lunedì 8 dicembre 2025

FORMARE COSCIENZE DI PACE


 A partire dalla Nota di Zuppi:


Il testo del cardinale Matteo Zuppi sulla Nota della CEI “Educare a una pacedisarmata e disarmante” nasce dentro un tempo di guerre diffuse e di violenza quotidiana. Non è un commento teorico, ma una consegna: il Signore ci dona la sua pace, e nello stesso tempo ce la affida. È un dono da custodire e una responsabilità da assumere.

Seguendo il suo intervento punto per punto, si vede emergere un vero percorso pedagogico: dalla radice evangelica della pace alla lettura severa del presente, fino al compito concreto di trasformare comunità, istituzioni e relazioni in “case di pace”.

1. La pace come dono e compito

Zuppi parte dal Vangelo: la pace non è semplicemente assenza di conflitti, ma il volto stesso di Dio consegnato agli uomini. Gesù chiama «beati gli operatori di pace» perché assomigliano al Padre; la pace, dunque, non è un accessorio spirituale, ma l’identità del cristiano.

Per questo – ricorda – i credenti non possono limitarsi a desiderare la pace: devono coltivare una vera “cultura di pace”. È una cura quotidiana, una preoccupazione costante per tutti, credenti e uomini di buona volontà, perché la pace non riguarda solo i fronti armati ma il modo in cui viviamo, parliamo, lavoriamo, costruiamo rapporti.

2. Le comunità come “case della pace e della non violenza”

Zuppi riprende l’idea – cara al magistero recente – che ogni comunità cristiana dovrebbe diventare una “casa della pace e della non violenza”.

Che cosa significa, in concreto?

• un luogo dove si impara a disinnescare l’ostilità con il dialogo;

• dove la giustizia non è parola astratta ma stile di vita;

• dove il perdono viene custodito come risorsa umana e spirituale, non come debolezza.

La parrocchia, l’associazione, il gruppo di volontariato, la famiglia credente: tutti possono essere piccoli laboratori in cui si sperimenta che un altro modo di stare insieme è possibile. Se le comunità non diventano scuole di pace, il Vangelo resta una predicazione disincarnata.

3. La Nota della CEI: continuità e novità

Per dare forma concreta a questo compito, la Commissione episcopale per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace – insieme a teologi e teologhe che da anni riflettono su questi temi – ha preparato la nuova Nota pastorale.

Zuppi ricorda che non si parte da zero: già nel 1998 la CEI aveva pubblicato Educare alla pace. Oggi, però, è necessario un passo ulteriore: parlare di una pace “disarmata e disarmante”.

• Disarmata, perché rifiuta la logica delle armi come soluzione ai conflitti.

• Disarmante, perché smonta le giustificazioni culturali, economiche, politiche che rendono la guerra “accettabile” o inevitabile.

La Nota è stata approvata dall’assemblea della CEI ad Assisi: non è quindi solo il pensiero di alcuni esperti, ma una parola assunta collegialmente dai vescovi italiani.

4. Cristo «nostra pace» e la dottrina sociale della Chiesa

Il cuore del documento – e del commento di Zuppi – è la centralità di Cristo. Non esiste un discorso cristiano sulla pace che prescinda dal suo modo di vivere e di morire.

Chiamare Gesù «nostra pace» significa:

• riconoscere che la riconciliazione parte dalla croce, dove l’odio viene vinto non con altra violenza ma con il dono di sé;

• capire che ogni annuncio cristiano deve portare dentro di sé un impegno concreto per la concordia, la giustizia, la vicinanza agli ultimi.

Zuppi mostra come la Nota si collochi nel solco della dottrina sociale della Chiesa: non è solo un testo spirituale, ma un’analisi lucida della realtà, delle sue ferite, delle sue strutture di ingiustizia. La pace, per la tradizione cristiana, è sempre legata alla giustizia; non c’è pace vera dove le disuguaglianze esplodono e i diritti di molti vengono sacrificati per gli interessi di pochi.

5. Le “inutili stragi” del nostro tempo

Da qui il cardinale passa a leggere la situazione attuale. Il mondo è segnato da «inutili stragi» – espressione che evoca le parole già usate contro le carneficine della prima guerra mondiale – e oggi riguarda soprattutto civili e bambini.

 

Zuppi denuncia tre grandi malattie:

1. La logica della deterrenza armata

L’idea che la sicurezza si fondi sull’accumulare armi sempre più sofisticate e distruttive. È una mentalità che sposta risorse enormi verso l’industria bellica e alimenta un clima di paura permanente.

2. La violenza diffusa

Non solo sui fronti di guerra, ma nelle città, nei linguaggi d’odio, nelle relazioni segnate da aggressività, nel bullismo, nella violenza domestica. Quando la violenza diventa “normale”, i giovani ne restano affascinati: non la percepiscono più come scandalo ma come modo di affermarsi.

3. L’economia che si abitua alla guerra

Il mercato degli armamenti influenza la politica, orienta scelte di bilancio, crea interessi che hanno bisogno del conflitto per continuare a prosperare.

