di prestazione, Papa Francesco ci propone una parola spiazzante, antica e insieme rivoluzionaria: tenerezza. È uno dei suoi termini più amati, spesso accompagnato da un gesto, un abbraccio, uno sguardo che scende dal pulpito e si ferma all’altezza dei bambini, dei malati, degli esclusi. “La tenerezza è la forza dei forti” ha detto. Ed è proprio da questa forza dolce che può partire una vera rivoluzione educativa.

Educare con tenerezza significa costruire una relazione fondata non sull’autorità gerarchica, ma sulla fiducia. Il docente non è più solo colui che sa, ma colui che accompagna. È un adulto che non teme di mostrarsi vulnerabile, che sa stare accanto agli alunni nei momenti di crisi, che non si rifugia dietro la rigidità del voto, ma sa riconoscere il valore dello sforzo, della crescita, della trasformazione silenziosa. È colui che sa dire: “Non preoccuparti, riproviamoci insieme”.

Questa pedagogia ha il suo centro nella relazione educativa, intesa come luogo di accoglienza incondizionata. Non c’è apprendimento senza una relazione significativa. Lo ricorda anche la pedagogia contemporanea, dalla psicologia umanistica di Carl Rogers fino alla didattica inclusiva delle UDA: solo chi si sente riconosciuto, amato, sostenuto, può davvero apprendere. Francesco, senza usare i codici accademici, ci restituisce questa verità con semplicità: “Educare è generare. E per generare bisogna amare”.

Un altro elemento chiave di questa visione è la valorizzazione dell’errore. La scuola della tenerezza non punisce, ma accompagna. L’errore non è una colpa, ma un passaggio. Un’occasione per rialzarsi, per ritentare, per apprendere in profondità. È qui che si inseriscono metodologie didattiche che rifiutano il nozionismo e accolgono il processo: il cooperative learning, il tinkering, le attività laboratoriali, i percorsi di apprendimento per competenze, le rubriche di valutazione come strumenti di riflessione e non di condanna.

La pedagogia della tenerezza promuove inoltre l’inclusione non come obbligo normativo, ma come stile dell’anima. Ogni alunno, in questa prospettiva, ha diritto a essere visto, riconosciuto, accolto per ciò che è. I Piani Educativi Individualizzati, i Bisogni Educativi Speciali, le strategie di differenziazione didattica diventano strumenti di giustizia, non solo di legge. Per Francesco, la scuola giusta non è quella che dà di più a chi ha di più, ma quella che si china su chi è in difficoltà, come il Buon Samaritano sul ciglio della strada.

E poi c’è il tempo. La scuola della tenerezza non ha fretta. Sa aspettare. Rifiuta la logica delle scadenze a ogni costo, dei programmi da finire, dei traguardi rigidi. È una scuola che assomiglia più a un cammino che a una corsa. E in questo cammino, il docente è un compagno, non un giudice.

In un’epoca segnata da ansie da prestazione, da pressioni valutative e da un linguaggio educativo spesso bellico (“testare”, “competere”, “classificare”), Papa Francesco ci propone una scuola che sappia sentirecommuoversiaccogliere. Non si tratta di rinunciare all’autorevolezza o alla competenza, ma di radicarle nella dimensione relazionale e affettiva. Perché, come ha detto una volta: “Un’educazione senza cuore non è educazione”.

Questa visione interpella profondamente chi vive la scuola oggi. Ci chiede di essere, prima che docenti, testimoni. Prima che trasmettitori di conoscenze, costruttori di senso. Ci chiede di credere che ogni alunno, anche il più difficile, anche il più arrabbiato, custodisce dentro di sé una scintilla. E il nostro compito è proteggerla dal vento, accoglierla tra le mani e aiutarla a diventare luce.

Papa Francesco e il tempo dell’ascolto

“Impariamo ad ascoltare. Il vero dialogo comincia dal silenzio del cuore”. In questa frase, semplice e profonda, si racchiude una delle più grandi rivoluzioni educative proposte da Papa Francesco: la pedagogia dell’ascolto. In un mondo che urla, che interrompe, che corre, il Papa ci ricorda che l’educazione autentica nasce quando ci si ferma, si tace e si porge l’orecchio all’altro. È un gesto di umiltà, di rispetto, di amore. Ed è anche, oggi più che mai, un’urgenza pedagogica.

