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venerdì 29 agosto 2025

LA PROSPERITA' UMANA

 


DISCORSO 

DEL SANTO PADRE

 LEONE XIV


AI MEMBRI DELL'"INTERNATIONAL 

CATHOLIC LEGISLATORS NETWORK"

 

EN  - FR  - IT  - PT


Eminenze, Eccellenza,

Distinti Signore e Signori,

Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,

Sono lieto di porgere il mio saluto a voi, membri dell’International Catholic Legislators Network. E vi ringrazio della vostra visita qui, in Vaticano e a Roma, durante questo anno giubilare, il Giubileo della Speranza.

Vi siete riuniti per il vostro sedicesimo incontro annuale, che quest’anno ha un tema che fa riflettere: «Il nuovo ordine mondiale: la politica delle grandi potenze, i domini delle multinazionali e il futuro della prosperità umana». In queste parole percepisco sia una preoccupazione sia un desiderio. Siamo tutti preoccupati per la direzione che il nostro mondo sta prendendo, e tuttavia desideriamo una prosperità umana autentica. Desideriamo un mondo in cui ogni persona possa vivere in pace, libertà e pienezza secondo il disegno di Dio.

Per trovare il nostro equilibrio nelle circostanze attuali — specialmente voi come legislatori e leader politici cattolici — suggerisco di dare uno sguardo al passato, alla eminente figura di sant’Agostino d’Ippona. Voce importante della Chiesa in tarda epoca romana, fu testimone di immensi sconvolgimenti e disgregazione sociale. In risposta scrisse La città di Dio, un’opera che propone una visione di speranza, una visione di significato che ci parla ancora oggi.

Questo Padre della Chiesa ha insegnato che nella storia umana s’intrecciano due “città”: la città dell’uomo e la città di Dio. Esse simboleggiano realtà spirituali — due orientamenti del cuore umano e, pertanto, della civiltà umana. La città dell’uomo, costruita sull’orgoglio e sull’amore di sé, è caratterizzata dalla ricerca di potere, prestigio e piacere; la città di Dio, costruita sull’amore di Dio fino all’altruismo, è caratterizzata dalla giustizia, dalla carità e dall’umiltà. In questi termini, Agostino ha incoraggiato i cristiani a impregnare la società terrena dei valori del Regno di Dio, orientando in tal modo la storia verso il suo compimento ultimo in Dio, consentendo però anche la prosperità umana autentica in questa vita. Tale visione teologica può offrirci un punto di riferimento dinanzi alle mutevoli correnti attuali: l’emergere di nuovi centri di gravità, l’instabilità di antiche alleanze e l’influenza senza precedenti di multinazionali e tecnologie, per non parlare dei tanti conflitti violenti. La domanda cruciale per noi credenti è pertanto la seguente: come possiamo portare a termine questo compito?

Per rispondere a tale domanda dobbiamo chiarire il significato di prosperità umana. Oggi la vita prospera viene spesso confusa con una vita ricca dal punto di vista materiale o con una vita di autonomia individuale senza restrizioni e di piacere. Il cosiddetto futuro ideale che ci viene presentato è spesso caratterizzato dalla comodità tecnologica e dalla soddisfazione del consumatore. Sappiamo però che ciò non è sufficiente. Lo vediamo nelle società ricche, dove molte persone lottano contro la solitudine, la disperazione e un senso di mancanza di significato.

La prosperità umana autentica deriva da quello che la Chiesa definisce sviluppo umano integrale, ossia la piena crescita della persona in ogni dimensione: fisica, sociale, culturale, morale e spirituale. Questa visione per la persona umana è radicata nella legge naturale, l’ordine morale che Dio ha scritto sul cuore umano, le cui verità più profonde sono illuminate dal Vangelo di Cristo. A questo proposito, l’autentica prosperità umana si manifesta quando le persone vivono virtuosamente, quando vivono in comunità sane, godendo non solo di ciò che hanno, ciò che possiedono, ma anche di ciò che sono come figli di Dio. Assicura la libertà di cercare la verità, di adorare Dio e di crescere una famiglia in pace. Include anche un’armonia con il creato e un senso di solidarietà attraverso le classi sociali e le nazioni. Di fatto, il Signore è venuto perché noi “abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza” (cfr. Gv 10, 10).

Il futuro della prosperità umana dipende da quale “amore” scegliamo per organizzarvi intorno la nostra società: un amore egoistico, l’amore di sé, o l’amore di Dio e del prossimo. Noi, naturalmente, conosciamo già la risposta. Nella vostra vocazione di legislatori e funzionari pubblici cattolici siete chiamati a essere costruttori di ponti tra la città di Dio e la città dell’uomo. Questa mattina vorrei esortarvi a continuare ad adoperarvi per un mondo in cui il potere sia controllato dalla coscienza e in cui la legge sia al servizio della dignità umana. Vi incoraggio inoltre a rifiutare la mentalità pericolosa e controproducente secondo cui nulla mai cambierà.

So che le sfide sono immense, ma la grazia di Dio che opera nei cuori umani è ancora più potente. Il mio venerabile predecessore ha evidenziato la necessità di quella che ha definito una “diplomazia della speranza” (Discorso ai Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 9 gennaio 2025). Aggiungerei che abbiamo bisogno anche di una “politica della speranza” e di una “economia della speranza”, ancorate alla convinzione che anche adesso, attraverso la grazia di Cristo, possiamo riflettere la sua luce nella città terrena.

Vi ringrazio. Ringrazio tutti voi per il vostro impegno a portare il messaggio del Vangelo nell’arena pubblica. Vi assicuro delle mie preghiere per voi, per i vostri cari, le vostre famiglie, i vostri amici e, specialmente oggi, per coloro che servite. Che il Signore Gesù, Principe della Pace, benedica e guidi i vostri sforzi per la prosperità autentica della famiglia umana.

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L'Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXV n. 193, sabato 23 agosto 2025, p. 2.

 

mercoledì 27 agosto 2025

UNA PACE DISARMATA E DISARMANTE

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LA GIORNATA 

MONDIALE 

DELLA PACE

"La pace sia con tutti voi!". Così papa Leone XIV si è presentato al mondo l’8 maggio scorso, dalla Loggia delle benedizioni, davanti alle centinaia di migliaia di fedeli, provenienti da tutto il mondo, riuniti in piazza San Pietro per accoglierlo. In quelle parole, così chiaramente evangeliche e attuali, aveva già fissato il tema del suo Messaggio per la 59° Giornata mondiale della pace, «La pace sia con tutti voi: verso una pace “disarmata e disarmante”», reso noto oggi dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale.

