mercoledì 24 dicembre 2025

UN NEONATO INFREDDOLITO

 


Dove nasce

 Gesù oggi


Chi crede nella divinità 

di Cristo è chiamato

 a ricordare che

 duemila anni fa il Creatore delle galassie

 ha assunto la nostra inerme umanità

 nella sua forma più estrema, quella di un neonato infreddolito,

 rischiando di morire assiderato come  i bambini di Gaza.

-di Giuseppe Savagnone 

Dal Natale al solstizio d’inverno

Del Natale, in questi giorni, come ogni anno, sono piene le nostre strade, con le vetrine illuminate, gli addobbi più o meno ricchi, la folla di persone che escono per comprare. Ma in questa festa – forse la più sentita dell’anno – chi è assente è proprio festeggiato. Sembra essere sparito Gesù.

Il problema, in realtà, non è nuovo. Da sempre il Natale è stato esposto al rischio di vedere subordinata la sua valenza propriamente religiosa a una costellazione di valori umani che da un lato ne erano l’espressione, dall’altro però lo banalizzavano, diventando così la festa del buonismo, della famiglia e dello scambio dei regali. E tuttavia le tracce del suo originario significato rimanevano in una fede diffusa, anche se spesso abitudinaria e tradizionalista, che faceva riempire  le chiese per la veglia natalizia .

Da quando  il consumismo si è impadronito delle festività cristiane per trasformarle in occasioni di marketing, anche il Natale ha progressivamente  perduto il suo riferimento alla nascita del Salvatore. In alcuni paesi europei anche la dizione è stata cambiata in quella di “festa del solstizio d’inverno”, rinunziando perfino alla menzione dell’evento celebrato nella tradizione cristiana.

Nella stessa direzione vanno – di sicuro senza averne l’intenzione – gli odierni tentativi di rinnovare lo stesso cristianesimo rinunziando all’unicità e irripetibilità  di quell’evento. Dio non sarebbe “Altro” dal mondo. È la tesi di chi sostiene che «il  Logos incarnato non va inteso nella sua esclusività dell’uomo Gesù ma comprende e si estende a tutto il creato» (P. Gamberini).

E, a questo punto, non avrebbe neppure senso parlare di un momento della storia in cui è nato il Salvatore. E, del resto, non ce ne sarebbe bisogno. Per gli essere umani «il mezzo salvifico è l’etica, è la vita buona, è la vita giusta. Questa etica professata e vissuta non fa altro che esprimere una logica eterna», (V. Mancuso), immanente alla realtà del mondo e d cui dobbiamo solo prendere coscienza, non l’irrompere di qualcosa di nuovo, di Qualcuno che “viene” tra noi. 

In questa visione ormai diffusa, di cui la perdita di significato del Natale è espressione, ad essere in gioco non è solo il nostro modo di guardare a Cristo, ma quello di vedere noi stessi e la nostra vita. Essa rispecchia, infatti, una idea –  propria dell’antichità e riproposta, alle origini dell’epoca post-moderna, da Nietzsche – , secondo cui la salvezza non può venire dalla storia, concepita, sul modello della natura, come un “eterno ritorno”, ma deve avere una portata cosmica. Non c’ è posto, in quest’ottica, per  l’unicità e la novità di un evento in cui Dio si manifesta, perché Egli ci parla nell’universalità dei fenomeni e della nostra coscienza.  

I cristiani, utilizzando per la celebrazione della nascita di Gesù,  la festa pagana del Natalis Solis invicti, che cadeva ciclicamente alla fine di dicembre,  hanno sancito precisamente la rivoluzione culturale e spirituale che oggi si sta cercando – con successo – di annullare.

 Chi lo fa non si rende conto che sostituire la festa del solstizio d’inverno al Natale significa sostituire una visione immutabile del destino umano alla fiducia che qualcosa di radicalmente nuovo possa accadere, anzi sia già accaduto in quella lontana notte di duemila anni fa, e operi ormai incessantemente, pur senza rumore, per trasformare la nostra vita a livello sia personale che comunitario.

Ma davvero Dio è venuto nella nostra storia?