Nelle sue riflessioni, Francesco ha più volte insistito sul valore dell’ascolto attivo, non come atto passivo, ma come atto trasformativo. Ascoltare davvero significa accogliere l’altro per ciò che è, senza volerlo subito correggere, modificare, incasellare. Nella scuola, questo principio si traduce in una pratica educativa che mette al centro lo studente, i suoi bisogni, le sue emozioni, le sue paure, i suoi sogni. Significa riconoscere che ogni parola di un alunno, anche quando sbagliata, ha dentro di sé un frammento di verità.

La pedagogia dell’ascolto proposta dal Pontefice invita docenti e dirigenti a riconoscere che ogni relazione educativa ha due protagonisti. L’insegnante che sa ascoltare è colui che ha imparato a non riempire ogni vuoto, a non temere il silenzio, a lasciare spazio al racconto dell’altro. È colui che sa mettere in pausa il programma per dare voce a un dolore, a una richiesta, a una confidenza. È l’educatore che sa che prima della spiegazione viene la relazione, prima della valutazione viene la comprensione.

In termini metodologici, questa visione si incarna in tutte quelle pratiche che favoriscono la parola degli alunni: circle time, didattica per domande, debate, interviste narrative, autobiografie cognitive, tutoraggio tra pari, ascolto empatico nei colloqui scuola-famiglia. Si incarna anche in una valutazione dialogica, dove il voto non chiude, ma apre una conversazione. In un collegio docenti capace di interrogarsi insieme, non solo di deliberare. In una presidenza che sa aprire la porta più che imporsi con circolari.

L’ascolto, per Papa Francesco, è anche uno strumento di giustizia relazionale. Chi non è ascoltato è escluso. E chi è escluso finisce per perdersi. In questo, la pedagogia dell’ascolto si lega profondamente alla prevenzione della dispersione scolastica: un ragazzo che si sente ascoltato è un ragazzo che esiste, che trova spazio, che non si sente inutile. E dunque resta. Resta nella scuola, e nella vita.

Ma ascoltare significa anche decentrarsi, rinunciare all’onniscienza, mettersi in discussione. È il punto più alto e più faticoso dell’educare. Il Papa lo ha fatto con le sue scelte pastorali, con la sua apertura ai giovani, alle culture, alle differenze. Ha mostrato che ascoltare è un atto spirituale prima ancora che comunicativo. È un modo per dire: “Tu sei importante. Io ho bisogno di te per capire il mondo”. E questo, in una scuola che spesso si sente sola e inascoltata, è un messaggio potente.

Una scuola che sa ascoltare è una scuola che genera libertà. Che non impone identità, ma le fa emergere. Che non predica, ma dialoga. Che non giudica, ma accompagna. È la scuola di cui abbiamo bisogno per costruire una società più giusta, più umana, più profonda. Perché, come ci insegna Francesco, nessuno educa da solo. Nessuno si salva da solo. Nessuno cresce senza essere ascoltato.

Un’educazione alla pace e alla bellezza

Papa Francesco ha sempre parlato di pace non come concetto astratto o ideale da proclamare, ma come cammino quotidiano da costruire. “La pace si fa, non si predica”, ha detto. E in questa affermazione risuona tutta la concretezza del suo approccio educativo. Per lui la scuola è uno dei luoghi privilegiati in cui si può – e si deve – costruire una cultura della pace, non attraverso grandi proclami, ma attraverso i gesti semplici, la relazione rispettosa, la cura dell’altro.

Educare alla pace, nel pensiero del Pontefice, significa innanzitutto insegnare ad abitare il conflitto senza violenza. Significa aiutare i bambini e i ragazzi a riconoscere l’altro non come una minaccia ma come una risorsa. Vuol dire sviluppare una competenza fondamentale: la convivenza nella differenza. Da qui deriva un invito alla scuola a diventare laboratorio di dialogo, palestra di empatia, luogo di esercizio alla parola gentile. Le pratiche della mediazione scolastica, della gestione dei conflitti, del problem solving relazionale, del cooperative learning, diventano strumenti concreti per dare forma a questa educazione pacificante.

Ma accanto alla pace, Francesco ci chiede di educare alla bellezza. E la sua non è una bellezza estetizzante o superficiale, ma una bellezza che salva, che guarisce, che restituisce dignità. “La bellezza non è un optional”, afferma, “è un diritto, soprattutto per i poveri”. E così la scuola è chiamata non solo a insegnare arte, musica, poesia, ma a vivere poeticamente, a creare spazi belli, tempi armonici, ambienti che parlino di rispetto e di cura. Un’aula ordinata, un murales condiviso, una poesia letta all’inizio della giornata, una melodia che accompagna un momento di riflessione: sono tutti segni di una pedagogia della bellezza che rende la scuola un luogo in cui si ha voglia di restare.

