- di Giuseppe Savagnone *
Di solito le guerre hanno dei vinti e dei vincitori. C’è chi dal conflitto esce rafforzato e arricchito, chi, invece, indebolito e impoverito. La guerra in Ucraina resterà alla storia, probabilmente, per avere contraddetto questa logica elementare. Stanno perdendo tutti.
O, per meglio dire, stiamo perdendo tutti.
Perché questa guerra la stiamo perdendo
– anzi, l’abbiamo già perduta – anche noi che non la facciamo. Certo, i primi a
sperimentare i suoi effetti rovinosi sono i due diretti protagonisti, la Russia
e l’Ucraina. Loro, per cui avrebbe dovuto valere in modo più evidente il
dualismo vincitore-vinto. E invece stanno perdendo entrambi.
Dall’illusione alla
cruda realtà
Per quanto riguarda il Paese aggredito,
il ruolo di perdente non dovrebbe sorprendere. Era quello che tutti si
aspettavano quando l’invasione russa è cominciata, con forze soverchianti,
da tutte le direzioni. Eppure c’è stato un momento in cui è sembrato che
le facili previsioni dovessero avere una clamorosa smentita.
L’offensiva russa si è impantanata, i
mezzi corazzati degli aggressori sono stati distrutti a centinaia, le navi
affondate, i soldati uccisi a migliaia. Anche perché si è presto
capito che l’esercito ucraino era da tempo addestrato ed armato dagli
Stati Uniti, e che adesso stava ricevendo dagli stessi Stati Uniti
forniture imponenti di armi modernissime, in grado di far
fronte efficacemente all’esercito russo.
Per non parlare dell’appoggio, assai
più moderato, ma pur sempre consistente, degli altri Paesi della
Nato. Da parte sua, il presidente ucraino Zelensky, con la sua
intensissima attività propagandistica e i suoi proclami di imminente
vittoria, appariva il simbolo di questa edizione moderna del racconto
biblico di Davide e Golia.
Al di là delle vicende militari,
l’isolamento totale della Russia sembrava realizzato. I politici
occidentali – primo fra tutti il presidente Biden – ripetevano che le
sanzioni ne stavano mettendo in ginocchio l’economia e che la
sua possibilità materiale di proseguire la guerra aveva i giorni contati.
Queste rosee prospettive si sono
rivelate infondate. Dopo i clamorosi errori commessi nelle prime
settimane, i russi hanno preso in mano le redini del conflitto, hanno
conquistato gran parte del Donbass e proseguono lentamente ma implacabilmente
la loro offensiva. In ogni caso, stanno distruggendo tutto quello che
riescono a raggiungere.
Sono eloquenti le immagini di centri
abitati rasi al suolo, da cui la gente è fuggita – più di cinque milioni
di profughi! – , oppure è stata deportata – terribile la notizia dei
duecentomila bambini ucraini trasferiti in Russia e proposti in adozione a
cittadini russi. Per non parlare del blocco dell’esportazione del grano di
cui l’Ucraina era una delle principali produttrici, o della sua sottrazione
ad opera degli occupanti. Ma è tutta l’economia che, ovviamente, è andata
in crisi.
Comunque finisca questa tragica vicenda,
essa rimarrà consegnata alla storia di questo Paese, fino a poco tempo fa
prospero, come una catastrofe. Nessuna possibile vittoria militare potrà
compensare e riscattare questi costi paurosi.
Un’aggressione suicida
Ma anche dal punto di vista della Russia
non si può certo parlare di una vittoria. Questa guerra, scatenata senza
preavviso e senza tentare prima adeguate vie diplomatiche, si sta
rivelando anche per essa un disastro. Un disastro militare, innanzi tutto,
per le enormi perdite umane e materiali subite dal suo esercito: decine di
generali e quarantamila soldati uccisi dall’eroica ed efficace resistenza
degli ucraini, carri armati e aerei distrutti a centinaia, un incrociatore
affondato.
Invece di essere una dimostrazione di
forza, come forse se l’immaginava il presidente Putin, questa invasione ha
offerto un’immagine desolante delle capacità strategiche e tattiche della
famosa Armata Rossa e ne ha depotenziato drasticamente la
consistenza. Ma la guerra è, per la Russia, anche e soprattutto un
disastro economico.
Le sanzioni non le hanno impedito
di continuarla, ma ciò non significa che non abbiano avuto effetto. Per
quest’anno si stima una contrazione almeno tra il 10 e il 12,5% del PIL.
Dall’inizio di gennaio il rublo è andato a picco, perdendo oltre la metà
del suo valore sul dollaro. Per non parlare della fuga di molte
grandi multinazionali e dell’esodo di professionisti russi qualificati.
