- di Giuseppe Savagnone
Un altro disegno di legge contro l’antisemitismo
Il
disegno di legge presentato in Senato lo scorso 20 novembre dall’on. Graziano
Delrio, autorevole rappresentante del PD, «per la prevenzione e il contrasto
dell’antisemitismo», ha suscitato reazioni contrastanti, che hanno rimescolato
in modo inusuale le carte del gioco politico. A prenderne le distanze,
infatti, è stato il capogruppo del partito democratico a Palazzo Madama,
Francesco Boccia, il quale ha dichiarato che esso «non rappresenta la
posizione del gruppo né quella del partito», mentre a salutarlo con favore sono
stati i giornali e i politici di destra.
In
realtà, il ddl presentato da Delrio si aggiunge ad altre tre analoghe
iniziative, tutte contro l’antisemitismo, firmate rispettivamente dal
leghista Massimiliano Romeo, dal renziano Ivan Scalfarotto e dal rappresentante
di Forza Italia Maurizio Gasparri.
Ma
che cosa si intende, in questi ddl, per antisemitismo? In realtà tutti e
quattro recepiscono la “definizione operativa” che ne ha dato nel 2016 la
International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA). Essa ha una parte
descrittiva dal tenore assolutamente incontestabile: «L’antisemitismo è una
certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei.
Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei
o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche
ed edifici utilizzati per il culto».
Per
ovviare, però, alla genericità di questa formulazione, la si integra con undici
esempi contemporanei di antisemitismo nella vita pubblica, al fine di
orientarne l’interpretazione. E sette di questi esempi non riguardano il popolo
ebraico in generale, ma specificamente lo Stato d’Israele.
Si
tratta, insomma, di una definizione dell’antisemitismo che coincide con quella
ripetutamente ribadita dal governo di Netanyahu e che lo identifica, come
dice «Il Giornale», con «ogni critica radicale» della politica dello
Stato ebraico. Non vi rientra, perciò, quella, molto blanda, della nostra
presidente del Consiglio che, davanti alle stragi di civili compiute dall’Idf,
dopo avere a lungo sottolineato «il diritto di Israele di difendersi» e la
tassativa necessità di «non isolare Israele», alla fine ha ammesso che quella
dello Stato ebraico è stata «una reazione che è andata oltre il principio di
proporzionalità».
Ma
queste proposte di legge non riguardano, evidentemente, il passato, perché
mirano a regolare il futuro. In particolare l’articolo 4 del ddl presentato da
Delrio prevede che «l’organismo di vigilanza di ogni università individui al
suo interno una figura deputata alla verifica e monitoraggio delle azioni per
contrastare i fenomeni di antisemitismo». E l’articolo 5 prevede questo
monitoraggio «circa le azioni attuate per contrastare i fenomeni di
antisemitismo» anche alle scuole.
Alcune
domande inquietanti
Davanti
a questo quadro, alcune domande si impongono. La prima riguarda la
compatibilità di questi provvedimenti con la Costituzione italiana, elaborata
da persone che avevano dovuto a lungo subire una dura repressione della
loro libertà di espressione e che hanno voluto affermare con la massima
chiarezza possibile il rifiuto di ogni limitazione, qualche ne possa esser
la giustificazione, nell’articolo 21 della Carta costituzionale: «Tutti hanno
diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
In
particolare la Costituzione tutela questa libertà nell’ambito educativo
stabilendo, nell’articolo 33, che «l’arte e la scienza sono libere e libero ne
è l’insegnamento». Dire, dunque, che il ddl si rivolge solo alle manifestazioni
di pensiero sulle piattaforme digitali, alle scuole e alle università, non
cambia la sostanza del problema costituzionale, che proprio per scuole e
università si pone in modo più evidente.
Se
passasse il ddl Delrio nelle nostre aule universitarie e scolastiche si
potrebbe esprimere il giudizio più duro su qualunque istituzione – il nostro
Stato, la Chiesa, l’Onu, ma non su Israele. Si potrebbe accusare la
politica di qualsiasi governo al mondo di riprodurre lo stile del
nazismo, tranne quella di Netanyahu. E il professore universitario o di liceo
che leggesse ai suoi studenti l’articolo recentemente pubblicato da Vito
Mancuso su «La Stampa», in cui parla di «nazi-sionismo», non sarebbe solo
suscettibile di critiche sul piano culturale, come è pienamente legittimo, ma
potrebbe andare incontro a sanzioni disciplinari.