La Laudato si’, enciclica potente e rivoluzionaria di Francesco, offre alle scuole un intero impianto per costruire percorsi di educazione civica, ambientale, culturale. Qui la bellezza si intreccia con la responsabilità. La “cura della casa comune” diventa un tema interdisciplinare che unisce scienze, geografia, arte, religione, tecnologia. Educare alla bellezza del creato è anche educare alla sobrietà, all’equilibrio, al rispetto per ciò che ci circonda.

Educare alla pace e alla bellezza significa anche riscoprire il valore del silenzio, della contemplazione, del rallentare. È insegnare che non tutto si misura in prestazione, che non tutto si valuta con un numero. Francesco ci ricorda che c’è un tempo per riflettere, per osservare, per ringraziare. E la scuola può offrire anche questo: uno spazio di respiro, dove l’anima non venga soffocata.

Questa visione educativa è anche un atto politico, nel senso più alto del termine: costruire cittadini che siano artigiani di pace e custodi di bellezza. Cittadini che sappiano indignarsi di fronte all’ingiustizia, ma anche commuoversi davanti a un tramonto, a un quadro, a una parola detta con amore.

Papa Francesco ha parlato alla scuola con il linguaggio della speranza, indicando nella pace e nella bellezza le due ali su cui far volare l’educazione del futuro. Non una scuola indifferente e grigia, ma una scuola luminosa e accogliente. Perché, come scrive nella Fratelli Tutti, “l’educazione è seme di pace, e la bellezza è sua sorella”.

Per una scuola più umana: sintesi e prospettive

Se si volesse racchiudere il pensiero educativo di Papa Francesco in un’unica immagine, potremmo pensare a una mano tesa. Non una mano che impone, né che punisce, ma una mano che solleva, che accompagna, che consola, che incoraggia. La sua visione della scuola è la visione di un luogo vivo, umano, relazionale, dove ciascuno trova spazio per essere sé stesso e per diventare migliore insieme agli altri.

Papa Francesco ci ha donato non un trattato pedagogico, ma un testamento educativo fatto di parole, gesti, lacrime, viaggi, incontri, encicliche e silenzi. Una visione del mondo e della scuola che pone al centro la persona nella sua integralità, che invita a educare con il cuore e con l’intelligenza, che ci chiede di costruire comunità educanti fondate sulla solidarietà, sull’ascolto, sull’empatia.

Questo patrimonio non può restare confinato nel mondo ecclesiale. È patrimonio dell’umanità, e come tale appartiene anche alla scuola pubblica, laica, democratica. È un dono per ogni insegnante, per ogni dirigente, per ogni educatore che voglia contribuire a formare cittadini consapevoli e felici. Perché educare, nel senso più alto e francescano, significa seminare futuro.

Alla luce dei valori e delle intuizioni del Santo Pontefice, possiamo oggi proporre un decalogo educativo che, pur nella semplicità, si fa bussola per ogni comunità scolastica:

1.     Metti la persona al centro, prima del programma e della prestazione.

2.     Ascolta con empatia, prima di parlare, valutare, correggere.

3.     Accogli la fragilità come parte del processo educativo.

4.     Costruisci relazioni, perché senza relazione non c’è apprendimento.

5.     Educa alla pace, nella parola, nel gesto, nella gestione del conflitto.

6.     Coltiva la bellezza, in ogni dettaglio: ambienti, linguaggio, materiali, riti scolastici.

7.     Abbi cura della casa comune, rendendo l’educazione ecologica e responsabile.

8.     Valorizza la lentezza, contro la fretta che brucia l’anima e il pensiero.

9.     Favorisci la cooperazione, sopra ogni forma di competizione sterile.

10. Testimonia la speranza, ogni giorno, in ogni classe, anche quando è difficile.

Questa non è una semplice proposta metodologica: è una scelta antropologica. Papa Francesco ci chiede di mettere al centro l’umanità, di educare con amore, con giustizia, con tenerezza. Di non temere la bontà, la gentilezza, la pazienza. Di non dimenticare che ogni alunno è un miracolo in corso. E che ogni docente può essere luce nel suo cammino.

In un’epoca segnata da disgregazione, indifferenza, cultura dello scarto, Papa Francesco ci lascia in eredità una visione educativa profondamente controcorrente. Una scuola che si fa grembo e non giudizio, che forma coscienze e non solo competenze, che restituisce senso e non solo saperi.

Chiunque entri in classe, con un registro sottobraccio e un cuore disposto all’incontro, può oggi decidere di abbracciare questo stile. Perché – come ha detto “educare è sempre un atto d’amore. È dare vita. 