Il Pontefice, si legge nel comunicato, nel messaggio «invita l’umanità a rifiutare la logica della violenza e della guerra, per abbracciare una pace autentica, fondata sull’amore e sulla giustizia». Parole ripetute senza sosta dal Vescovo di Roma, che sembrano ancora una volta dettare una linea politica chiara ai leader mondiali, davanti allo stato di empasse delle trattative internazionali per la pace, in particolare per la situazione in Ucraina e in Medio Oriente. Anche nel primo messaggio per la Giornata mondiale della pace, del gennaio 1968, papa Paolo VI metteva in guardia dal «pericolo di credere che le controversie internazionali non siano risolvibili per le vie della ragione, cioè delle trattative fondate sul diritto, la giustizia, l’equità».

Dai primi momenti del suo Pontificato ad oggi, però, Leone XIV non ha mai smesso di lanciare appelli per il cessate il fuoco ai leader parte in causa nei conflitti e a tutti coloro che possono avere un ruolo di mediazione. Ma non solo. Con il Messaggio per la Giornata mondiale 2026, che si celebrerà il prossimo 1 gennaio, il Papa intende ricordare che nessun essere umano può dirsi esentato da questa chiamata alla costruzione di una società che viva in fraternità. «Il saluto del Cristo Risorto, “La pace sia con voi” - si legge infatti nella nota - è un invito rivolto a tutti, credenti, non credenti, responsabili politici e cittadini, a edificare il Regno di Dio e a costruire insieme un futuro umano e pacifico». Per Leone XIV la “pace” è prima di tutto un «dono di Dio, il primo dono di Cristo», come ha sottolineato nell’udienza al Corpo diplomatico, nel maggio scorso.

In più la “pace” su cui richiama a riflettere, e a prendere decisioni importanti, anche e soprattutto i rappresentanti dei governi è quella che non contempla le armi come strumento di risoluzione dei conflitti sulla scia dell’eredità del Pontificato di papa Francesco. «La pace deve essere disarmata, cioè non fondata sulla paura, sulla minaccia o sugli armamenti - si legge ancora nel testo - e disarmante, perché capace di sciogliere i conflitti, aprire i cuori e generare fiducia, empatia e speranza». Non basta, dunque, smettere di vendere armi e far tacere i cannoni, occorre che l’uomo cambi la prospettiva con cui guarda il mondo dall’alto. Per questo «invocare la pace» è solo il primo passo, poi occorre «incarnarla in uno stile di vita che rifiuti ogni forma di violenza, visibile o strutturale».

Vatican News


venerdì 22 agosto 2025

IL DESERTO FIORIRA'

  

  MESSAGGIO

 DEL PAPA 

AL MEETING 

DI RIMINI

I deserti sono in genere luoghi scartati e ritenuti inadatti alla vita. Eppure, là dove sembra che nulla possa nascere, la Sacra Scrittura continuamente ritorna a narrare i passaggi di Dio. Nel deserto, anzitutto, nasce il suo popolo. È infatti soltanto in cammino fra le sue asperità che matura la scelta della libertà. Il Dio biblico – che osserva, ascolta, conosce le sofferenze dei suoi figli e scende a liberarli (cfr Es 3,7-8) – trasforma il deserto in un luogo di amore e di decisioni, lo fa fiorire come un giardino di speranza. I profeti lo ricordano come scenario di un fidanzamento, al quale ritornare ogni volta che il cuore si intiepidisce, per ricominciare dalla fedeltà di Dio (cfr Os 2,16). Monache e monaci, da millenni, abitano il deserto a nome di tutti noi, in rappresentanza dell’intera umanità, presso il Signore del silenzio e della vita.

Il Santo Padre ha apprezzato che una delle mostre caratterizzanti il Meeting di quest’anno sia dedicata alla testimonianza dei martiri di Algeria. In essi risplende la vocazione della Chiesa ad abitare il deserto in profonda comunione con l’intera umanità, superando i muri di diffidenza che contrappongono le religioni e le culture, nell’imitazione integrale del movimento di incarnazione e di donazione del Figlio di Dio. È questa via di presenza e di semplicità, di conoscenza e di “dialogo della vita” la vera strada della missione. Non un’auto-esibizione, nella contrapposizione delle identità, ma il dono di sé fino al martirio di chi adora giorno e notte, nella gioia e fra le tribolazioni, Gesù solo come Signore.

Non mancheranno, come è consuetudine, dialoghi tra cattolici di diverse sensibilità e con credenti di altre confessioni e non credenti. Sono importanti esercizi di ascolto, che preparano i “mattoni nuovi” con cui costruire quel futuro che già Dio ha in serbo per tutti, ma si dischiude solo accogliendoci l’un altro. Non possiamo più permetterci di resistere al Regno di Dio, che è un Regno di pace. E là dove i responsabili delle Istituzioni statali e internazionali sembrano non riuscire a far prevalere il diritto, la mediazione e il dialogo, le comunità religiose e la società civile devono osare la profezia. Significa lasciarsi sospingere nel deserto e vedere fin d’ora ciò che può nascere dalle macerie e da tanto, troppo dolore innocente. Papa Leone XIV ha raccomandato ai Vescovi italiani di «promuovere percorsi di educazione alla nonviolenza, iniziative di mediazione nei conflitti locali, progetti di accoglienza che trasformino la paura dell’altro in opportunità di incontro». E ancora ci chiede: «Ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono. La pace non è un’utopia spirituale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione. E che chiede oggi, più che mai, la nostra presenza vigile e generativa» (Discorso ai Vescovi della Conferenza Episcopale Italiana, 17 giugno 2025).

Il Santo Padre, dunque, incoraggia a dare nome e forma al nuovo, perché fede, speranza e carità si traducano in una grande conversione culturale. L’amato Papa Francesco ci ha insegnato che «l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica» ( Evangelii gaudium, 198). Dio, infatti, ha scelto gli umili, i piccoli, i senza potere e, dal grembo della Vergine Maria, si è fatto uno di loro, per scrivere nella nostra storia la sua storia. Autentico realismo è, allora, quello che include chi «ha un altro punto di vista, vede aspetti della realtà che non si riconoscono dai centri di potere dove si prendono le decisioni più determinanti» (Fratelli tutti, 215). Senza le vittime della storia, senza gli affamati e gli assetati di giustizia, senza gli operatori di pace, senza le vedove e gli orfani, senza i giovani e gli anziani, senza i migranti e i rifugiati, senza il grido di tutta la creazione non avremo mattoni nuovi. Continueremo a inseguire il sogno delirante di Babele, illudendoci che toccare il cielo e farsi un nome sia il solo modo umano di abitare la terra (cfr Gen 11,1-9). Dal principio, invece, negare le voci altrui e rinunciare a comprendersi sono esperienze fallimentari e disumanizzanti. Ad esse va opposta la pazienza dell’incontro con un Mistero sempre altro, di cui è segno la differenza di ciascuno.