Di fronte a tutto questo Zuppi non si rassegna: proprio per questo, dice, è urgente un rinnovato annuncio di pace, e la Nota intende essere un piccolo strumento per suscitare coscienze critiche, comunità vigili, cittadinanza responsabile.

6. La voce comune delle Chiese: la Dichiarazione congiunta

Il testo fa memoria anche di una Dichiarazione congiunta recente del Papa e del Patriarca ecumenico. Insieme chiedono il «dono divino della pace sul nostro mondo» e sottolineano che, in tante regioni, conflitti e violenze continuano a distruggere vite innocenti.

Non si tratta solo di parole: è una chiamata diretta a chi ha responsabilità politiche e civili perché faccia tutto il possibile per fermare le guerre e per avviare percorsi di riconciliazione. Zuppi insiste su questo punto: la pace non è un sentimento privato, ma una responsabilità pubblica.

L’unità delle Chiese – quando si esprime in una voce concorde contro il riarmo e la corsa alle armi nucleari – diventa un segno profetico, una provocazione rivolta ai governi e alle opinioni pubbliche.

7. La Parola di Dio come scuola di riconciliazione

La seconda parte della Nota – e del commento di Zuppi – indica il fondamento biblico e teologico della pace.

Dalla Scrittura e dal Magistero emerge una visione di riconciliazione e convivenza tra i popoli, continuamente minacciata dal peccato non solo come fragilità personale, ma anche come strutture di ingiustizia: economie che escludono, sistemi politici violenti, culture che legittimano l’odio.

Mettersi alla “scuola della pace” significa, allora:

• lasciarsi educare dalla Parola di Dio a gesti concreti di misericordia e perdono;

• imparare a vedere il mondo con lo sguardo delle vittime, non solo con quello dei vincitori;

• riconoscere che la conversione parte dal cuore ma domanda scelte sociali, economiche, politiche coerenti.

8. Diventare “case di pace”: i luoghi concreti

Zuppi individua alcuni ambiti privilegiati in cui questa educazione può prendere corpo:

• La preghiera

Non fuga dal mondo, ma grido ostinato che invoca la pace come dono di Dio e sostiene la speranza quando la storia sembra smentirla.

• La famiglia

Primo laboratorio di relazione, dove si impara ad ascoltare, a chiedere scusa, a gestire i conflitti senza distruggere l’altro. Una famiglia ferita può diventare comunque scuola di pace se sceglie la via del rispetto.

• La scuola

Luogo dove si imparano le parole, e quindi anche il linguaggio della non violenza. L’educazione civica, la memoria storica, l’incontro con culture diverse possono aiutare a spegnere alla radice l’odio e il razzismo.

• La società civile e la politica

Qui, dice Zuppi, la pace deve tradursi in visioni di sviluppo e di solidarietà: politiche che non alimentino la corsa agli armamenti, che contrastino la proliferazione nucleare, che investano in salute, educazione, lavoro dignitoso. Sono “i nomi nuovi” della pace.

Sono grandi cantieri aperti, nei quali occorre formare coscienze illuminate da un ideale alto, capace di resistere al cinismo e alla rassegnazione.

9. Il modello di Francesco d’Assisi

Per sostenere questo cammino, Zuppi affida la Chiesa italiana alla scuola di Francesco d’Assisi. Dopo otto secoli, la sua figura rimane sorprendentemente attuale: un uomo disarmato e disarmante, capace di parlare al sultano nel pieno delle crociate, di abbracciare il lebbroso, di riconciliare nemici.

Il cardinale richiama un passo della Vita Prima di Tommaso da Celano: Francesco, prima di annunciare il Vangelo, augurava sempre la pace dicendo «Il Signore vi dia la pace» e, con quella benedizione, molte persone che rifiutavano sia la pace sia la propria salvezza finivano per abbracciare la pace con tutto il cuore.

È l’immagine di un annuncio che non impone, ma convince; non schiaccia, ma guarisce. Diventare “figli della pace” significa lasciare che questa benedizione attraversi le nostre parole, i nostri gesti, le nostre scelte pubbliche.

10. Formare coscienze, non solo firmare documenti

Alla fine, l’articolo di Zuppi è un invito a non accontentarsi di dichiarazioni solenni. La pace si costruisce:

• formando coscienze capaci di resistere alla logica dell’odio;

• educando i giovani a non lasciarsi sedurre dalla violenza;

• costruendo reti di cooperazione tra comunità cristiane, altre religioni, società civile e istituzioni democratiche;

• scegliendo, anche come cittadini, politiche e stili di vita che non alimentino le “inutili stragi” del nostro tempo.

 

La Nota Educare a una pace disarmata e disarmante diventa così non solo un documento da studiare, ma una mappa di conversione: per le parrocchie, le famiglie, le scuole, le associazioni, i movimenti, i singoli credenti.

Zuppi ci ricorda che la pace non è un’utopia ingenua: è una via umile, fatta di gesti quotidiani che intrecciano pazienza e coraggio, ascolto e azione. Sta a noi decidere se restare spettatori preoccupati o diventare davvero, come lui dice, artigiani di concordia contro tutte le inutili stragi.

 www.avvenire.it 

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