- di Giuseppe Savagnone *
La
memoria e l’alleanza della CDU con i neo-nazisti
Il
giorno della memoria – celebrato in tutto il mondo il 27 gennaio, giorno
della liberazione di Auschwitz – è stato istituito nel 2005
dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per non dimenticare le vittime
dell’Olocausto e per ammonire l’umanità sul pericolo sempre presente
che quegli orrori possano ripetersi.
«Mai
più!» è lo slogan che da allora risuona in questa ricorrenza. Oggi, a vent’anni
di distanza, dobbiamo constatare che, mentre la prima di queste due
finalità si è realizzata anche quest’anno, la seconda no.
Tristemente
emblematico, a conferma di ciò, il fatto che in Germania, il 29 gennaio – solo
due giorni dopo la solenne commemorazione delle atrocità commesse durante il
regime nazista -, Friedrich Merz, il leader della CDU, il maggiore partito
tedesco (e probabile prossimo cancelliere), non ha esitato ad allearsi con
Alternative für Deutchland (AfD), la forza politica che più direttamente ha
raccolto l’eredità di quel regime.
È
la prima volta nella storia e la scelta di Merz rompe un tabù che i
partiti democratici tedeschi avevano sempre rispettato, sdoganando così AfD, da
sempre accusata di essere neo-nazista. A determinare la convergenza è stato il
comune intento di far passare un provvedimento che restringe drasticamente il
diritto di asilo ai migranti.
Ma
l’estrema destra non è più antisemita, anzi è filo-israeliana
Perché
ormai da tempo l’estrema destra tedesca, concentrandosi sull’islamofobia, ha
accantonato il tradizionale antisemitismo, anzi ha addirittura dato il suo
appoggio allo Stato d’Israele nel suo scontro col mondo islamico per la
questione palestinese.
Al
punto che nel 2020 Yair Netanyahu, figlio maggiore dell’attuale primo ministro
israeliano Benjamin Netanyahu, è diventato letteralmente il “ragazzo immagine”
di AfD per aver attaccato la «cattiva» Unione europea, che, a suo giudizio, con
la sua politica verso i palestinesi e gli arabi in genere era nemica di Israele
e di «tutti i paesi cristiani europei».
Il
sostegno dell’estrema destra a Israele, in nome dell’islamofobia, non è
un’esclusiva tedesca, ma si sta sviluppando in tutta Europa. Accanto ad Alice
Weidel dell’AfD, leader di estrema destra come Geert Wilders nei Paesi Bassi,
Marine Le Pen in Francia, Nigel Farage nel Regno Unito e Viktor Orbán in
Ungheria sono apertamente schierati con lo Stato ebraico.
Il
sostegno esplicito ed entusiasta al sionismo è diventato un principio
ideologico per la maggior parte di questi partiti, scenario impensabile dalla
prospettiva di cinquanta o addirittura trent’anni fa.
Su
questa linea è anche la destra italiana, la prima, dopo quella ungherese,
ad arrivare al governo, che nella guerra di Gaza ha fornito a Israele il
proprio pieno appoggio politico e militare. Lasciandosi dietro le spalle le
leggi razziali del fascismo, questo nuovo razzismo ha di mira non gli ebrei, ma
gli immigrati provenienti dall’Africa e dall’Asia, automaticamente catalogati
come islamici (senza tener conto che un buon numero di essi sono in realtà
cristiani).
Quando,
in seguito all’invasione russa, migliaia e migliaia di ucraini vennero in
Italia, il più acceso sostenitore della “difesa dei confini”, il vice-premier
Matteo Salvini, non ha più parlato di “invasione”, anzi in una particolare
circostanza, si diceva «felice di sapere che entro sera altri 50 fra bimbi e
famiglie scappati dall’Ucraina partiranno in pullman per venire in Italia».
A
chi gli faceva notare l’incoerenza con le sue accanite battaglie contro i
migranti, ha risposto: «Mentre spesso si parla di guerre finte, questi profughi
sono veri e scappano da guerre vere».