Disarmata e disarmante, la presenza di cristiani nelle società contemporanee deve tradurre con competenza e immaginazione il Vangelo del Regno in forme di sviluppo alternative alle vie di crescita senza equità e sostenibilità. Per servire il Dio vivente va abbandonata l’idolatria del profitto che ha pesantemente compromesso la giustizia, la libertà di incontro e di scambio, la partecipazione di tutti al bene comune e infine la pace. Una fede che si estranei dalla desertificazione del mondo o che, indirettamente, contribuisca a tollerarla, non sarebbe più sequela di Gesù Cristo. La rivoluzione digitale in corso rischia di accentuare discriminazioni e conflitti: va dunque abitata con la creatività di chi, obbedendo allo Spirito Santo, non è più schiavo, ma figlio. Allora il deserto diventa un giardino e la “città di Dio”, preannunciata dai santi, trasfigura i nostri luoghi desolati.

Papa Leone invoca l’intercessione della Beata Vergine Maria, Stella del mattino, affinché sostenga l’impegno di ciascuno in comunione con i Pastori e le comunità ecclesiali in cui è inserito: «In sinergia con tutte le altre membra del Corpo di Cristo agiremo, allora, in armoniosa sintonia. Le sfide che l’umanità ha di fronte saranno meno spaventose, il futuro sarà meno buio, il discernimento meno difficile. Se insieme obbediremo allo Spirito Santo!» (Omelia nella Veglia di Pentecoste con i Movimenti, le Associazioni e le Nuove Comunità, 7 giugno 2025)

www.vatican.va

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sabato 26 luglio 2025

I MIGRANTI SONO UNA BENEDIZIONE


Diffuso il Messaggio di Leone XIV per la Giornata del migrante e del rifugiato che si celebrerà agli inizi del prossimo ottobre 

Il Papa: nell’attuale mondo oscurato da guerre e ingiustizie diventano messaggeri di speranza con la loro testimonianza


Pubblichiamo il testo integrale del Messaggio di Leone XIV per la 111ª Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che sarà celebrata il 4 e 5 ottobre 2025, in occasione del Giubileo del migrante e del mondo missionario, sul tema: « Migranti, missionari di speranza».

Migranti, missionari di speranza

Cari fratelli e sorelle, la 111ª Giornata mondiale del migrante e rifugiato, che il mio predecessore ha voluto far coincidere con il Giubileo dei migranti e del mondo missionario, ci offre l’occasione di riflettere sul nesso tra speranza, migrazione e missione. Il contesto mondiale attuale è tristemente segnato da guerre, violenze, ingiustizie e fenomeni meteorologici estremi, che obbligano milioni di persone a lasciare la loro terra d’origine per cercare rifugio altrove. La generalizzata tendenza a curare esclusivamente gli interessi di comunità circoscritte costituisce una seria minaccia alla condivisione di responsabilità, alla cooperazione multilaterale, alla realizzazione del bene comune e alla solidarietà globale a vantaggio di tutta la famiglia umana. La prospettiva di una rinnovata corsa agli armamenti e lo sviluppo di nuove armi, incluse quelle nucleari, la scarsa considerazione degli effetti nefasti della crisi climatica in corso e le profonde disuguaglianze economiche rendono sempre più impegnative le sfide del presente e del futuro.

Di fronte alle teorie di devastazioni globali e scenari spaventosi, è importante che cresca nel cuore dei più il desiderio di sperare in un futuro di dignità e pace per tutti gli esseri umani. Tale futuro è parte essenziale del progetto di Dio sull’umanità e sul resto del creato. Si tratta del futuro messianico anticipato dai profeti: «Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. Le piazze della città formicoleranno di fanciulli e di fanciulle, che giocheranno sulle sue piazze. [...] Ecco il seme della pace: la vite produrrà il suo frutto, la terra darà i suoi prodotti, i cieli daranno la rugiada» ( Zc 8,45.12). E questo futuro è già iniziato, perché è stato inaugurato da Gesù Cristo (cfr. Mc 1,15 e Lc 17,21) e noi crediamo e speriamo nella sua piena realizzazione, poiché il Signore mantiene sempre le sue promesse.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna: « La virtù della speranza risponde all’aspirazione alla felicità, che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo; essa assume le attese che ispirano le attività degli uomini» (n° 1818). Ed è certamente la ricerca della felicità – e la prospettiva di trovarla altrove – una delle principali motivazioni della mobilità umana contemporanea. Questo collegamento tra migrazione e speranza si rivela distintamente in molte delle esperienze migratorie dei nostri giorni. Molti migranti, rifugiati e sfollati sono testimoni privilegiati della speranza vissuta nella quotidianità, attraverso il loro affidarsi a Dio e la loro sopportazione delle avversità in vista di un futuro, nel quale intravedono l’avvicinarsi della felicità, dello sviluppo umano integrale. Si rinnova in loro l’esperienza itinerante del popolo di Israele: «O Dio, quando uscivi davanti al tuo popolo, quando camminavi per il deserto, tremò la terra, i cieli stillarono davanti a Dio, quello del Sinai, davanti a Dio, il Dio d’Israele. Pioggia abbondante hai riversato, o Dio, la tua esausta eredità tu hai consolidato e in essa ha abitato il tuo popolo, in quella che, nella tua bontà, hai reso sicura per il povero, o Dio» ( Sal 68, 8-11).

In un mondo oscurato da guerre e ingiustizie, anche lì dove tutto sembra perduto, i migranti e i rifugiati si ergono a messaggeri di speranza. Il loro coraggio e la loro tenacia è testimonianza eroica di una fede che vede oltre quello che i nostri occhi possono vedere e che dona loro la forza di sfidare la morte nelle diverse rotte migratorie contemporanee. Anche qui è possibile trovare una chiara analogia con l’esperienza del popolo di Israele errante nel deserto, il quale affronta ogni pericolo fiducioso nella protezione del Signore: « Egli ti libererà dal laccio del cacciatore, dalla peste che distrugge. Ti coprirà con le sue penne, sotto le sue ali troverai rifugio; la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza. Non temerai il terrore della notte né la freccia che vola di giorno, la peste che vaga nelle tenebre, lo sterminio che devasta a mezzogiorno.» ( Sal 91,3-6).

