CORPUS DOMINI
- Commento di p. Ermes Ronchi
(...) Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero:
«Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare
viveri per tutta questa gente». C'erano infatti circa cinquemila uomini. Egli
disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero
così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci,
alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava
ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà
(...)
Mandali
via, è sera ormai, e siamo in un luogo deserto. Gli apostoli si preoccupano per
la folla, ne condividono la fame, ma non vedono soluzioni: «lascia che ciascuno
vada a risolversi i suoi problemi, come può, dove può». Ma Gesù non ha mai
mandato via nessuno. Anzi vuole fare di quel luogo deserto una casa calda di
pane e di affetto. E condividendo la fame dell'uomo, condivide il volto del
Padre: “alcuni uomini hanno così tanta fame, che per loro Dio non può avere che
la forma di un pane” (Gandhi). E allora imprime un improvviso cambio di
direzione al racconto, attraverso una richiesta illogica ai suoi: Date loro voi
stessi da mangiare. Un verbo semplice, asciutto, concreto: date. Nel Vangelo il
verbo amare si traduce sempre con un altro verbo, fattivo, di mani: dare (Dio
ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio (Gv 3,16), non c'è amore più
grande che dare la vita per i propri amici (Gv 15,13).
Ma
è una richiesta impossibile: non abbiamo che cinque pani e due pesci. Un pane
per ogni mille persone e due pesciolini: è poco, quasi niente, non basta
neppure per la nostra cena. Ma il Signore vuole che nei suoi discepoli metta
radici il suo coraggio e il miracolo del dono. C'è pane sulla terra a
sufficienza per la fame di tutti, ma non è sufficiente per l'avidità di pochi. Eppure,
chi dona non diventa mai povero. La vita vive di vita donata.
Fateli
sedere a gruppi. Nessuno da solo, tutti dentro un cerchio, tutti dentro un
legame; seduti, come si fa per una cena importante; fianco a fianco, come per
una cena in famiglia: primo passo per entrare nel gioco divino del dono. Fuori,
non c'è altro che una tavola d'erba, primo altare del vangelo, e il lago sullo
sfondo con la sua abside azzurra. La sorpresa di quella sera è che poco pane
condiviso tra tutti, che passa di mano in mano e ne rimane in ogni mano,
diventa sufficiente, si moltiplica in pane in-finito. La sorpresa è vedere che
la fine della fame non consiste nel mangiare da solo, a sazietà, il mio pane,
ma nello spartire il poco che ho, e non importa cosa: due pesci, un bicchiere
d'acqua fresca, olio e vino sulle ferite, un po' di tempo e un po' di cuore,
una carezza amorevole.
Sento
che questa è la grande parola del pane, che il nostro compito nella vita sa di
pane: non andarcene da questa terra senza essere prima diventati pezzo di pane
buono per la vita e la pace di qualcuno. Tutti mangiarono a sazietà. Quel
“tutti” è importante. Sono bambini, donne, uomini. Sono santi e peccatori,
sinceri o bugiardi, nessuno escluso, donne di Samaria con cinque mariti e
altrettanti fallimenti, nessuno escluso. Prodigiosa moltiplicazione: non del
pane ma del cuore.
(Letture: Genesi 14,18-20; Salmo 109; Prima Lettera ai Corinzi 11,23-26; Luca
9,11b-17)
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