INVECCHIANO
- di LUCIA BELLASPIGA
Se dopo mesi dall’aver contratto il
Covid (anche in forma leggera o asintomatica) vi sentite le 'gambe tagliate' e
stanchezza a fare due passi, siete in buona compagnia. Se infatti nel Giro
d’Italia o sui campi di calcio alcuni dei massimi atleti hanno dato forfait, è
proprio per quella sindrome ancora sconosciuta chiamata 'long Covid': una scia
di esiti più o meno gravi (generalmente reversibili), che vanno dalla
cosiddetta 'nebbia mentale' (mancanza di concentrazione e di memoria),
all’ansia, al respiro corto, alla difficoltà di correre e camminare... Sintomi
che per chi pratica sport a livello agonistico possono significare la fine
della carriera. È proprio il mondo degli sportivi top level quello in cui opera
il professor Domenico Corrado, uno dei massimi esperti in materia, cui il Coni
da anni affida gli atleti per prevenire e studiare le famigerate 'morti
improvvise' durante la prestazione fisica, in genere causate da miocarditi
asintomatiche.
Ordinario di Malattie dell’apparato
cardiovascolare all’Università di Padova e direttore dell’Unità dipartimentale
sulle cardiomiopatie genetiche, è anche direttore dell’unico master di
Cardiologia dello Sport in Italia. «Gli sportivi sono un osservatorio
straordinario – spiega Corrado – perché parliamo di giovani che sono i più
sani, i più allenati, anche i più controllati », quindi ciò che accade nel
mondo dello sport è un ottimo 'laboratorio' per studiare quanto possiamo
aspettarci noi, ora che la grande maggioranza della popolazione è già guarita
dal Covid ma un numero di persone ancora difficile da quantificare denuncia
varie sofferenze da 'long Covid'.
«È su questa esperienza che va oggi a
innestarsi la nostra osservazione sul post Covid – spiega quindi Corrado –.
Ormai vediamo che per alcuni atleti, soggetti considerati più o meno invulnerabili
e con performance cardiovascolari al di sopra della norma, il Covid è stato
tuttavia un evento importante. All’esperienza già acquisita sui giovani che
possono morire improvvisamente per malattie genetiche al muscolo cardiaco, ora
si ag- giunge quindi il fatto che anche il virus Sars-Cov2 può provocare una
miocardite, ovvero l’infiammazione al cuore che nella nostra casistica incide
per il 15% nelle cause di morte improvvisa».
Non può fare nomi, ma nel suo studio
stanno approdando professionisti delle più popolari discipline sportive,
rimasti 'appiedati' per il 'blocco' alle gambe, anche campioni olimpici
(parliamo di uomini e donne) in molti casi condannati alla fine della carriera.
Tutto per un virus che in fondo era, ed è, sottovalutato. «Il Covid può
lasciare degli esiti assolutamente inattesi. Ovviamente più grave è stata la
malattia dal punto di vista polmonare e più forte è il rischio di sviluppare
una patologia cardiovascolare o di altri organi, ma quello che abbiamo visto è
che anche atleti usciti da un Covid asintomatico possono avere importanti
sequele anche dopo mesi dalla guarigione».
Il paradosso è che anche tali sequele
possono essere asintomatiche e quindi scoperte tardi: «Nel cuore troviamo le
cicatrici lasciate da una miocardite e da lì comprendiamo che nel corso
dell’infezione acuta da Covid c’era stato un importante evento infiammatorio,
di cui gli atleti non si erano accorti, ma il cui danno miocardico resta».
Cicatrici, praticamente, che si scovano con certezza solo uscendo dai normali
protocolli del 'return to play' e facendo una risonanza magnetica al cuore,
esame oneroso non certo applicabile sull’intera popolazione.
«Seguo numerosi giocatori ai vertici della
classifica e alcuni li ho dovuti fermare a causa di questa cicatrice – rivela
Corrado –. Per fortuna comunque sono l’eccezione». Non c’è una terapia
specifica ma il più delle volte il danno cardiaco è reversibile e con il tempo
tanti atleti stanno recuperando, anche se la durata del blocco dipende da come
evolve il 'long Covid'.