I migranti e i rifugiati ricordano alla Chiesa la sua dimensione pellegrina, perennemente protesa verso il raggiungimento della patria definitiva, sostenuta da una speranza che è virtù teologale. Ogni volta che la Chiesa cede alla tentazione di “sedentarizzazione” e smette di essere civitas peregrina – popolo di Dio pellegrinante verso la patria celeste (Cfr. Agostino, De civitate Dei, Libro XIVXVI), essa smette di essere “nel mondo” e diventa “del mondo” (cfr. Gv 15,19). Si tratta di una tentazione presente già nelle prime comunità cristiane, tanto che l’apostolo Paolo deve ricordare alla Chiesa di Filippi che «la nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose.» ( Fil 3,20-21).

In modo particolare, migranti e rifugiati cattolici possono diventare oggi missionari di speranza nei Paesi che li accolgono, portando avanti percorsi di fede nuovi lì dove il messaggio di Gesù Cristo non è ancora arrivato o avviando dialoghi interreligiosi fatti di quotidianità e di ricerca di valori comuni. Essi, infatti, con il loro entusiasmo spirituale e la loro vitalità possono contribuire a rivitalizzare comunità ecclesiali irrigidite ed appesantite, in cui avanza minacciosamente il deserto spirituale. La loro presenza va allora riconosciuta ed apprezzata come una vera benedizione divina, un’occasione per aprirsi alla grazia di Dio che dona nuova energia e speranza alla sua Chiesa: « Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli”» ( Eb 13,2).

Il primo elemento dell’evangelizzazione, come sottolineava san Paolo VI, è generalmente la testimonianza: «tutti i cristiani sono chiamati e possono essere, sotto questo aspetto, dei veri evangelizzatori. Pensiamo soprattutto alla responsabilità che spetta agli emigranti nei Paesi che li ricevono» ( Evangelii nuntiandi, 21). Si tratta di una vera missio migrantium - missione realizzata dai migranti - per la quale devono essere assicurate un’adeguata preparazione e un sostegno continuo frutto di un’efficace cooperazione inter-ecclesiale.

Dall’altro lato, anche le comunità che li accolgono possono essere una testimonianza viva di speranza. Speranza intesa come promessa di un presente e di un futuro in cui sia riconosciuta la dignità di tutti come figli di Dio. In tal modo migranti e rifugiati sono riconosciuti come fratelli e sorelle, parte di una famiglia in cui possono esprimere i loro talenti e partecipare pienamente alla vita comunitaria.

In occasione di questa giornata giubilare in cui la Chiesa prega per tutti i migranti e i rifugiati, voglio affidare tutti coloro che si trovano in cammino, così come coloro che si prodigano per accompagnarli, alla materna protezione della Vergine Maria, conforto dei migranti, affinché mantenga viva nel loro cuore la speranza e li sostenga nel loro impegno di costruzione di un mondo che assomigli sempre di più al Regno di Dio, la vera Patria che ci aspetta alla fine del nostro viaggio.

Leone XVI


www.avvenire.it 

 

giovedì 17 luglio 2025

GAZA - ATTACCO ALLA CHIESA


TELEGRAMMA DI SUA SANTITÀ PAPA LEONE XIV TRAMITE IL CARDINALE SEGRETARIO DI STATO

 "SUA SANTITÀ PAPA LEONE XIV È STATO PROFONDAMENTE COLPITO NELL'APPRENDERE DELLA PERDITA DI VITE E DEI FERITI CAUSATI DALL'ATTACCO MILITARE ALLA CHIESA CATTOLICA DELLA SACRA FAMIGLIA A GAZA, E ASSICURA AL PARROCO, DON GABRIELE ROMANELLI, E A TUTTA LA COMUNITÀ PARROCCHIALE LA SUA VICINANZA SPIRITUALE. 

AFFIDANDO LE ANIME DEI DEFUNTI ALL'AMOREVOLE MISERICORDIA DI DIO ONNIPOTENTE, IL SANTO PADRE PREGA PER LA CONSOLAZIONE DI COLORO CHE SONO NEL LUTTO E PER LA GUARIGIONE DEI FERITI. 

SUA SANTITÀ RINNOVA IL SUO APPELLO PER UN IMMEDIATO CESSATE IL FUOCO ED ESPRIME LA SUA PROFONDA SPERANZA PER DIALOGO, RICONCILIAZIONE E PACE DUREVOLE NELLA REGIONE".

COMUNICATO STAMPA DEL PATRIARCATO

 DI GERUSALEMME

 Il Patriarcato di Gerusalemme esprime la sua più ferma condanna e denuncia dell’attacco che ha colpito la Chiesa cattolica della Sacra Famiglia nella città di Gaza. Questo attacco ha causato gravi danni e vittime all’interno del complesso parrocchiale, mettendo in pericolo la vita di persone innocenti, in particolare persone con disabilità e sfollati che avevano trovato rifugio sicuro all’interno della chiesa.

 Colpire un luogo sacro che in questo momento accoglie circa 600 sfollati — la maggior parte dei quali sono bambini e 54 persone con disabilità — rappresenta una violazione flagrante della dignità umana e un’evidente profanazione della sacralità della vita e dei luoghi religiosi, che dovrebbero essere rifugi sicuri nei tempi di guerra.

Il bombardamento ha distrutto ampie porzioni del complesso, costringendo le persone con disabilità a evacuare l’area; alcune di loro non hanno potuto ricevere i respiratori di cui dipendono per sopravvivere, con un rischio diretto per le loro vite.

 In questo momento critico, il Patriarcato ribadisce che le chiese sono fari spirituali e umanitari, al servizio di tutti senza discriminazioni. Si appella inoltre alla comunità internazionale e alle agenzie delle Nazioni Unite affinché forniscano protezione urgente alle istituzioni religiose e ai centri umanitari nella Striscia di Gaza, e garantiscano il rispetto del diritto internazionale umanitario, che proibisce il targeting di civili e luoghi di culto.