Certo, bisogna ammettere che per credere nel Natale oggi bisogna avere molto coraggio. Del Messia i profeti avevano parlato come di colui che avrebbe, a nome di Dio, instaurato un regno di pace e di giustizia destinato a durare per sempre. Come si legge nel libro di Isaia:

«Egli sarà giudice fra le genti/e arbitro fra molti popoli./Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri,/ delle loro lance faranno falci;/una nazione non alzerà più la spada/contro un’altra nazione,/non impareranno più l’arte della guerra» (Is 2,4).

Se si guarda a questa promessa alla luce della escalation della violenza  e dell’ingiustizia di cui siamo stati spettatori in questi mesi e dilaganti anche in questo periodo natalizio, –  si è portati a condividere un racconto della tradizione ebraica, in cui  si narra che un pio ebreo un giorno si recò dal proprio rabbi per confessargli di avere la terribile tentazione di farsi cristiano. «E se fosse davvero venuto?».

Il rabbi, dice il racconto, rimase in silenzio. Con una mano, scostò la tenda e guardò fuori. In strada un povero mendicante cencioso chiedeva l’elemosina, , un uomo picchiava un bambino, un ricco in abiti di lusso passava impettito, riverito da tutti. Lasciò ricadere la tenda e disse: «No, non è venuto».

Possiamo ancora credere nel Natale oggi, dopo quello che è successo a, che continua a succedere, in Ucraina, a Gaza? Non siamo costretti anche noi, come il saggio rabbi ebreo, a constatare con rassegnata tristezza: «No, non è venuto»?

A metterci in guardia dall’equivoco è la festa, subito seguente a quella del Natale, in cui si ricorda la strage degli innocenti. Il vangelo non ha mai avallato l’illusione che la nascita di Gesù dovesse eliminare il male dalla storia con un colpo di bacchetta magica. E le stesse condizioni di questa nascita, nella emarginazione e nella povertà, con la successiva fuga in Egitto, da povero rifugiato, la smentivano evidentemente.

Il Natale non segna l’avvento del Messia vittorioso atteso dalla maggior parte degli ebrei. In tutta la sua missione Gesù ha voluto prendere decisamente le distanze da questa figura. E la parabola del grano e della zizzania, destinati a crescere insieme fino alla fine dei tempi, è più eloquente di qualunque filosofia della storia.

Dio è venuto tra noi mettendosi dalla parte dei civili ucraini torturati e uccisi a Bucha, dei palestinesi bombardati, cacciati dalla loro terra, massacrati, degli sfollati del Sudan, dei migranti trattenuti nei campi di tensione libici o annegati nel Mediterraneo.

Il silenzio del Natale

Ma il Natale significa che nella profondità della storia operano ormai forze che non fanno rumore – come sono quelle della verità e dell’amore – e che, a dispetto  della loro apparente irrilevanza, continuano l’evento salvifico della venuta di Dio nel nostro mondo.

Oggi siamo tentati di credere che la storia stia dando ragione ai terroristi, agli arroganti, ai narcisisti, e che la sola possibilità di opporsi a loro  è di farlo con lo stesso spirito di odio e di violenza. Il Natale ci sfida a rifiutare questa logica. In realtà, la sola cosa peggiore di un mondo dove i fanatici e i prepotenti dilagano sarebbe un mondo dove, per combatterli, noi stessi ci riduciamo a diventare come loro.

Chi crede nella divinità di Cristo è chiamato a ricordare che duemila anni fa il Creatore delle galassie ha assunto la nostra inerme umanità nella sua forma più estrema, quella di un neonato infreddolito, rischiando di morire assiderato come  i bambini di Gaza.

Gesù ancora oggi nasce là, tra i poveri ucraini senza riscaldamento nel rigido inverno del loro paese, nelle tendopoli allagate della Striscia, negli sforzi dei medici e degli operatori umanitari che a rischio della vita restano accanto a questi disperati cercando di mantenerli in vita. In questa miseria, in questa impotenza – non nei trionfi dei grandi della terra – , si manifesta tutta la gloria di Dio.

Perciò non dobbiamo meravigliarci se, anche a Natale, il chiasso del circo mediatico e dei proclami dei politici domina incontrastato. Le cose grandi maturano nel silenzio. Nel silenzio Dio si è fatto uomo. E là ci chiede di incontrarlo e di continuare, con i nostri poveri sforzi, la sua incarnazione.

 www.tuttavia.eu

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