Aiutare gli altri è una passione
Nello studio “Giovani in Caritas: tra sogno e realtà”
632 ragazzi descrivono il proprio presente,
elencano le difficoltà ed immaginano il loro futuro,
fuori e
dentro l’organismo pastorale Cei
- di ILARIA BERETTA
In
un Paese che invecchia e basato sul lavoro precario, i giovani impegnati nelle
associazioni di volontariato sono merce preziosa che pure, però, corre il
rischio di essere considerata solo come manodopera, vincolata a ruoli operativi
e quasi mai coinvolta nei processi decisionali. Senza paura di fare
autocritica, Caritas Italiana ha da tempo deciso di ribaltare questa
prospettiva, mettendo al centro del proprio piano strategico e, prima ancora,
dell’analisi del suo Centro studi proprio le nuove generazioni. Lo dimostra il
rapporto, presentato ieri, “Giovani in Caritas: tra sogno e realtà” che segue
due precedenti studi di analisi sull’identità e il lavoro dei ragazzi e
completa la fotografia dell’impegno dei giovani in Caritas aggiungendo le loro
prospettive: per sé e per il futuro dell’organizzazione.
L’indagine
– promossa dal Servizio Giovani e Volontariato e dal Servizio Studi di Caritas
Italiana – ha interpellato 632 giovani, di età compresa tra 16 e 35 anni,
distribuiti equamente nelle diverse regioni , che a vario titolo – volontari,
servizio civilisti, dipendenti, tirocinanti... – hanno incrociato la strada
dell’organismo pastorale Cei. Si tratta in gran parte di ragazze (68,4%), di
cittadinanza italiana (97,2%), con un’età media di 24 anni e mezzo a cui è
stato chiesto di presentarsi e descrivere il proprio presente, raccontare dove
e come si immaginano di vivere, fuori e dentro Caritas, e quali sono gli
ostacoli che avvertono sul proprio cammino.
Più
di sette su dieci (precisamente il 71,7%) dichiarano che la loro passione
principale è “aiutare gli altri”. Tra le passioni che spiccano in senso
negativo invece c’è il fare politica, una sfera di azione che interessa solo
l’8,9% dei giovani. A servizio del prossimo i giovani si mettono soprattutto
nei centri d’ascolto, nelle Caritas parrocchiali e nelle attività per giovani.
La loro presenza nell’organizzazione crolla invece nelle iniziative dedicate
alla formazione, nell’osservatorio su risorse e povertà e nelle attività
internazionali: tutti settori in cui la competenza dei giovani potrebbe invece
essere valorizzata. «Questo dato – commenta Walter Nanni, sociologo ed autore
del rapporto – deve porci una domanda: gli adulti in Caritas sono disposti a
dare fiducia ai giovani, ad affidare loro anche ruoli di leadership e
responsabilità?» La risposta alla questione è tutt’altro che una faccenda
interna. Dal rapporto, infatti, emerge che – nonostante le
difficoltà economiche e il timore di non trovare un lavoro
abbastanza redditizio (in cima alle preoccupazioni dei
giovani interpellati) – per molti l’esperienza in Caritas non è
negoziabile. Un
buon
29% fa i salti mortali per non rinunciare all’impegno di servizio, affiancando
alla collaborazione con Caritas sia lo studio sia il lavoro. L’attività
caritativa è per giovani che la praticano una vera e propria scuola di vita, da
cui dipende l’attuale soddisfazione ma anche lo stile della strada che si
sceglierà di intraprendere in futuro. «Questi dati – riflette il direttore di
Caritas Italiana, don Marco Pagniello – ci dicono che il desiderio di
solidarietà e di impegno per il bene comune è vivo e profondamente radicato.
Un’attenzione che, più volte, abbiamo riscontrato in particolari situazioni di
emergenza, quando la chiamata a tendere una mano per aiutare persone in
difficoltà, ha raggiunto e motivato l’impegno di moltissimi giovani – anche
quelli che consideriamo “lontani” da certi mondi ed esperienze – pronti ad
offrire il proprio contributo».
Se
però il volontariato non è una parentesi della vita, gli enti solidali hanno
una grande responsabilità: far crescere i giovani e far superare loro anche la
scarsa fiducia in se stessi che risulta al terzo posto degli ostacoli che i
ragazzi vedono davanti a sé. Un’idea potrebbe essere proprio provare a
coinvolgere i giovani nelle fasi di progettazione e decisione: cosa che –
emerge dallo studio – non è accaduta al 44,6% degli intervistati che pure idee
da condividere ne avrebbe. Il 78% di loro, per esempio, dovendo ripensare
Caritas, punterebbe molto di più sulla comunicazione delle attività
dell’organizzazione verso l’esterno mentre il 74% ne immagina una gestione più
efficace. «Da questo studio – commenta Walter Nanni – concludiamo che forse il
ruolo di Caritas è formare i ragazzi, trattandoli da adulti, e poi restituirli
alla società dove potranno impegnarsi con ruoli di cittadinanza attiva».
«Trovo
interessante – plaude all’iniziativa Diego Mesa, docente di Sociologia della
famiglia dell’Università Cattolica di Brescia – che Caritas non abbia dato per
scontato di conoscere i giovani che collaborano e abbia dedicato tempo e spazio
per ascoltarli. È l’unico modo per non ingabbiare a priori i ragazzi in
etichette e a trattarli come soggetti in formazione ma il cui parere va preso
sul serio».
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