 Le nostre preghiere accompagnano le persone colpite, e speriamo che la saggezza possa prevalere sulla macchina della guerra e che la voce della misericordia superi il fragore del fuoco.



venerdì 11 luglio 2025

GRATITUDINE e CURA

 

ANZIANI, 

SEGNI DI SPERANZA


Nel messaggio per la Giornata mondiale dedicata ai nonni e a chi è nella parte finale della vita (27 luglio) il richiamo al bene sempre da compiere: «Trasmettiamo la fede che abbiamo vissuto per tanti anni, in famiglia e negli incontri quotidiani»

Il Papa: «Anziani, siete segni di speranza L’amore e la preghiera non hanno età»

«Ogni parrocchia, ogni associazione, ogni gruppo ecclesiale è chiamato a diventare protagonista della “rivoluzione” della gratitudine e della cura, da realizzare facendo visita frequentemente agli anziani»

  -       di TOMMASO PICCOLI

-        «Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno ». Queste parole di san Paolo ai cristiani di Corinto sono l’ultima citazione del messaggio scritto da Leone XIV per la quinta Giornata mondiale dei nonni e degli anziani (27 luglio) e diffuso ieri. L’ultima citazione ma la più pregnante, perché è l’avvicinarsi alla risurrezione e alla beatitudine senza fine il vero motivo della speranza di cui è intessuto il messaggio stesso fin dal titolo Beato chi non ha perduto la sua speranza (cfr Sir 14,2).

«Nella Bibbia – scrive il Pontefice – Dio più volte mostra la sua provvidenza rivolgendosi a persone avanti negli anni. Così avviene, oltre che per Abramo, Sara, Zaccaria ed Elisabetta, pure per Mosè, chiamato a liberare il suo popolo quando aveva ben ottant’anni (cfr Es 7,7). Con queste scelte, ci insegna che ai suoi occhi la vecchiaia è un tempo di benedizione e di grazia e che gli anziani, per Lui, sono i primi testimoni di speranza. “Cos’è mai questo tempo della vecchiaia?” – si domanda al riguardo sant’Agostino – Ti risponde qui Dio: “Oh, venga meno per davvero la tua forza, affinché in te resti la forza mia e tu possa dire con l’Apostolo: Quando sono debole, allora sono forte” ( Super Ps. 70, 11)».

Ancora: «Nel libro della Genesi troviamo il commovente episodio della benedizione data da Giacobbe, ormai vecchio, ai suoi nipoti, i figli di Giuseppe: le sue parole li spronano a guardare con speranza al futuro, come al tempo delle promesse di Dio (cfr Gen 48,8-20). Se dunque è vero che la fragilità degli anziani necessita del vigore dei giovani, è altrettanto vero che l’inesperienza dei giovani ha bisogno della testimonianza degli anziani per progettare con saggezza l’avvenire».

Il Papa ricorda che il Giubileo, fin dalle sue origini bibliche, ha rappresentato un tempo di liberazione e «guardando alle persone anziane in questa prospettiva giubilare, anche noi siamo chiamati a vivere con loro una liberazione, soprattutto dalla solitudine e dall’abbandono». Per questo motivo «ogni parrocchia, ogni associazione, ogni gruppo ecclesiale è chiamato a diventare protagonista della “rivoluzione” della gratitudine e della cura, da realizzare facendo visita frequentemente agli anziani, creando per loro e con loro reti di sostegno e di preghiera, intessendo relazioni che possano donare speranza e dignità a chi si sente dimenticato ». A tale riguardo Leone XIV fa presente una particolarità di questo Giubileo, normata dalla Penitenzieria apostolica, ovvero che quanti non potranno venire a Roma quest’anno in pellegrinaggio, possano anche «conseguire l’Indulgenza giubilare se si recheranno a rendere visita per un congruo tempo agli anziani in solitudine, [...] quasi compiendo un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro (cfr Mt 25, 34-36)».

Il Papa riprende infine il libro sapienziale che ha ispirato il tema della Giornata di quest’anno, il Siracide, che «afferma che la beatitudine è di coloro che non hanno perso la propria speranza (cfr 14,2), lasciando intendere che nella nostra vita – specie se lunga – possono esserci tanti motivi per volgersi con lo sguardo indietro, piuttosto che al futuro. Eppure, come scrisse papa Francesco durante il suo ultimo ricovero in ospedale, “il nostro fisico è debole ma, anche così, niente può impedirci di amare, di pregare, di donare noi stessi, di essere l’uno per l’altro, nella fede, segni luminosi di speranza” ( Angelus, 16 marzo 2025). Abbiamo una libertà che nessuna difficoltà può toglierci: quella di amare e di pregare. Tutti, sempre, possiamo amare e pregare». Così «il bene che vogliamo ai nostri cari – al coniuge col quale abbiamo passato gran parte della vita, ai figli, ai nipoti che rallegrano le nostre giornate – non si spegne quando le forze svaniscono. Anzi, spesso è proprio il loro affetto a risvegliare le nostre energie, portandoci speranza e conforto».

Questa l’esortazione conclusiva di Leone XIV: «Soprattutto da anziani, dunque, perseveriamo fiduciosi nel Signore. Lasciamoci rinnovare ogni giorno dall’incontro con Lui, nella preghiera e nella santa Messa. Trasmettiamo con amore la fede che abbiamo vissuto per tanti anni, in famiglia e negli incontri quotidiani: lodiamo sempre Dio per la sua benevolenza, coltiviamo l’unità con i nostri cari, allarghiamo il nostro cuore a chi è più lontano e, in particolare, a chi vive nel bisogno. Saremo segni di speranza, ad ogni età».

 www.avvenire.it


Leggi: MESSAGGIO DEL SANTO PADRE LEONE XIV PER LA V GIORNATA MONDIALE DEI NONNI E DEGLI ANZIANI




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sabato 14 giugno 2025

SOSTENERE LA PACE


 Israele-Iran, Leone XIV: nessuno minacci l’esistenza dell’altro, sostenere la pace

Nell'udienza giubilare di oggi nella Basilica di San Pietro, il Papa esprime la preoccupazione per la situazione in Medio Oriente e invita ad un impegno collettivo per liberare il mondo dalla "minaccia nucleare", attraverso "un incontro rispetto e un dialogo sincero". 

Appello a tutti i Paesi a "sostenere la causa della pace avviando cammini di riconciliazione e favorendo soluzioni che garantiscano sicurezza e dignità per tutti"

 -         di Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano

 Nessuno dovrebbe mai minacciare l’esistenza dell’altro. È dovere di tutti i Paesi sostenere la causa della pace, avviando cammini di riconciliazione e favorendo soluzioni che garantiscano sicurezza e dignità per tutti!