È accendere un futuro che ci supera.

 È seminare ciò che altri raccoglieranno.


Orizzonte Scuola


lunedì 9 dicembre 2024

RICOSTRUIRE IL PATTO EDUCATIVO

 

“La crisi educativa nasce dalla perdita del limite e del patto tra generazioni”



Di redazione

Ospite su La7, lo psicoanalista Massimo Recalcati ha offerto una riflessione profonda sulla crisi educativa che attraversa la società contemporanea, soffermandosi sul rapporto tra genitori, figli e scuola.

Secondo Recalcati, uno dei problemi principali è la dissoluzione del patto educativo tra le generazioni, un’alleanza che un tempo vedeva genitori e insegnanti uniti nel compito di educare i giovani. “Freud notava che il ragazzo vedeva nei professori il prolungamento dell’autorità dei genitori. Oggi questa continuità si è spezzata”, ha spiegato.

Recalcati attribuisce questa rottura alla perdita della “differenza simbolica” tra le generazioni: “I genitori di oggi si vestono come i loro figli, parlano lo stesso linguaggio, giocano agli stessi giochi. Si sono messi in difesa dei propri figli contro i professori, come in una sorta di sindacalismo alla rovescia”. L’atteggiamento, unito alla tendenza a sospettare di ogni provvedimento disciplinare o insufficienza scolastica, mina l’autorità degli insegnanti e amplifica il narcisismo dei figli, rendendo il processo educativo sempre più fragile.

“Il fallimento e il limite sono ingredienti fondamentali della crescita”

Un altro aspetto critico, secondo Recalcati, è l’angoscia dei genitori di oggi di amplificare il valore della prestazione dei propri figli, eliminando ogni spazio per il fallimento o lo smarrimento. “Non viene più dato tempo alla caduta, allo sbandamento, allo smarrimento, che invece sono ingredienti fondamentali di ogni processo formativo”, ha sottolineato. Tale ossessione per la performance, che si traduce in un rifiuto del limite, priva i giovani di esperienze essenziali per la loro crescita.

Recalcati ha richiamato il concetto di “legge del padre”, elaborato dallo psichiatra Jacques Lacan, per spiegare l’importanza del limite nell’educazione. “Il padre è il simbolo della legge, ma non di una legge scritta o giuridica. È la legge che fonda la vita insieme, che dice che non tutto è possibile. Il nostro tempo, invece, incoraggia l’idea perversa che tutto sia possibile. Ma senza un limite, senza confini, non esiste discorso educativo”.

La necessità di ricostruire il patto educativo

Per Recalcati, la crisi educativa non è solo una questione di scuola, ma riguarda l’intera società. La perdita del limite e del patto tra le generazioni ha portato a una situazione in cui i genitori, anziché sostenere il processo educativo, lo ostacolano, proteggendo i figli da ogni forma di frustrazione o insuccesso. “I genitori vivono con sospetto ogni iniziativa educativa degli insegnanti, come se si trattasse di un abuso di autorità o di un’incapacità di riconoscere le qualità dei propri figli”, ha osservato.

La soluzione, secondo lo psicoanalista, passa attraverso una riscoperta del valore del limite e del fallimento come elementi essenziali della crescita, e attraverso la ricostruzione di un’alleanza educativa tra genitori e insegnanti. Solo così sarà possibile restituire ai giovani un percorso formativo autentico, capace di prepararli alle sfide della vita.

Orizzonte Scuola

Immagine


lunedì 16 settembre 2024

COSTRUIRE PATTI EDUCATIVI

 

E’ disponibile online il nuovo Quaderno delle piccole scuole della serie “Strumenti”, dal titolo “Costruire Patti Educativi. Costrutti, processi e strumenti per sviluppare alleanze fra scuola e territorio”

Il Quaderno fa chiarezza sulla distinzione tra Patto di Collaborazione e Patto Educativo Territoriale e condivide con le scuole il percorso che porta alla costruzione delle alleanze di prossimità. Vengono messi a disposizione strumenti per la costruzione del patto e strumenti per misurarne alcune dimensioni chiave (complessità, democraticità, interprofessionalità). Infine le scuole potranno trovare un Repertorio di pratiche da consultare, un estratto di ciò che l’Osservatorio Nazionale permette di rintracciare e monitorare.

