Ml 3,1-4; Sal 23 (24); Eb
2,14-18; Lc 2,22-40
Commento di Ester Abbatista
In questa domenica si
celebra la festa della presentazione di Gesù al Tempio. Luca è molto attento a
descrivere gli atti importanti che seguono la nascita di un figlio nella fede
ebraica.
Dopo otto giorni, la
circoncisione (berit milà): «Quando furono compiuti gli otto giorni
prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù» (Lc 2,21). E,
successivamente, dopo il tempo della purificazione, la presentazione del primo
figlio maschio al Tempio per il riscatto (pidion haben), secondo la
Torah: «Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale,
secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme
per presentarlo al Signore – come è scritto nella Torah del Signore: “Ogni
maschio primogenito sarà sacro al Signore” – e per offrire in sacrificio una
coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la Torah del Signore».
Il tutto avviene quindi
in osservanza della Torah, e più precisamente secondo quanto è scritto nel
Levitico: «L’ottavo giorno si circonciderà il prepuzio del bambino. Poi ella
[la madre] resterà ancora trentatré giorni a purificarsi dal suo sangue; non toccherà
alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i
giorni della sua purificazione» (Lv 12,3-4).
Inoltre è proprio il
testo del Levitico che ci informa sul fatto che l’offerta di una coppia di
tortore o colombi è segno che la coppia non era ricca: «Quando i giorni della
sua purificazione per un figlio o per una figlia saranno compiuti, porterà al
sacerdote all’ingresso della tenda del convegno un agnello di un anno come
olocausto e un colombo o una tortora in sacrificio per il peccato. (…) Se non
ha mezzi per offrire un agnello, prenderà due tortore o due colombi: uno per
l’olocausto e l’altro per il sacrificio per il peccato. Il sacerdote compirà il
rito espiatorio per lei ed ella sarà pura» (Lv 12,6-8).
All’interno di questa
descrizione, che fa vedere come i genitori di Gesù agiscano in tutto e per
tutto secondo la fede ebraica, Luca pone due figure di anziani che si trovano
allo stesso tempo nel Tempio: Simeone e Anna. In comune, oltre all’età avanzata,
i due hanno il fatto che sono in attesa, che sperano in qualcosa.
Il primo, Simeone – dice
il testo – «aspettava la consolazione d’Israele»; la seconda, Anna, aspettava
«la redenzione di Gerusalemme». Ambedue vedono in questo bambino la
realizzazione delle loro attese e speranze. Simeone, mosso dallo Spirito, si
reca al Tempio e, preso in braccio il bambino, realizza che la sua speranza si
sta compiendo. Anna, invece, che praticamente vive nel Tempio, è una profetessa
e, alla vista del bambino, lo indica come la realizzazione di quello che sarà
la liberazione di Gerusalemme e, conseguentemente, di tutto il popolo.
Due anziane persone,
ormai prossime alla fine, risultano fondamentali nel riconoscimento di Gesù
come Messia e liberatore di Israele. Che cosa permette loro tutto questo? Certo
la presenza dello Spirito, per l’uno, e il dono della profezia, per l’altra; ma
aggiungerei proprio la loro età, l’esperienza dei loro numerosi anni, la
memoria di una storia tramandata, accolta e vissuta in prima persona: tutto
questo è futuro. È ciò che permette loro di intra-vedere il futuro, di
riconoscerne i segni, di annunciarne la venuta.
È forse questo uno dei
tanti messaggi che questo bellissimo testo può offrirci: la memoria, la storia,
come esperienza vissuta e tramandata, non è qualcosa che appartiene al passato,
ma è la porta di accesso al nostro futuro, la lente attraverso cui possiamo
intra-vederlo, riconoscerlo, accoglierlo. Senza storia, senza memoria, non solo
non c’è futuro, ma non c’è neanche attesa, non c’è neanche speranza e,
soprattutto, non c’è novità.
E andrebbe sottolineato
il fatto che sia Simeone che Anna, nel rappresentare la memoria e la storia,
non sono personaggi attaccati «al passato», incapaci di cambiamento, quasi
morbosamente cristallizzati in un’epoca o in una comprensione dei testi e della
realtà ancorata al passato; i loro occhi sono capaci di vedere il «nuovo»
proprio a partire dall’«antico», cioè a leggere e interpretare le Scritture
cogliendone la «novità» di Dio.
Non è forse questo quello
che, anni dopo, lo stesso Gesù farà con i discepoli sulla strada verso Emmaus?
Anche questi speravano e attendevano «che fosse lui a liberare Israele» e
cercavano consolazione nella memoria storica racchiusa proprio ad Emmaus, ma
ciò che mancava loro era la capacità di intra-vedere, a partire proprio dalla
storia, dalla memoria delle Scritture, quel «nuovo» di Dio di cui senza saperlo
erano stati testimoni.
Alla fine, anche i loro
occhi si sono aperti e il futuro è apparso loro, ma questo è stato possibile
solo quando hanno saputo guardare alla memoria vera, a quella storia che Dio
aveva costruito con il suo popolo, alle Scritture: «E, cominciando da Mosè e da
tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui»
(Lc 24,27).
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