Cade in un momento storico segnato da “notizie che destano molta preoccupazione” la prima udienza giubilare di Papa Leone XIV, la prima dopo l’interruzione dovuta alla malattia e alla morte di Francesco. Cade, cioè, a poche ore dallo scoppio delle tensioni tra Israele e Iran, a seguito degli attacchi israeliani di due giorni fa nel cuore della Repubblica islamica e la successiva risposta iraniana su Tel Aviv e, in parte, su Gerusalemme. Cade la mattina dopo una nottata caratterizzata da missili, esplosioni, allarmi e colonne di fumo e in mezzo a richieste di porre fine agli assalti, da una parte, e di minacce di risposte missilistiche, dall'altra. Cade in un frangente, insomma, in cui si paventa l’inizio di un terzo conflitto dalla portata probabilmente incontrollabile.

Dopo l'attacco israeliano di giovedì scorso le sirene d'allarme sono scattate a Tel Aviv in seguito al lancio di missili ordinato da Teheran. Forti esplosioni anche nella capitale ...

Responsabilità e ragione

“Si è gravemente deteriorata la situazione in Iran e Israele”, scandisce il Pontefice al termine dei saluti in varie lingue dopo la catechesi, in una Basilica di San Pietro gremita da circa 6 mila fedeli. Gli occhi sono sul foglio bianco ma a parlare è il cuore, angosciato per questa escalation. Il Papa pronuncia due parole ben precise nel suo appello: "Responsabilità", verso la propria gente e il mondo, e "ragione" per non cedere alla furia cieca.

In un momento così delicato, desidero rinnovare un appello alla responsabilità e alla ragione

Un mondo libero dalla minaccia nucleare

L’impegno a cui richiama Papa Leone è, sul solco dei suoi predecessori e di posizioni tante volte espresse dalla Santa Sede, quello a “costruire un mondo più sicuro e libero dalla minaccia nucleare”. Esso, afferma, “va perseguito attraverso un incontro rispettoso e un dialogo sincero per edificare una pace duratura, fondata sulla giustizia, sulla fraternità e sul bene comune”.

Da qui l'invito del Vescovo di Roma - che nella sua catechesi esortava a "costruire ponti dove oggi ci sono muri" - è rivolto a “tutti i Paesi” del mondo perché si uniscano non in alleanze e fazioni, bensì per dare sostegno alla “causa della pace”. Quella che sembra sempre più un miraggio, in quest’epoca di terza guerra mondiale neanche più troppo “a pezzi”.

 

Vatican News

 

UDIENZA GIUBILARE – DISCORSO DEL PAPA

venerdì 30 maggio 2025

LEONE E AGNELLO


Leone 

è un agnello: 

lavora alla pace.


Il Papa non si presterà a entrare in politica, neppure quella nobile della pacificazione tra Russia e Ucraina.

 Resterà a livello pre-politico, senza invadere lo spazio del conflitto geopolitico.

 

-         di Enzo Bianchi 


Sono solo venti i giorni dell’esercizio del ministero petrino da parte di Leone XIV: pochi per prevedere il cammino del suo pontificato, ma abbastanza per delinearne il profilo. Perché sono già molti gli atti e gli interventi del papa che, unitamente alle sue parole, non sono mai stati formali, ma sempre univoci nello stile e nella preoccupazione, e ci manifestano ciò che determina la sua persona e la sua pastorale. 

 Papa Leone, un papa inatteso? Un papa emerso da strategie e cordate già preparate e delineate per la successione a Papa Francesco? No, lo possiamo dire con una qualche certezza entrata nel nostro cuore dopo alcuni fatti avvenuti alla vigilia della scomparsa di Papa Francesco. Proprio per questo è stato eletto in brevissimo tempo e con una convergenza rara rispetto agli ultimi conclavi: un cardinale capace di non interrompere il cammino aperto da Francesco, ne verrebbe fuori un disordine e una confusione nella chiesa difficili da dissolvere in qualche decennio. Al tempo stesso, un cardinale diverso, proveniente dalla missione, da una vita monastica comunitaria come quella agostiniana, un uomo che dunque incontrava la gente, e anche chi non lo conosceva o lo conosceva poco ne intuiva “la clemenza”, la capacità di com-muoversi, di com-patire, di entrare in sintonia con chi incontrava. Da questo atteggiamento di ascolto, di cristiano ferito, nasce in Leone l’umiltà monastica di chi, senza essere preda del cinismo, sa che le autorità ecclesiali passano, che i piani pastorali mostrano presto dei limiti, che dalle vane ideologie – anche quelle che entrano ad accusare la vita della chiesa – occorre stare lontani perché ciò che era, è, e resta è solo Gesù Cristo, il Signore! Leone non sarà un papa protagonista, con una strategia per attirare tutti a sé, per coprire con la sua voce le diverse voci episcopali che presiedono la chiesa. Non sarà un condottiero ma un testimone, più Agnello che Leone, più con i tratti dell’Agnello messianico che del Messia Leone di Giuda. 

 Sono sempre significative le citazioni dei padri della chiesa nelle sue omelie: non brani apologetici, non ammonizioni severe, ma l’evocazione di parole autorevoli, efficaci anche per l’oggi, per la nostra vita ecclesiale e per la fraternità universale da estendersi a tutta l’umanità. Figlio dell’Occidente ma con una visione evangelica della vita del mondo sa che, come scriveva Bernardo di Chiaravalle: Amaritudo ecclesiae sub tyrannis est amara, sub haereticis est amarior, sed in concordia mundi amarissima! (L’amarezza della chiesa è amara quando la chiesa è perseguitata, è più amara quando la chiesa è divisa, ma è amarissima quando la chiesa se ne sta tranquilla e in pace). Perciò il mondo inteso come mondanità si scaglierà contro di lui e lui dovrà come Pietro la Roccia, mantenere salda la fede: la cercherà come un rabdomante anche presso i non cristiani, ma non permetterà alle mode di entrare nella chiesa per compiacere e agire in concordia con il mondo. Egli sa che se il sale perde il sapore può solo essere gettato via e calpestato. Sa che nell’indifferenza regnante attuale occorre vivere e mostrare “la differenza cristiana”, soprattutto oggi che un vago spirito divino, una forma di cristianesimo ridotto a morale, una religione narcisistica dello star bene con sé stessi sembra guadagnare terreno ed estendersi nell’emisfero Nord. 

 Per questo Papa Leone non si presterà a entrare nella politica, anche quella nobile della pacificazione tra Russia e Ucraina. Resterà a livello pre-politico come quasi sempre ha fatto la Santa Sede, invocando la pace, lavorando per la pace, aiutando i contendenti a incontrarsi, ma non entrerà nello spazio del conflitto geopolitico. La Santa Sede ha un’autorità superiore, un magistero che trascende anche la diplomazia, ha la parola di Cristo senza la quale è nulla voce. 