Una
spiegazione che prescinde totalmente dalle reali situazioni che generano
l’emigrazione e lascia chiaramente capire che si è benvenuti in Italia solo
se si è bianchi e cristiani.
America
ed Europa unite nelle deportazioni dei migranti e nel sostegno a Netanyahu
Il
ciclone Trump, ha confermato questo collegamento tra la lotta contro i
migranti (anche se in un contesto diverso: i suoi non sono bianchi, ma
cristiani sì) e l’appoggio ad Israele. Della prima è eloquente sintesi la
fotografia postata dalla Casa Bianca, e che ha fatto il giro del mondo, degli
uomini in fila, in catene, come criminali o bestie.
Trump
ha parlato della «più grande deportazione» della storia americana e si propone
addirittura di allestire un campo di detenzione per loro a Guantanamo, il
famigerato penitenziario americani dove vengono richiusi e – per comune
ammissione – torturati i sospetti terroristi.
Del
sostegno incondizionato ad Israele si è avuta subito una prova quando il nuovo
presidente ha chiarito qual è la sua idea del futuro della Palestina. Niente
due Stati, come prevedeva la risoluzione dell’ONU del 1947 e come finora la
diplomazia mondiale aveva auspicato, bensì deportazione – ritorna questo
concetto! – degli abitanti di Gaza (circa due milioni e mezzo) nei paesi arabi
vicini (che naturalmente hanno subito rifiutato).
Una
proposta che ha suscitato l’entusiasmo dei due leader dell’estrema destra
israeliana, il ministro dell’economia Bezalel Smotrich e l’ex ministro della
sicurezza Itamar Ben Gvir, che da tempo pressano per approfittare di questa
guerra per cacciare i palestinesi e aprire Gaza ai coloni israeliani.
A
proposito di coloni israeliani, Trump ha anche annullato le sanzioni stabilite
dal suo predecessore contro quelli della Cisgiordania che avevano occupato
illegalmente, con la violenza, le terre dei palestinesi, spianando così la
strada a ulteriori aggressioni che è veramente difficile far passare sotto
l’etichetta del “diritto di Israele a difendersi”.
In
realtà la duplice tendenza ad alzare muri contro i migranti e ad appoggiare
Israele si può riscontrare oggi nella maggior parte dei governi occidentali
(con la sola eccezione della Spagna e dell’Irlanda).
Alle
accuse rivoltegli per il provvedimento anti-migranti fatto passare con
l’appoggio di AfD, Merz ha replicato: «Io chiedo cosa facciano di diverso da
quello che io propongo la Danimarca, la Svezia, la Finlandia, l’Italia, i Paesi
Bassi, tanti Paesi europei che sono nella nostra stessa Unione europea».
L’Europa si sta barricando.
Contemporaneamente,
appoggia Israele. Non, si badi bene, il popolo ebreo, ma specificamente
Netanyahu e il suo governo, scavalcando le posizioni di dissenso che
all’interno dello Stato ebraico da tempo si levano contro la gestione della
guerra.
Sono
molto significative a questo proposito, le risposte della maggior parte
dei governi europei alla recente decisione della Corte penale internazionale di
emettere un mandato di arresto per il primo ministro israeliano e per il
ministro della guerra Ioav Galland «per crimini di guerra e crimini contro
l’umanità»
A
colpire non è tanto quella di un paese dell’Est come l’Ungheria, dove già il
diritto è ampiamente sopraffatto dalla politica e il cui premier ha subito
chiarito che la sentenza della Corte penale «non avrà alcun effetto», invitando
addirittura il premier israeliano a Budapest.
Più
impressionanti sono le reazioni di quelle democrazie occidentali, che
negli ultimi due anni e mezzo si sono hanno fatto delle difesa dei diritti
umani una bandiera nel loro strenuo impegno a sostegno del popolo ucraino
contro l’aggressione russa.
A
cominciare dalle dichiarazioni della nostra presidente del Consiglio:
«Approfondirò in questi giorni le motivazioni che hanno portato alla sentenza.
