considera questo,
secondo giustizia nessuno di noi
vedrebbe salvezza;
noi chiediamo misericordia
e quella stessa
preghiera insegna a noi tutti
a compierne gli
atti.”
(Shakespeare,
Il mercante di Venezia)
Napoli,
una sera di gennaio dell’Anno del Signore 1607. Avvolto nel suo scuro mantello
Padre Vincenzo si affretta sui ciottoli del vicolo che conduce al Pio Monte
della Misericordia. La luce della Luna trapela fra le nuvole e si allungano
furtive ombre notturne: figure di una umanità ricurva alla ricerca di un
giaciglio si muovono con rassegnata indolenza. Saranno pochi, stanotte, coloro
che potranno permettersi una locanda: per i più il riparo sarà il portico di
una chiesa, più probabilmente un tetto spiovente all’angolo di una piazza. Il
frate spinge il pesante portale del palazzo e si incammina verso la scalinata
che conduce alla Quadreria. Una donna, una zingara gli passa accanto e senza
degnarlo di un saluto si intrufola di corsa verso l’uscita. “Che strano –
mormora fra sé il religioso – cosa ci fa una malafemmina a quest’ora in questo
luogo? Dovrebbe essere vietato…” La torre campanaria scandisce sette rintocchi
con suono cupo e sordo. “Sono in ritardo, speriamo che il pittore non se ne sia
già andato…” . Giunto in cima alla scalinata apre una porta di legno che lo
introduce ad un lungo corridoio verso l’appuntamento. “D’altronde, andato dove?
Mi sembra un disperato, un poveraccio, un uomo in fuga, non credo abbia
alternative se non stare qui da noi”. La sala è immersa nell’oscurità, sulla
parete di fondo giace la grande tela ancor fresca dei colori ad olio stesi dal
pittore. Sul lato opposto una piccola lucerna illumina debolmente una figura
rannicchiata su se stessa, un uomo accovacciato e meditabondo che sembra non
far caso all’arrivo del sacerdote. “Ah, ecco il famoso artista” pensa Padre
Vincenzo “ecco il celeberrimo e al tempo stesso famigerato Michelangelo Merisi
che si fa chiamare Caravaggio”. Il pittore alza il volto e mostra uno sguardo
di brace ma al tempo stesso disilluso e stanco.
“Avete
portato il denaro, Padre?”.
“A
cosa vi riferite?” risponde il prete.
“Non
fate il furbo con me, sapete bene a cosa mi riferisco: la paga che mi avete
promesso, anzi che Vi siete impegnati a darmi con tanto di contratto e altri
biscazzi da legulei: 470 ducati tondi tondi…”
“Non
penserete che possa portare con me una simile somma di danaro” – dice Padre
Vincenzo ma poi soggiunge: “Ma non Vi preoccupate: domani l’avrete”.
“Padre,
il mio lavoro l’ho fatto, non mi fate scherzi se non volete che ne faccia anche
un altro…. sapete che ne sono capace “aggiunge con tono minaccioso mentre con
la mano sinistra solleva leggermente la giubba. La lama affilata di un coltello
brilla nell’oscurità.
“Calma,
calma figliolo, Vi accendete come un fiammifero! Io sono un frate, un uomo di
Dio, potrete bene fidarvi di un uomo di Dio, no? Perché dubitate di me? non
avete rispetto per la tonaca che porto?”
“
Padre, io non mi fido di me stesso, figurarsi di un prete!” e scoppia in una
risata sarcastica. “Quanto alla Vostra tonaca io la rispetto ma mi fa anche
orrore”.
“E
per quale ragione Benedetto Iddio?”
“Da
quando il Vostro Capo, il grande pontefice bianco che se ne sta a Roma nei suoi
palazzi decorati di oro, ha emesso il decreto che chiunque lo voglia mi può
spiccare dal tronco la testa io vivo nell’orrore e nell’angoscia”.
“Si
lo so, il Papa ha emesso questa sentenza ma Voi avete ucciso un uomo!”
Un
ghigno si allarga sul viso del Caravaggio: “Forse più d’uno padre, più d’uno….
e potrei non avere finito la serie…” Poi facendosi serio e grave aggiunge: “Era
malvagio, uno che approfittava della sua ricchezza per sfruttare ancor di più i
poveracci, gente come quella con cui sto io, che non ha i denti neppure per
mangiare il pane ma questo poi non è un gran problema perché tanto il pane non
ce l’ha. Voi, che vivete protetto da queste mura, neanche ve lo immaginate di
quanti si sono approfittati di me, con i trucchi o la prepotenza e la forza dei
loro sgherri. E’ facile per chi è ricco ottenere ragione perché nel nostro
tempo chi è ricco ha sempre con se la forza del potere e chi ha ragione è
quello che è più forte e ha più potere mentre quello che le busca ha sempre
torto. Dov’è la giustizia? Io quello l’ho sbudellato ecco tutto, la giustizia
gliela ho cavata fuori io…”.
È stato scritto sulle Tavole: non uccidere. Nulla di quel che avete detto può giustificare l’uccisione di un uomo”.