 Il Papa sa che non è possibile ospitare in Vaticano colloqui di pace, che le chiese ortodosse più distanti che mai da Roma non si sognano neanche di portare un loro conflitto in Vaticano. Lo ha detto anche Lavrov, anche se continuano giungere in Vaticano messaggi che dichiarano che l’autorità papale è riconosciuta dal governo russo e dal patriarcato di Mosca come una voce autorevole di pace e riconciliazione. Certo, occorreva un altro atteggiamento della chiesa cattolica in questo conflitto tra chiese ortodosse (russa e di Costantinopoli, russa e ucraina) e in tal modo non saremmo giunti ad un ecumenismo così frantumato. 

 Dunque, dobbiamo nutrire buone speranze, Leone XIV è un dono alla chiesa che saprà condurre come un Agnello tra agnelli e pecore per vie sinodali, ma soprattutto indicando una sola realtà alla quale aderire: il Signore Gesù Cristo.

Con Papa Leone tanti cristiani dovranno lavare le loro vesti nel sangue dell’Agnello. 

 Alzogliocchiversoilcielo

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venerdì 16 maggio 2025

L'IMPERO DEL CAPITALISMO

 

Leone XIV 

e gli sviluppi estremi 

del capitalismo

 



di  Giuseppe Savagnone 


 Un nome che richiama una storia

Troppo pochi, fino ad ora, sono gli elementi per fare una valutazione di ciò che sarà questo pontificato, e l’esperienza dell’assordante battage mediatico di ipotesi infondate, di false previsioni, di fake news che ha preceduto l’elezione del nuovo papa dovrebbe metterci in guardia dalla pretesa di indovinare che cosa farà e dirà Leone XIV.

Per limitarci a parlare di ciò che effettivamente ha fatto e detto, possiamo cominciare dal nome che si è scelto e dalla spiegazione che ne ha dato. Parlando ai cardinali, Prevost lo ha collegato al fatto che l’ultimo papa a portarlo – Leone XIII – si era trovato a fronteggiare una svolta epocale com’era la rivoluzione industriale, col conseguente avvento del capitalismo.

Oggi, ha osservato, la Chiesa è chiamata a «rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro».

Vale la pena di ricordare brevemente la pagina di storia a cui il papa si riferiva. Alla fine del Settecento e nel corso dell’Ottocento l’irrompere delle macchine aveva capovolto il rapporto tra i lavoratori e i loro strumenti, riducendo i primi a meri inservienti dei secondi.

Ne era conseguita la riduzione degli operai ad ingranaggi del sistema industriale e il loro sistematico sfruttamento da parte del capitalista, interessato ad avere il massimo profitto mantenendo bassi i salari. Da qui condizioni di vita miserevoli delle masse, a fronte dell’arricchimento sfrenato di una minoranza.

Inevitabile lo svilupparsi di una protesta che aveva trovato la propria più efficace espressione teorica e pratica nel socialismo di Karl Marx e Friedrich Engels. In tutto questo il ruolo della Chiesa – salvo qualche isolata eccezione – era stato piuttosto quello di pilastro portante del sistema borghese che non di voce profetica alternativa ad esso.

E in effetti il marxismo – col suo dichiarato ateismo e il suo attacco alla religione, col suo implicito o esplicito materialismo, con la sua proposta di una radicale abolizione della proprietà dei mezzi di produzione e la conseguente mortificazione degli spazi di autonomia e di creatività dei singoli – non favoriva certo l’adesione dei credenti.

Si deve a papa Leone XIII lo sforzo di valorizzare le esigenze di giustizia e di umanità che stavano dietro queste teorie estreme e di riscoprire nella tradizione cristiana gli elementi per proporre una visione alternativa al marxismo e al tempo stesso fortemente critica nei confronti del capitalismo liberale.

Renum Novarum

Nacque così, nel 1891, la prima enciclica sociale della Chiesa, la «Rerum Novarum», che, contro il collettivismo socialista, rivendicava il valore della proprietà come garanzia dell’autonomia della persona rispetto alla collettività, ma – sulla scia di quanto insegnavano già i padri della Chiesa – ne vedeva il significato non nell’interesse privato, ma nella sua funzione sociale.

Centrale in questa prospettiva è l’idea che la terra e i beni di questo mondo sono dati da Dio a tutti e che chi ne ha il possesso non solo deve utilizzarli al servizio del bene comune, ma è rigorosamente tenuto a condividerli con chi si trova in una estrema necessità.

Sulle orme di Leone XIII

E su questa linea si sono pronunziati unanimemente, dopo Leone XIII, tutti i papi, senza tacere le conseguenze potenzialmente rivoluzionarie di questa concezione, che molti esponenti del giornalismo e della politica di destra oggi denunzierebbero indignati come un cedimento inaccettabile al “comunismo”.

Emblematici due passaggi di un’enciclica del Paolo VI, la Populorum progressio, del 1967, dove, citando un autorevole padre della Chiesa, il papa scriveva: «“Non è del tuo avere, afferma sant’Ambrogio, che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene. Poiché è quel che è dato in comune per l’uso di tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi”. È come dire che la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario» (n.23)

Applicando questi princìpi al nuovo orizzonte planetario, nel testo si dice anche: «Una cosa va ribadita di nuovo: il superfluo dei paesi ricchi deve servire ai paesi poveri. La regola che valeva un tempo in favore dei più vicini deve essere applicata oggi alla totalità dei bisognosi del mondo» (n.49).

In un’enciclica pubblicata in occasione del centenario dalla Rerum Novarum, il 1 maggio 1991, e intitolata perciò Centesimus annus, Giovanni Paolo II, ne rivendicava la piena attualità: «Si può ancora oggi, come al tempo della Rerum Novarum parlare di uno sfruttamento inumano. Nonostante i grandi mutamenti avvenuti nelle società più avanzate, le carenze umane del capitalismo, col conseguente dominio delle cose sugli uomini, sono tutt’altro che scomparse» (n.33).

E precisava: «È inaccettabile l’affermazione che la sconfitta del cosiddetto “socialismo reale” lasci il capitalismo come unico modello di organizzazione economica» (n.35).

Trump e la fase estrema del capitalismo

Questa l’eredità che il nome scelto da papa Leone XIV inevitabilmente evoca. Per non cadere nel gioco perverso delle previsioni, diciamo subito che non possiamo sapere se e in che modo egli la valorizzerà.