Il Quaderno è stato presentato ieri 9 settembre nell’ambito delle Giornate della Didattica di Verona, al Palazzo della Gran Guardia. Un momento di condivisione e restituzione del lavoro fatto per il Patto di Collaborazione Territoriale di Verona. I ricercatori Giuseppina Rita Jose Mangione, Stefania Chipa e Rudi Bartolini hanno approfondito il percorso che ha visto INDIRE accompagnare il territorio alla realizzazione di numerosi Patti Educativi.

Rai scuola dedicherà uno speciale al tema e al percorso che INDIRE ha condotto sul territorio Veronese in collaborazione l’UAT, e con l’impegno di una Cabina di Regia che ha sostenuto il valore delle alleanze pattizie per intervenire sui bisogni e le priorità delle scuole. 

QUADERNO



 



giovedì 22 febbraio 2024

IL BAMBINO IMMAGINARIO


 Perché si è rotto il patto educativo tra genitori e figli  


Di fronte ai quotidiani e dolorosi casi di bambini e adolescenti sempre più in difficoltà con la vita, la questione di fondo non è quella relativa a un qualche blocco dell'educazione familiare: la questione di fondo è quella della totale eclissi dell'educazione familiare.

 Il punto, insomma, non è che i genitori educhino poco o male. Il punto è che non educano più. Il genitore contemporaneo pensa e agisce come se il figlio non necessitasse più del tempo dell'infanzia e dell'apporto decisivo dell'educazione familiare.

Il saggio esplora tutte le costellazioni che si addensano attorno al fenomeno del "nuovo bambino immaginario", approfondendo in particolare le pesanti ricadute future che per il bambino reale comporta la folle sospensione del tempo dell'infanzia e scovando le radici ultime della sua precoce e perversa adultizzazione nell'estremo desiderio delle generazioni adulte di una giovinezza senza fine.

Alla fine dei conti, infatti, il bambino adulto è il perfetto contraltare e l'efficace sostegno psicologico di quell'adulto bambino generato dalla nostra società ipergiovanilistica.

Va da sé poi che, solo se gli adulti ritorneranno a fare gli adulti, il nuovo bambino immaginario potrà cedere il posto al bambino reale. Solo così potrà ricostruirsi il patto educativo tra genitori e figli, senza il quale a nessuno è data la possibilità di essere all'altezza della vita.

-         Armando Matteo, Il nuovo bambino immaginario, ed. Rubettino

giovedì 29 giugno 2023

PATTO EDUCATIVO IN FRANTUMI


Patto educativo rotto 

docenti, studenti e genitori

 

A parlare di crisi del sistema educativo è stato lo psicoanalista Massimo Recalcati, intervenuto nella trasmissione radiofonica di RaiRadio 1, Il mondo nuovo.



Recalcati: “i genitori fanno i sindacalisti dei figli. A volte i docenti devono supplire alle loro mancanze educative”

- di Sara Adorno

Nel suo lungo intervento lo psicoanalista ha parlato anche del rapporto docenti-studenti-genitori, affermando: “Lo stato di salute della scuola riflette la condizione comatosa dello stato educativo in generale. La rottura del patto educazionale nella scuola è un fatto evidente. Come diceva Freud, nella figura dei maestri, degli insegnanti, dei professori, i figli proiettano le figure primarie genitoriali; quindi, esisteva una continuità tra la figura del genitore e quella dell’insegnante. E con l’esistenza del patto educativo, i genitori si schieravano dalla parte degli insegnanti, condividendo lo stesso obiettivo, l’educazione e la formazione dei figli. Oggi questa alleanza si è fratturata, i genitori sono alleati con i figli e l’isolamento degli insegnanti comporta che qualunque loro azione educativa rivolta agli allievi viene vissuta dalla famiglia come un abuso di potere, come un’ingerenza, come un esercizio autoritario del potere. Nel nostro tempo i genitori tendono a fare i sindacalisti dei figli, in un certo senso. Per un altro verso, invece, gli insegnanti sono investiti di un compito educativo dagli stessi genitori. Nel momento in cui quest’ultimi non riesco a esercitare questo ruolo educativo in famiglia, gli insegnanti si trovano a supplire queste falle nel discorso educativo; infatti, si dice spesso che la scuola va ad occupare il vuoto educativo lasciato dalle famiglie. Quindi gli insegnanti si trovano ad avere questa forbice a doppio taglio, da una parte criticati e dall’altra ritenuti necessari”.

Crisi educativa attuale: che sta succedendo?