“E
cosa, dunque, vi autorizza a giustificare la mia? Decapitazione!
DE-CA-PI-TA-ZIO-NE, – scandisce Caravaggio facendo un ampio segno attorno alla
gola – questo sta scritto nella sentenza
che mi riguarda. Chiunque, chiunque ne abbia voglia, piacere o interesse può
tagliarmi la testa e ne avrà per ricompensa il plauso del Santo Pontefice.
Anche Voi, magari per risparmiare i 470 ducati che mi dovete. Io sono un morto
che cammina, ogni tocco di campana che odo dalla torre potrebbe essere
l’ultimo, ogni ombra che esce dalla strada quella del mio carnefice. Voi non
sapete cosa ciò significa: la vita è per me solo angoscia, anzi un calvario che
anticipa un supplizio finale, quando finalmente qualcuno tirerà fuori la spada
e metterà la mia testa in un cesto”. Il Caravaggio tira fuori la lingua e rotea
gli occhi agitando le mani vicino alla testa simulando il singulto che il
condannato esala insieme al suo ultimo respiro. Sembra lo sguardo della Medusa
pieno di terrore e sorpresa nel momento in cui Perseo le mozza il capo. Poi si
ferma di colpo, come pietrificato dal suo stesso sguardo. Lacrime gli rigano in
volto che da truce torna ad essere miserevole e lo sguardo quello di un bambino
che chiede compassione.
“Via
via, non fate così, dice Padre Vincenzo, qui nessuno Vi vuole fare del male e
siete al sicuro. Domani Vi darò la paga e voi avrete tutti i soldi che vi
servono per fare della Vostra vita qualcosa di buono. Sempre che lo vogliate
veramente. Ma ricordate: ciò che importa è la salvezza dell’anima. A che serve
l’integrità del corpo se l’anima è malata o perduta? Dovreste considerare
questa vostra sofferenza interiore come un dono della Chiesa che vi consente di
ritrovare la via perduta, la rettitudine di vita, il discernimento tra ciò che
è giusto per l’uomo e ciò che è disordine, perdizione.”
Risponde
Caravaggio: “Belle parole ma, vede Padre, temo che sia troppo tardi, la mia vita è andata come è andata, sono solo
l’ombra di ciò che sarei potuto diventare, ho cercato la luce ma sono
condannato a rifugiarmi nelle tenebre, unica mia sicurezza. Per i poveracci
come me, credetemi, le belle parole eleganti della liturgia, la sapienza dei
confessori, la saggezza dei libri di morale sono semplicemente un lusso che non
ci si può permettere. I vostri sermoni, non li discuto, saranno buoni ma non mi
toccano il cuore. Sento invece il ferro della spada che mi cerca il collo, lo
sento giorno e notte e già mi ha tolto il respiro anche se ancora cammino.”
Padre
Vincenzo risponde: “Non è mai troppo tardi, c’è sempre un tempo, uno spazio, un
attimo in cui tutta la nostra vita può cambiare; ricordate le parole di
Sant’Agostino: Fra l’ultimo nostro respiro e l’inferno, c’è tutto l’oceano
della misericordia di Dio”.
Replica
Caravaggio: “Ah certo, l’inferno e la misericordia di Dio… Dio ci ama? questo
desidero tanto crederlo anch’io. So per certo che sono gli uomini che non si
amano e non si portano misericordia”.
“Siete
abile con le parole Padre ma alla gente esse non bastano, vuole i fatti, le
opere.”
“Questo
è il motivo, replica Padre Vincenzo, per il quale Vi abbiamo chiesto di
realizzare questo dipinto e di tratteggiare
in esso le opere della misericordia affinché per il tramite della Vostra arte
fossero di ispirazione per i fedeli e adornassero questo santo luogo”.
Padre
Vincenzo non risponde e osserva a lungo in silenzio il dipinto. Ne è per certi
versi ammirato e per altri disturbato. E’ molto diverso da quello che si
aspettava. Non tanto perché non fa alcun cenno all’attività caritativa del Pio
Monte della Misericordia (anche se sa bene che i suoi superiori non avrebbero
mancato di farglielo presente) e neppure
perché il volto della Madonna è senza dubbio alcuno quella della prostituta
incontrata sulle scale ma perché coglie una forza polemica dalle figure
ritratte che lo disorienta. Alla fine commenta: “Si, è un dipinto complesso, ha
una sua forza ma qualcosa mi sfugge: perché nessuno sorride? perché nessuno di
questi uomini e nemmeno quella donna che offre il seno appare felice, contento
di un gesto di misericordia che pure lo nobilita? Perché nessuno scambio di
sguardi? Perché nessuno si rivolge al cielo? Sembrano due mondi distanti. La
presenza divina c’è ma nessuno pare accorgersene. Anzi a ben guardare trovo una ambiguità in
queste figure umane: davvero san Martino offre il suo mantello? sembra quasi
volerlo trattenere mentre l’uomo nudo glielo vuole strappare. E questa donna
con la gonna rialzata sta davvero compiendo un gesto di misericordia? A me
sembra altro, non mi faccia dire cosa
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