OGNI PERSONA VIVE
L'UNA PER L'ALTRA
- Ven. Tonino Bello
Carissimi fratelli,
l’espressione me l’ha suggerita don Vincenzo, un prete mio amico che lavora
tra gli zingari, e mi è parsa tutt’altro che banale.
Venne a trovarmi una sera nel mio studio e mi chiese che cosa stessi
scrivendo. Gli dissi che ero in difficoltà perché volevo spiegare alla gente
(ma in modo semplice, così che tutti capissero) un particolare del mistero
della Santissima Trinità: e cioè che le tre Persone divine sono, come dicono i
teologi con una frase difficile, tre relazioni sussistenti.
Don Vincenzo sorrise, come per compatire la mia pretesa e comunque, per
dirmi che mi cacciavo in una foresta inestricabile di problemi teologici. Io,
però, aggiunsi che mi sembrava molto importante far capire queste cose ai
poveri, perché, se il Signore ci insegnato che, stringi stringi, il nucleo di
ogni Persona divina consiste in una relazione, qualcosa ci deve essere sotto.
E questo qualcosa è che anche ognuno di noi, in quanto persona, stringi
stringi, deve essere essenzialmente una relazione. Un io che si rapporta con un
tu. Un incontro con l’altro. Al punto che, se dovesse venir meno questa
apertura verso l’altro, non ci sarebbe neppure la persona. Un volto, cioè, che
non sia rivolto verso qualcuno non è disegnabile…
Colsi l’occasione per leggere al mio amico la paginetta che avevo scritto.
Quando terminai, mi disse che con tutte quelle parole, la gente forse non
avrebbe capito nulla. Poi aggiunse: “Io ai miei zingari sai come spiego il
mistero di un solo Dio in tre Persone? Non parlo di uno più uno più uno: perché
così fanno tre. Parlo di uno per uno per uno: e così fa sempre uno. In Dio,
cioè, non c’è una Persona che si aggiunge all’altra e poi all’altra ancora. In
Dio ogni Persona vive per l’altra.
E sai come concludo? Dicendo che questo è una specie di marchio di
famiglia. Una forma di ‘carattere ereditario’ così dominante in ‘casa Trinità’
che, anche quando è sceso sulla terra, il Figlio si è manifestato come l’uomo
per gli altri”.
Quando don Vincenzo ebbe finito di parlare, di fronte a così disarmante
semplicità, ho lacerato i miei appunti.
Peccato: perché, tra l’altro, avevo scritto delle cose interessanti. Per
esempio: che l’uomo è icona della Trinità (“facciamo l’uomo a nostra immagine e
somiglianza”) e che pertanto, per quel che riguarda l’amore, è chiamato a
riprodurre la sorgività pura del Padre, l’accoglienza radicale del Figlio, la
libertà diffusiva dello Spirito.
Ero ricorso anche a ingegnose immagini, come quella del pozzo di campagna
la cui acqua sorgiva viene accolta in una grande vasca di pietra e di qui, in
mille rigagnoli, va a irrigare le zolle.
Ma forse don Vincenzo aveva ragione: avrei dovuto spiegare molte cose.
Sicché ho preferito trattenere questa sola idea: che, come le tre Persone
divine, anche ogni persona umana è un essere per, un rapporto o, se è più
chiaro, una realtà dialogica. Più che interessante, cioè, deve essere
inter-essente.
Cari fratelli, lo so che la Trinità è molto più che una formula esemplare per noi, e che non è lecito comprimerne la ricchezza alla semplice funzione di analogia. Ma se oggi c’è un insegnamento che dobbiamo apprendere con urgenza da questo mistero, è proprio quello della revisione dei nostri rapporti interpersonali.
Altro che “relazioni”. L’acidità ci inquina. Stiamo diventando corazze. Più
che luoghi d’incontro, siamo spesso piccoli centri di scomunica reciproca.
Tendiamo a chiuderci. La trincea ci affascina più del crocicchio. L’isola
sperduta, più dell’arcipelago. Il ripiegamento nel guscio, più della
esposizione al sole della comunione e al vento della solidarietà. Sperimentiamo
la persona più come solitario auto-possesso, che come momento di apertura al
prossimo. E l’altro, lo vediamo più come limite del nostro essere, che come
soglia dove cominciamo a esistere veramente.
Coraggio.
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