L’esperto ha affermato: “Partiamo da una constatazione condivisa e, cioè, dal fatto che oggi c’è una crisi non solo degli educatori, degli insegnanti, dei genitori, ma più in generale del discorso educativo in quanto tale, una crisi generalizzata. Perché c’è questa crisi, questo tramonto dell’autorità simbolica? Per due ragioni fondamentali, secondo me: la prima, il comandamento sociale che governa le nostre vite non è più quello di 30-40 anni fa, che passava attraverso l’imperativo del dovere, devi lavorare, devi fare una famiglia, devi essere un buon cittadino, al prezzo anche del sacrificio e della rinuncia. Adesso il comandamento è cambiato e all’imperativo del dovere è stato sostituito quello del godere. La spinta al godere è una nuova forma della legge. La formula con cui si può riassumere questa spinta è ‘perché no?, perché rinunciare al godimento immediato?’ Ciò mette sottosopra ogni discorso educativo che si fonda sul differimento del godimento”.

E continua ancora: “Chiunque si occupi di educazione si trova in uno stato di afonia, in cui la sua parola ha perso peso, ha perso autorità simbolica e questo genera smarrimento. La definizione del limite non è, però, un’oppressione repressiva della vita, il limite consente il gioco della vita. C’è stato in passato un abuso nel porre limiti, ma non è questo il caso. Il termine educazione ha due etimologie possibili, la prima che deriva da educere, condurre sulla giusta via, e che rischia di scivolare verso una rappresentazione autoritaria dell’educazione; ma ce n’è un’altra che riporta educere al termine seducere, che nel suo significato etimologico significa condurre in disparte, portare altrove, di fronte al nuovo, al diverso. Ed è proprio questa immagine di apertura alla vita che dovrebbe essere recuperata, proprio perché il limite non è sinonimo di reprimere”.

Come si fa ad uscire da questa situazione attuale? A questo Recalcati risponde che “il nostro tempo accentua la tendenza nostalgica al recupero dell’autorità. Secondo me per uscire da questo empasse le vecchie generazioni debbano avere fiducia nelle nuove generazioni, ma con un’aggiunta: ricostruendo una nuova alleanza tra le generazioni. Inoltre, la parola del padre, sebbene questa figura non sia più quella della tradizione del patriarcato, deve continuare ad avere un peso”.

Tecnica della Scuola

martedì 5 ottobre 2021

UN'ALLEANZA EDUCATIVA PER UN MONDO FRATERNO



Francesco: ampliamo un'alleanza educativa, il mondo sarà più fraterno

 Il Papa apre in Vaticano l’incontro dei rappresentanti delle fedi mondiali e rilancia l’appello per un Patto Educativo Globale: "Non possiamo tacere alle nuove generazioni le verità che danno senso alla vita”.

 Educazione non è solo "conosci te stesso", ma anche conosci “tuo fratello, il creato e il Trascendente”.

 -         Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

 Ci sta a cuore una formazione integrale”, che non è solo “conoscere se stessi” ma anche “il proprio fratello, il creato e il Trascendente, perché “non possiamo tacere alle nuove generazioni le verità che danno senso alla vita”. Così Papa Francesco si fa voce dei leader delle principali religioni mondiali che, per la prima volta, dialogano in Vaticano sulle grandi sfide educative contemporanee e chiedono alle istituzioni del Pianeta di mettere l’educazione e la persona al centro dell’agenda internazionale.

Educazione contro il fondamentalismo, per i diritti dei deboli

Il saluto del Papa, all’inizio dell’incontro in Sala Clementina su “Religioni ed educazione: verso il Global Compact on Education” è una dichiarazione d’intenti condivisa con i rappresentanti delle tante fedi presenti, per stimolare “una rinnovata azione educativa che possa far crescere nel mondo la fratellanza universale”. Perché l’educazione, spiega Francesco, ci impegna “a condannare ogni forma di fondamentalismo”, “ad accogliere l’altro così come è”, a difendere “i diritti delle donne, dei minori, dei più deboli”, e “ad amare la nostra madre terra”, diventando “voce della natura che grida per la sua sopravvivenza”.

Grazie agli insegnanti, nella loro Giornata Mondiale

Lo scopo dell’incontro, esordisce il Pontefice, è promuovere insieme “un Patto Educativo Globale”, inserendosi nell’iniziativa promossa dallo stesso Papa Francesco con l’appello del 12 settembre 2019. Nella Giornata Mondiale degli Insegnanti istituita dall’Unesco

Come rappresentanti delle religioni vogliamo manifestare la nostra vicinanza e gratitudine a tutti gli insegnanti e, nello stesso tempo, la nostra attenzione per l’educazione.