Quel che è certo, è che mai come in questo momento storico appare appropriato  e urgente il richiamo a questa visione alternativa. Perché davvero, come ha colto bene il nuovo pontefice, oggi gli ultimi sviluppi del capitalismo «comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro». E nessuno meglio di lui, che ha trascorso venti anni in uno dei paesi più poveri del Sudamerica, è in grado di cogliere la dimensione planetaria di queste sfide.

L’emblema degli sviluppi estremi di cui parliamo è la linea del nuovo presidente degli Stati Uniti. Una delle prime decisioni del nuovo inquilino della Casa Bianca, dopo il suo insediamento, è stata quella di sospendere tutti i programmi di assistenza all’estero.

E in effetti, poco dopo, il governo americano ha tagliato il 92% dei fondi destinati all’UsAid (Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale) – 58 miliardi di dollari – in massima parte destinati programmi alimentari salvavita, una misura che il Programma alimentale mondiale (PAM) ha definito «una condanna a morte» per milioni di persone affamate. Non meno gravi gli effetti sul piano sanitario, visto che quel denaro serviva a curare molte persone malate.

È una svolta. Da un capitalismo “misericordioso”, che si sforzava di compensare le forme esplicite o implicite di sfruttamento dei più deboli con forme di assistenza, si sta passando ora, con il nuovo inquilino della Casa Bianca, a quello che, in nome dello slogan «America first», “Prima l’America”, considera gli interessi – innanzi tutto economici – degli Stati Uniti il principale criterio delle scelte anche politiche.

In questa logica è stato possibile che il presidente dello Stato a cui si sono rivolte, come a un punto di riferimento, tutte le democrazie occidentali, abbia potuto annunciare tranquillamente il suo piano di deportare dalla loro terra due milioni e mezzo di palestinesi, per costruire sulle macerie un resort turistico: «Penso che lo trasformeremo in un posto internazionale, bellissimo». «Sarà la rivière del Medio Oriente».

Nella stessa logica, mentre a Gaza quotidianamente decine di donne e bambini vengono uccisi dall’esercito israeliano col pretesto di colpire i terroristi di Hamas, ma col motivo reale – e ormai dichiarato ufficialmente da Netanyahu – di costringerli ad andarsene («liberamente», si precisa), Trump ha fatto in questi giorni un viaggio in Medio Oriente, insieme alla sua corte di magnati miliardari, con l’esplicito intento di concludere affari vantaggiosi, per cifre astronomiche, con califfi ed emiri arabi.

Facendo coincidere, secondo tutti gli osservatori, due dimensioni che strutturalmente erano e avrebbero dovuto rimanere distinte, quella della politica e quella dell’economia, dove la prima appare ormai totalmente asservita alla seconda.

Il capitalismo era già prima di Trump agli antipodi della concezione sociale proposta nella Rerum Novarum, ma ora precipita in un parossismo che ne estremizza la disumanità, rinunziando anche al pudore che prima velava le sue logiche. Si dirà che in questo modo è più sincero.

Ma chi si vergogna di quello che fa rivela di avere una coscienza per cui continua ad accettare che ci siano criteri etici, anche se li viola. Quello che colpisce nel tycoon americano è l’apparente scomparsa, appunto, della coscienza.

Sulle orme di Trump

Peraltro la sua linea, che fino a pochi anni fa sarebbe stata considerata  insopportabilmente cinica, viene oggi salutata come “realistica” da molti. Emblematico il caso del nostro governo, che non perde occasione per confermare la sua stima e la sua fiducia nei confronti di Trump, e la cui premier si è detta recentemente «orgogliosa» di aver un «rapporto privilegiato» con lui.

Del resto, pur se in modalità diverse, la logica del capitalismo progredisce sempre più anche nel nostro paese. Un esempio significativo – centrale nell’insegnamento sociale della Chiesa – è quello della retribuzione del lavoro.

Nella Rerum Novarum si insiste sulla necessità che al lavoratore venga garantito un salario adeguato. «Se costui, costretto dalla necessità o per timore di peggio, accetta patti più duri i quali, perché imposti dal proprietario o dall’imprenditore, volenti o nolenti debbono essere accettati, è chiaro che subisce una violenza, contro la quale la giustizia protesta» (n.34). E si sottolinea che «è stretto dovere dello Stato prendersi la dovuta cura del benessere degli operai (…) osservando con inviolabile imparzialità la giustizia cosiddetta distributiva» (n. 27).

Nel suo discorso del 1 maggio, il presidente della Repubblica, Mattarella (espressione del mondo cattolico precedente la Seconda Repubblica), citando rapporti ufficiali dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo e dell’Istat, ha denunciato con forza e chiarezza: «I salari reali troppo bassi sono una grande questione, le famiglie sono in difficoltà: a marzo 2025 sono dell’8% inferiori rispetto a quelli di gennaio 2021».

Ricchi e poveri in Italia

L’Italia non è un paese povero. Secondo le statistiche più aggiornate, i miliardari italiani sono 74, cifra che colloca il nostro Paese al settimo posto al mondo. Ma ci sono anche 457 mila milionari, e la ricchezza finanziaria italiana è in crescita costante.

Il nostro sistema produttivo funziona discretamente. Sono i salari a diminuire. Non quelli nominali, che anzi crescono, ma quelli reali, calcolati in rapporto all’inflazione. E, se si guarda a un lasso di tempo più lungo di quello di cui parlava Mattarella, le statistiche dicono che il nostro paese registra il peggiore risultato rispetto all’intero gruppo del G20: dal 2008 a oggi, i salari reali sono diminuiti dell’8,7%, un dato che pone l’Italia in fondo alla classifica globale.

È evidente che si verifica uno scarto tra il mantenimento o l’aumento dei profitti dei datori di lavoro e i loro dipendenti. Col conseguente impoverimento di questi ultimi.

«Di questo», secondo Leone XIII, «è stretto dovere dello Stato prendersi la dovuta cura». Quanto siamo lontani da questa preoccupazione lo dice il fatto che, il fenomeno non viene neppure riconosciuto. Ventiquattrore dopo la denunzia del presidente della Repubblica, la nostra premier in un video – il mezzo di comunicazione da lei preferito – ha detto l’esatto contrario: «I salari reali crescono in controtendenza rispetto al passato».

Anche in Italia, dunque, il processo per cui i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri sembra non trovare freni da parte delle autorità politiche.

Il capitalismo si avvia a forme estreme, che forse rendono necessario un nuovo deciso intervento della Chiesa, come ai tempi di Leone XIII. Non sappiamo se il nuovo papa lo farà. Ma il nome che si è scelto e la sua esperienza passata, a cavallo tra in Nord ricco e il Sud povero dell’America, ci permette di sperarlo.

 

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