«Quello che per noi è particolarmente
importante è definire se la cicatrice possa provocare un arresto cardiaco sotto
sforzo. Evidenziare un reale fattore di rischio porta a dover arrestare per
sempre l’attività agonistica». Com’è successo in questi giorni a un giocatore
della massima categoria, di cui non fa il nome, e a una campionessa olimpica
che durante lo sforzo ha avuto un’aritmia complessa. Tra i più noti atleti
bloccati i mesi scorsi dal 'long Covid' c’è ad esempio Peter Sagan (non è
paziente di Domenico Corrado), il tre volte campione del mondo di ciclismo su
strada che i mesi scorsi ha scioccato il mondo delle due ruote rinunciando al
Giro delle Fiandre e alla Parigi-Roubaix, e testimoniando «uno stato di
spossatezza perenne, anche nella quotidianità».
«Il 'long Covid' è una sindrome inaspettata, se si considera che dal Covid sono tutti guariti. Da cosa dipende allora? ». Una volta assodata con specifici test l’oggettiva limitazione lamentata dal paziente, se ne cercano le cause, cioè se c’è una miocardite o invece una compromissione dal punto di vista neurologico. Scoprire tutto questo sarà ora l’enorme sfida multidisciplinare che interessa cardiologi, neurologi, psicologi, pneumologi, biochimici. Ed è proprio il biochimico Fulvio Ursini, professore emerito all’università di Padova, ad andare a monte e cercare di razionalizzare il problema in termini biologici: «Il fenomeno di sequele a una patologia che ormai è guarita può essere ricondotto alla formazione di cellule dette 'senescenti', cioè quelle cellule del tessuto colpito dalla patologia che – smettendo di riprodursi e secernendo fattori che attivano l’infiammazione – partecipano alla guarigione». Un meccanismo positivo, dunque, ma non sempre. «La senescenza cellulare avviene quando una cellula che abbia subìto un danno (per esempio dal Covid, ma anche da qualsiasi altro agente nocivo) non si suicida come dovrebbe, ma sopravvive ed è coinvolta nel complesso meccanismo di guarigione»: in questo caso la senescenza è quindi funzionalmente utile. «Ma il lato sfavorevole è che la cellula senescente che non muore genera infiammazione e stimola lei stessa la trasformazione in senescenti di altre cellule» spiega Ursini, così il fenomeno può passare da utile a dannoso nel lungo termine, quando sia eccessivo e non ottimamente controllato. «Con l’invecchiamento, ma anche con l’esposizione a stimoli nocivi di varia natura, biologici, chimici e fisici, noi siamo sempre meno capaci di contenere il numero e la funzione delle cellule senescenti, che sono una concausa di tutte le alterazioni patologiche tipiche dell’invecchiamento: dalla neurodegenerazione alle insufficienze di organi ed apparati, fino alle articolazioni e al cuore». Il caso del 'long Covid', conclude Ursini, ben esemplifica questa situazione di 'invecchiamento accelerato': un 60enne guarito dal Sars-Cov2 biologicamente è come se avesse 70 anni.
È chiaro allora che riuscire ad eliminare l’eccesso di cellule senescenti
dal nostro corpo si presenta oggi come il sogno della scienza, «il 'Santo
Graal' della medicina antiinvecchiamento e il modo di limitare i danni a lungo
termine delle patologie che hanno prodotto lo stress cellulare». Non è
un’utopia, ci sono ottime speranze: «Per il momento sappiamo che sostanze
naturali vegetali (cipolle, tè, vino rosso, mele, cachi, semi d’uva, melograno,
cavoli, broccoli, ecc.) almeno nell’animale da laboratorio, adempiono
egregiamente a questa funzione sia di ridurre drasticamente le cellule
senescenti sia di eliminare l’effetto infiammatorio di quelle eventualmente
sopravvissute». Non è l’illusione di non invecchiare, ma l’obiettivo di
invecchiare in salute.
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