L' appello del Papa per un Patto Educativo Globale

Il Papa ricorda a chi opera nel campo dell’educazione che, nell’appello di due anni fa,  ha chiesto di “dialogare sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta e sulla necessità di investire i talenti di tutti”, perché “ogni cambiamento ha bisogno di un cammino educativo per far maturare una nuova solidarietà universale e una società più accogliente”. Il Patto Educativo Globale, nell’idea di Francesco, dovrà “ravvivare l’impegno per e con le nuove generazioni, rinnovando la passione per un’educazione più aperta e inclusiva, capace di ascolto paziente, dialogo costruttivo e mutua comprensione”. L’invito a tutti, ricorda oggi il Pontefice, è “unire gli sforzi in un’ampia alleanza educativa per formare persone mature, capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un'umanità più fraterna”.

Educare ad apprezzare e amare ogni persona

Infatti, e qui Papa Francesco cita la sua enciclica Fratelli tutti che compie un anno in questi giorni, “se vogliamo un mondo più fraterno” è necessario educare le nuove generazioni a “riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita”. Al principio del  “conosci te stesso” che ha sempre orientato l’educazione, per il Papa è necessario aggiungerne altri essenziali: “conosci il tuo fratello”, per educare all’accoglienza dell’altro, “conosci il creato”, per educare alla cura della casa comune e “conosci il Trascendente”, per educare al grande mistero della vita.

Ci sta a cuore una formazione integrale che si riassume nel conoscere sé stessi, il proprio fratello, il creato e il Trascendente. Non possiamo tacere alle nuove generazioni le verità che danno senso alla vita.

Non usare mai il nome di Dio per giustificare la violenza

Francesco ricorda che “da sempre le religioni hanno avuto uno stretto rapporto con l’educazione, accompagnando le attività religiose con quelle educative, scolastiche, accademiche”. Per questo anche oggi “vogliamo essere di stimolo per una rinnovata azione educativa che possa far crescere nel mondo la fratellanza universale”. Nelle differenze che nel passato “ci hanno messo in contrasto”, prosegue il Pontefice, “oggi vediamo la ricchezza di vie diverse per arrivare a Dio e per educare le nuove generazioni alla convivenza pacifica nel rispetto reciproco”. Così…

L’educazione ci impegna a non usare mai il nome di Dio per giustificare la violenza e l’odio verso altre tradizioni religiose, a condannare ogni forma di fanatismo e di fondamentalismo e a difendere il diritto di ciascuno a scegliere e agire secondo la propria coscienza.

Educare alla difesa della dignità di ogni persona

Guardando sempre prima al passato, Papa Francesco ammette che, “anche in nome della religione, si sono discriminate le minoranze etniche, culturali, politiche e di altro tipo”. Ma oggi i leader delle religioni mondiali vogliono “essere difensori dell’identità e dignità di ogni persona e insegnare alle nuove generazioni ad accogliere tutti senza discriminazioni”, perché “l’educazione ci impegna ad accogliere l’altro così come è, non come io voglio che sia, senza giudicare e condannare nessuno”.

La difesa dei diritti delle donne, l'amore per la madre terra

Dando ancora voce agli altri rappresentanti, il Papa assicura poi l’impegno a difendere con fermezza i diritti “delle donne, dei minori, dei più deboli”, in passato non sempre rispettati, e “insegnare alle nuove generazioni a essere voce dei senza voce”. L’educazione, pertanto, “ci sollecita a rigettare e denunciare ogni violazione dell’integrità fisica e morale di ciascuno”, e ci deve portare a capire "che nella dignità l’uomo e la donna sono uguali: non ci saranno discriminazioni".

Se nel passato abbiamo tollerato lo sfruttamento e il saccheggio della nostra casa comune, oggi, più consapevoli del nostro ruolo di custodi del creato affidatoci da Dio, vogliamo essere voce della natura che grida per la sua sopravvivenza e formare noi stessi e le nuove generazioni a uno stile di vita più sobrio ed ecosostenibile.

Educare ogni persona nella bellezza della sua armonia

Pertanto, spiega ancora Francesco, “l’educazione ci impegna ad amare la nostra madre terra e a evitare gli sprechi di alimenti e di risorse”, e a condividere “i beni che Dio ci ha donato per la vita di tutti”. Perchè, come diceva "un saggio, non cattolico": “Dio perdona sempre. Noi perdoniamo a volte sì e a volte no. La natura non perdona mai”.

Vogliamo oggi dichiarare che le nostre tradizioni religiose, da sempre protagoniste dell’alfabetizzazione fino all’istruzione superiore, rafforzano la loro missione di educare ogni persona nella sua integralità: cioè testa, mani, cuore e anima.

Educare cioè "l’armonia dell’integrità umana" e la bellezza di questa armonia.

