sabato 1 febbraio 2025

GIOVANI IN SERVIZIO

 Giovani precari ma impegnati

 Aiutare gli altri è una passione


ILRAPPORTO

Nello studio “Giovani in Caritas: tra sogno e realtà” 

632 ragazzi descrivono il proprio presente,

 elencano le difficoltà ed immaginano il loro futuro,

 fuori e dentro l’organismo pastorale Cei


- di ILARIA BERETTA

In un Paese che invecchia e basato sul lavoro precario, i giovani impegnati nelle associazioni di volontariato sono merce preziosa che pure, però, corre il rischio di essere considerata solo come manodopera, vincolata a ruoli operativi e quasi mai coinvolta nei processi decisionali. Senza paura di fare autocritica, Caritas Italiana ha da tempo deciso di ribaltare questa prospettiva, mettendo al centro del proprio piano strategico e, prima ancora, dell’analisi del suo Centro studi proprio le nuove generazioni. Lo dimostra il rapporto, presentato ieri, “Giovani in Caritas: tra sogno e realtà” che segue due precedenti studi di analisi sull’identità e il lavoro dei ragazzi e completa la fotografia dell’impegno dei giovani in Caritas aggiungendo le loro prospettive: per sé e per il futuro dell’organizzazione.

L’indagine – promossa dal Servizio Giovani e Volontariato e dal Servizio Studi di Caritas Italiana – ha interpellato 632 giovani, di età compresa tra 16 e 35 anni, distribuiti equamente nelle diverse regioni , che a vario titolo – volontari, servizio civilisti, dipendenti, tirocinanti... – hanno incrociato la strada dell’organismo pastorale Cei. Si tratta in gran parte di ragazze (68,4%), di cittadinanza italiana (97,2%), con un’età media di 24 anni e mezzo a cui è stato chiesto di presentarsi e descrivere il proprio presente, raccontare dove e come si immaginano di vivere, fuori e dentro Caritas, e quali sono gli ostacoli che avvertono sul proprio cammino.

Più di sette su dieci (precisamente il 71,7%) dichiarano che la loro passione principale è “aiutare gli altri”. Tra le passioni che spiccano in senso negativo invece c’è il fare politica, una sfera di azione che interessa solo l’8,9% dei giovani. A servizio del prossimo i giovani si mettono soprattutto nei centri d’ascolto, nelle Caritas parrocchiali e nelle attività per giovani. La loro presenza nell’organizzazione crolla invece nelle iniziative dedicate alla formazione, nell’osservatorio su risorse e povertà e nelle attività internazionali: tutti settori in cui la competenza dei giovani potrebbe invece essere valorizzata. «Questo dato – commenta Walter Nanni, sociologo ed autore del rapporto – deve porci una domanda: gli adulti in Caritas sono disposti a dare fiducia ai giovani, ad affidare loro anche ruoli di leadership e responsabilità?» La risposta alla questione è tutt’altro che una faccenda interna. Dal rapporto, infatti, emerge che – nonostante le difficoltà economiche e il timore di non trovare un lavoro abbastanza redditizio (in cima alle preoccupazioni dei giovani interpellati) – per molti l’esperienza in Caritas non è negoziabile. Un

buon 29% fa i salti mortali per non rinunciare all’impegno di servizio, affiancando alla collaborazione con Caritas sia lo studio sia il lavoro. L’attività caritativa è per giovani che la praticano una vera e propria scuola di vita, da cui dipende l’attuale soddisfazione ma anche lo stile della strada che si sceglierà di intraprendere in futuro. «Questi dati – riflette il direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello – ci dicono che il desiderio di solidarietà e di impegno per il bene comune è vivo e profondamente radicato. Un’attenzione che, più volte, abbiamo riscontrato in particolari situazioni di emergenza, quando la chiamata a tendere una mano per aiutare persone in difficoltà, ha raggiunto e motivato l’impegno di moltissimi giovani – anche quelli che consideriamo “lontani” da certi mondi ed esperienze – pronti ad offrire il proprio contributo».

Se però il volontariato non è una parentesi della vita, gli enti solidali hanno una grande responsabilità: far crescere i giovani e far superare loro anche la scarsa fiducia in se stessi che risulta al terzo posto degli ostacoli che i ragazzi vedono davanti a sé. Un’idea potrebbe essere proprio provare a coinvolgere i giovani nelle fasi di progettazione e decisione: cosa che – emerge dallo studio – non è accaduta al 44,6% degli intervistati che pure idee da condividere ne avrebbe. Il 78% di loro, per esempio, dovendo ripensare Caritas, punterebbe molto di più sulla comunicazione delle attività dell’organizzazione verso l’esterno mentre il 74% ne immagina una gestione più efficace. «Da questo studio – commenta Walter Nanni – concludiamo che forse il ruolo di Caritas è formare i ragazzi, trattandoli da adulti, e poi restituirli alla società dove potranno impegnarsi con ruoli di cittadinanza attiva».

«Trovo interessante – plaude all’iniziativa Diego Mesa, docente di Sociologia della famiglia dell’Università Cattolica di Brescia – che Caritas non abbia dato per scontato di conoscere i giovani che collaborano e abbia dedicato tempo e spazio per ascoltarli. È l’unico modo per non ingabbiare a priori i ragazzi in etichette e a trattarli come soggetti in formazione ma il cui parere va preso sul serio».

 

www.avvenire.it

 

Nessun commento:

Posta un commento