Come
giustificare una simile eccezione ai diritti costituzionalmente sanciti? La
risposta, secondo i sostenitori dei queste limitazioni, vengono dalla storia.
Gli ebrei, con la Shoah, sono stati senza dubbio vittime di una violenza
inaudita. E questo è indiscutibile.
Ma
la seconda domanda che sorge spontanea riguarda proprio il nesso tra le
critiche a Israele, rivolte al governo di uno Stato governato da ebrei, e
l’antisemitismo, che riguarda il popolo ebraico come tale, per motivi del tutto
diversi da quelli che motivano quelle critiche. È una questione di logica
riconoscere che si tratta di cose del tutto diverse.
Secondo
la definizione dell’IHRA, siamo davanti a un chiaro esempio di antisemitismo e,
stando al ddl Delrio, se un docente italiano si rifacesse al giudizio di
Grosssman sarebbe censurabile. Il paradosso è evidente.
Una
formula più subdola di antisemitismo
Illuminante
è anche la lettera indirizzata al quotidiano «Domani» da un gruppo di
intellettuali ebrei, tra cui Gad Lerner, Anna Foa e Carlo Ginzburg, che
dichiarano «inaccettabili e pericolosi i disegni di legge oggi in discussione
sulla prevenzione e il contrasto dell’antisemitismo». Gli autori della lettera
fanno presente che la definizione di antisemitismo dell’IHRA «è
contestata a livello internazionale da molti dei maggiori specialisti di
storia dell’antisemitismo e della Shoah» e osservano che adottandola, come
fanno acriticamente i quattro disegni di legge sopra menzionati, «si finisce
per equiparare qualsiasi critica politica a Israele all’antisemitismo».
È
ciò che sta accadendo, secondo gli autori della lettera, «anche nella recente
offensiva del governo Trump contro le principali università americane». I
sostenitori di questa definizione «usano la lotta all’antisemitismo come
strumento politico per limitare la libertà del dibattito pubblico, della
ricerca e della critica legittima a Israele, che da anni porta avanti politiche
violente, autoritarie e perfino genocidarie contro i palestinesi».
A
loro avviso, peraltro, il ddl Delrio non solo è un pericolo per la
democrazia, ma è, dicono, «controproducente» anche «ai fini di un efficace
contrasto dell’antisemitismo», perché «stabilire un presunto privilegio di
esenzione dalla critica politica ed etica “in favore degli ebrei” (e solo di
questi) – che nei fatti tutela solo chi sostiene in modo incondizionato le
ragioni di Israele – non può che alimentare nuova ostilità e ulteriore
antisemitismo. Quest’ultimo certamente esiste ma va sempre contrastato accanto
a islamofobia, razzismo ed ogni forma di discriminazione».
Non
si tratta di avallare la deriva antisemita, ma di rendere più seria la lotta
contro di essa sparandola dalla difesa ad oltranza di Israele. Gli autori della
lettera, a questo proposito, contrappongono al testo dell’IHRA «la più
equilibrata e autorevole Jerusalem Declaration on Antisemitism, del 2021, i cui
firmatari non sono dei pericolosi estremisti, bensì studiosi di altissimo
livello, in gran parte ebrei. Secondo questa definizione, è antisemitismo
«la discriminazione, il pregiudizio, l’ostilità o la violenza contro gli ebrei
come ebrei (o contro le istituzioni ebraiche in quanto ebraiche)». Dove la
precisazione «in quanto ebraiche» chiarisce la differenza tra chi attacca lo
Stato israeliano perché ebreo o per i suoi crimini.
La
confusione tra le due fattispecie, purtroppo, ha dominato in Italia
la politica del governo e può, adesso, trasformarsi in legge. Gli ebrei a
questo punto rischiano di essere usati come scudo umano per difendere un
governo già condannato dalla Corte Penale Internazionale per «crimini
contro l’umanità» e recentemente definito, da una commissione indipendente
dell’ONU colpevole di genocidio.
E
questa sì sarebbe davvero la forma più subdola di antisemitismo.
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