Al termine del suo discorso introduttivo, il Pontefice invita tutti i leader religiosi presenti ad un breve momento di silenzio “per chiedere a Dio di illuminare le nostre menti, affinché il nostro dialogo sia fruttuoso e ci possa aiutare a seguire con coraggio le vie di nuovi orizzonti educativi”.

 Discorso del Santo Padre

I leader religiosi: le istituzioni educative sono "cantieri" di fraternità

 Il Papa: è tempo di sottoscrivere un patto educativo globale

 Papa Francesco: un nuovo patto educativo per la cura del creato

Vatican News  



 

 

venerdì 2 luglio 2021

EDGAR MORIN: CENTO ANNI


 Cento anni di Edgar Morin. 

Il Papa: una vita a servizio di un mondo migliore

Francesco si unisce alla giornata speciale di celebrazione che l’Unesco dedica al filosofo e sociologo francese, incontrato in Vaticano nel 2019, con parole di ringraziamento e stima. Un omaggio all’opera e al pensiero di Morin, attento ai valori della cooperazione, della democrazia, dell’accoglienza

 -         di Gabriella Ceraso

       

Felicitazioni e auguri per “una lunga vita ricca di avvenimenti e incontri” e per un’opera intellettuale instancabile e “difficile da contenere in poche parole”. Francesco si fa presente alla tavola rotonda che oggi l’Unesco dedica al filosofo e sociologo francese Edgar Morin, pseudonimo di Edgar Nahoum, nato a Parigi da una famiglia ebrea sefardita, protagonista e osservatore di un secolo di storia che ha vissuto nelle sue svolte cruciali. Con questa, come con altre iniziative nel panorama culturale mondiale, si prepara il compleanno, il prossimo 8 luglio, di questo intellettuale, scrittore, scienziato, studioso complesso con a cuore il destino dell'umanità di cui ha sempre esaltato il senso di responsabilità e gli slanci vitali pur non nascondendone i limiti.

Testimone e analista di cambiamenti sociali

Il messaggio del Papa a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin è stato letto da monsignor Francesco Follo, Osservatore permanente della Santa Sede, presso l’organismo delle Nazioni Unite dedicato alla cultura. Il filosofo francese - il cui entusiasmo il Papa ricorda bene dall’incontro avuto in Vaticano il 27 giugno 2019 - spicca nelle parole di Francesco non solo come “testimone privilegiato di profondi e rapidi cambiamenti” sociali, ma anche come attento analista che, col discernimento, in questo cammino dei tempi, ha tratto “speranze” e ha messo in guardia dai rischi possibili per l’umanità. In particolare il Pontefice rimarca il ruolo di Morin nel richiamare -  per esempio col concetto di "scienza con coscienza" -  al progresso morale e intellettuale perché procedano insieme all’avanzare di scienza e tecnologia per evitare catastrofi. La consapevolezza del fragile destino dell’umanità ha impegnato inoltre - ricorda il Papa - lo studioso francese nel promuovere la necessità di una “politica di civilizzazione”, con al centro l’uomo e non il denaro. Ma soprattutto insieme a molti altri intellettuali eminenti, Morin ha lavorato - riconosce il Papa - per la “cooperazione tra popoli”, la “costruzione di una società più giusta e più umana”, per il “rinnovamento della democrazia”, sottolineando quanto siano “necessari legami di solidarietà e convivialità” che favoriscano “apertura e accoglienza”.

Morin e il "Patto educativo globale"

Una nota personale chiude il messaggio di auguri e di ringraziamento del Papa. Il ricordo vivo torna all’incontro con Morin avvenuto in Vaticano nel giugno di due anni fa. Un ricordo felice - si legge nel testo a firma del cardinale Parolin - sia per gli evidenti e numerosi punti di contatto tra il pensiero del francese e l’insegnamento sociale del Papa, sia per l’entusiasmo e la generosa partecipazione offerta da Morin al “Patto educativo globale”. La sfida cruciale che il Papa ha lanciato per il futuro, l’anno scorso, Morin l’ha infatti condivisa e approfondita specie negli ultimi anni affrontando, tra l'altro , il problema della riforma dei saperi scolastici e dei modi di trasmissione di questi stessi saperi e mettendo a punto quella che alcuni hanno definito una grande pedagogia per il nuovo cittadino planetario.

Al ricordo del Papa si unisce infine nel messaggio, il ringraziamento per “gli sforzi di una vita a servizio di un mondo migliore” e l’auspicio che il Signore continui ad illuminare il cammino che resta da percorrere. 

 

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