Soprattutto, questo conflitto ha
distrutto la fitta rete di ponti umani, politici, economici che, dopo la
fine della “guerra fredda”, avevano sempre più strettamente collegato la
Russia al mondo occidentale, rendendola una credibile partner a tutti
questi livelli, e l’ha irrimediabilmente respinta verso l’Asia, dove Cina
ed India sono rimaste le sue grandi interlocutrici e i suoi principali
mercati. Un balzo indietro spaventoso, che capovolge un processo di
progressiva europeizzazione cominciato nel XVIII secolo con Pietro il
Grande.
Quali che siano gli eventuali guadagni
territoriali nel Donbass, e ammesso pure che venga conquistata tutta
l’Ucraina, il guadagno che Putin potrebbe avere da questa “vittoria di
Pirro” sono immensamente inferiori a costi così alti.
I costi degli altri
Ma a pagare i disastri di questa guerra
non sono solo i suoi diretti protagonisti. Anche i Paesi della Nato vi si sono
trovati di fatto coinvolti . Gli Stati Uniti hanno risposto agli appelli di
Zelensky con enormi investimenti – solo l’ultimo è stato di 33 miliardi di
dollari! – , seguiti, sia pure con maggiore parsimonia, dagli altri Paesi
aderenti.
Soprattutto, però è sempre più chiaro
che le sanzioni hanno un effetto boomerang che colpisce anche chi le infligge.
Ed era inevitabile, in un sistema economico globalizzato, dove tutti
dipendevano da tutti e dove perciò rompere i rapporti con un Paese come la
Russia non poteva non ritorcersi drammaticamente oltre che sul destinatario,
anche sugli autori di questa rottura.
In primo piano sono i gravissimi danni
che stanno subendo e subiranno sempre di più Paesi come la Germania e l’Italia,
che dipendevano dalle importazioni di petrolio e di gas russi. Ma in tutta
l’Europa è tutto un tessuto di relazioni commerciali, prima fiorenti, che è
stato improvvisamente lacerato, senza più prospettive di recupero.
Perché non sarà facile ritornare alla
felice situazione prebellica. Già per il semplice fatto che gli Stati europei
stanno stringendo nuovi contratti, per gli anni venturi, con Paesi produttori
di risorse energetiche, come del resto a sua volta sta facendo la Russia con
quelli che sono interessati a importare il suo petrolio e il suo
gas. Intanto, però, per tedeschi e italiani ci sarà almeno un periodo di
vuoto, perché molte delle nuove forniture cominceranno solo fra un anno. E
intanto?
Senza dire che alcuni dei nuovi partner
commerciali non danno neanche loro un grande affidamento in termini di rispetto
dei diritti umani… Basta pensare che uno di essi è quell’Egitto che da anni
rifiuta di collaborare con l’Italia per chiarire le responsabilità dei suoi
servizi segreti nell’atroce assassinio di Giulio Regeni. Anche aver dovuto
sorvolare su questo è una sconfitta.
Ancora più drammatica si profila però la
crisi umanitaria che investe tutto il mondo e che appare inevitabile, se il
grano ucraino rimarrà bloccato dalla guerra, come sta accadendo. Ci sono 38
Paesi in crisi alimentare che dipendono in maniera totale dal grano russo o
ucraino. Tra i più esposti, Yemen, Sudan, Nigeria e Etiopia. Decine di milioni
di persone rischiano di morire di fame a causa di questa “guerra commerciale”.
Col rischio che molte di loro cerchino la salvezza fuggendo dai loro Paesi per
venire in Occidente, travolgendo i nostri già fragili equilibri.
La denuncia di papa
Francesco
Gli unici ad aver vinto, in questa
guerra, sono i produttori e i mercanti di armi. I fatti stanno confermando
in pieno la riflessione fatta da papa Francesco fin dall’inizio del
conflitto: «Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati
si sono compromessi a spendere il 2 per cento del PIL per l’acquisto di
armi come risposta a questo che sta accadendo, pazzi!», aveva detto il
pontefice.
«La vera risposta non sono altre armi,
altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra
impostazione. Parlo di un modo diverso di governare il mondo, non facendo
vedere i denti». Un modo, ha precisato, che non sia «il frutto della
vecchia logica di potere che ancora domina la cosiddetta geopolitica» –
che è il «potere economico-tecnocratico-militare» – , in base a cui «si
continua a governare il mondo come uno “scacchiere”, dove i
potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli
altri».
Si farà strada questa logica,
drasticamente alternativa, di fronte alla prova evidente che questo
conflitto è un autolesionismo collettivo? Sarebbe bello poterlo sperare.
Dobbiamo sperarlo. Se vogliamo evitare che questa guerra, già perduta da
tutti, degeneri ulteriormente nel suicidio collettivo di una
catastrofe nucleare.
anche
noi.
*Pastorale
Cultura- Diocesi Palermo
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