Motivazioni che dovrebbero essere sempre oggettive e non di natura politica».
Dove è chiara l’insinuazione che la sentenza dell’Aja sia motivata da ragioni
politiche, come quelle dei giudici italiani sui migranti.
In
ogni caso – ha assicurato la nostra premier – «un punto resta fermo per questo
governo: non ci può essere una equivalenza tra le responsabilità dello Stato di
Israele e l’organizzazione terroristica Hamas».
Ma
non è stata solo l’Italia a mostrarsi molto restia a rispettare la sentenza
della Corte. Una dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri di Germania,
Francia e Regno Unito affermava che non vi è alcuna giustificazione per
cui la Corte penale internazionale debba adottare misure contro i leader
israeliani e si esprime preoccupazione per le implicazioni della sentenza
sulla stabilità regionale. Come se la cancellazione deliberata e sistematica di
una popolazione non fosse avvenuta sotto i nostri occhi.
Ma,
cosa ancora più grave, dal punto di vista giuridico, come se il valore delle
sentenze della Corte, a cui tutti questi Stati aderiscono e creata per avere un
punto di riferimento super partes nelle questioni
internazionali, dipendesse dalle loro valutazioni di parte.
Quale
antisemitismo?
Alla
luce di questi innegabili dati, acquista un significato ambiguo la denuncia del
diffondersi dell’antisemitismo. Ce n’è uno inaccettabile, contro cui bisogna
continuare a non abbassare la guardia.
Ma
ce n’è un altro, attribuito a chiunque critichi il governo israeliano. E
proprio l’estrema destra, inclusi i neo-nazisti, con la pretesa di combattere
questo antisemitismo, giustifica il massacro dei palestinesi e la pulizia
etnica di Gaza, nonché la progressiva “purificazione” degli Stati Uniti e
dell’Europa da tutti coloro – prima di tutto gli islamici – che con la
loro presenza “inquinano” la purezza della civiltà occidentale e danno il loro
appoggio alla causa palestinese .
Ogni
fenomeno storico è diverso dai precedenti. Ma è certo che il quadro che si
profila, e che già si realizza, ha alcune cose in comune con l’Olocausto: altri
lager, come in Libia, altri massacri sistematici di uomini, donne e bambini,
come a Gaza, altre deportazioni, come negli Stati Uniti e presto, sempre più,
anche in Europa.
E
questa volta dalla parte degli aguzzini ci siamo noi, i paesi “democratici”, e
gli stessi ebrei – quelli che stanno compiendo queste atrocità o, dentro e
fuori lo Stato ebraico, le giustificano, e che però, per fortuna, sono possono
fare dimenticare tanti altri ebrei che, dentro e fuori lo Stato ebraico, si
oppongono a questa logica disumana.
Questo
non impedisce agli aguzzini di oggi di continuare a mettersi nei panni delle
vittime di ieri. Vedendo il filmato che rappresentava la giovane
israeliana liberata da Hamas strattonata e schiacciata dall’immensa folla
che stava attorno (restando peraltro illesa), Netanyahu – dopo quindici mesi in
cui per suo ordine 47mila persone innocenti, di cui la maggior parte donne e
bambini, sono state uccise, e due milioni e mezzo di abitanti sono stati
privati del cibo, dell’acqua, e delle medicine, hanno visto distrutte le loro
case e morire i loro cari che sono ancora sotto le macerie – , è rimasto
indignato e ha parlato di «inimmaginabile crudeltà».
Il
ricordo di ieri non deve essere perduto, ma non può farci chiudere gli occhi su
quello che accade oggi. C’è un antisemitismo autentico che dobbiamo continuare
a combattere con tutte le nostre forze, ma ce n’è uno, che altro non è se non
un alibi per nascondere le colpe di oggi e che dev’essere denunciato, per non
ritrovarci, il giorno della memoria del prossimo anno, a gridare «Mai più!» ,
insieme ai neonazisti
Nessun commento:
Posta un commento