venerdì 3 ottobre 2025

COLTIVARE L'UMANITA'

 


Insegnare ai bambini a coltivare l’umanità contro l’analfabetismo emotivo

L'ente filantropico di Corato (Bari) è reduce dalla XXIV edizione de "I Dialoghi di Trani", la rassegna culturale promossa e organizzata dall’Associazione La Maria del porto Ets con la Regione Puglia e il Comune di Trani (Bt) e quest'anno dedicata al tema dell'umanità. 


di Marilù Ardillo

 

Si è appena conclusa la XXIV edizione de I Dialoghi di Trani, la rassegna culturale promossa e organizzata dall’Associazione La Maria del porto Ets con la Regione Puglia e il Comune di Trani (Bt) che da anni crea nel territorio pugliese uno spazio di confronto su vari temi di attualità con autori, giornalisti, filosofi e scienziati.
Dopo il tema dell’accoglienza al centro dei dibattiti dello scorso anno, nel 2025 si è scelto di proseguire questo cammino di apertura verso l’altro alla ricerca di nuove interpretazioni e trasformazioni con un nuovo tema: Umanità.

Coltivare l’umanità

Quale umanità stiamo costruendo per il futuro? Possiamo ancora considerarci un’unica umanità quando agiamo contro il nostro stesso avvenire? Queste sono alcune delle domande a cui anche la Fondazione Vincenzo Casillo, che sostiene la rassegna portando ogni anno contenuti e progetti diversi, ha tentato di trovare delle risposte.
Coltivare l’humanitas oggi significa coltivare in modo consapevole il rispetto per la dignità, l’empatia e la giustizia sociale, riscoprire il valore dell’ascolto attivo, di un dialogo aperto.
In virtù di questo, presso la Biblioteca comunale Giovanni Bovio a Trani, la Fondazione ha proposto tre appuntamenti nel mese di Settembre declinati in un laboratorio intitolato C.a.r.e. destinato alle classi quinte della scuola primaria, frutto di un progetto ideato e curato per la Fondazione da Michela Campanale, giovane psicologa del lavoro e delle organizzazioni.
C.a.r.e. è l’acronimo di ConsapevolezzaAffettiRelazioni, Emozioni: è un percorso di educazione affettiva che si occupa di atteggiamenti, sentimenti, credenze ed emozioni di bambini e bambine tra 10 e 14 anni e pone un’attenzione particolare al loro sviluppo personale e sociale, lavora sull’intelligenza emotiva, incentiva l’autostima, il rispetto reciproco e la valorizzazione della diversità.

Analfabetismo emotivo, un’emergenza

«Abbiamo scelto di sostenere questo progetto perché crediamo che l’analfabetismo emotivo sia una delle emergenze più gravi del nostro tempo», afferma Cardenia Casillo presidente della Fondazione. «È all’origine delle violenze», sottolinea, «che si manifestano talvolta in forme quotidiane e silenziose, altre volte in gesti estremi. Portare C.a.r.e. ai Dialoghi di Trani significa inserirlo in un contesto in cui si riflette sull’Umanità, intesa soprattutto come rispetto della dignità. In un tempo segnato da guerre, migrazioni forzate e profonde disuguaglianze, parlare di Umanità significa scegliere la cura: di sé, degli altri e delle relazioni. C.a.r.e. ci invita a ricostruire i legami, a partire dalla comprensione delle emozioni, per contrastare l’indifferenza e restituire centralità al valore umano che ci unisce.

Il 22 Settembre la Fondazione ha riunito in un incontro di restituzione, moderato da chi scrive, responsabile comunicazione della stessa, tutti i bambini e le bambine che hanno preso parte al laboratorio, le loro rispettive famiglie e alcune docenti che hanno seguito le classi lungo il percorso, perché l’intera comunità educante comprenda la necessità di unire le forze per una nuova rivoluzione affettiva.

La disarmante chiarezza dei bambini

Uno dei bambini al microfono ha affermato con chiarezza disarmante: «Questo percorso servirà per la mia vita». Una bambina ha aggiunto: «Dobbiamo accettare gli altri anche quando sono diversi o quando commettono errori. Grazie a questo progetto ho capito il vero senso delle parole, ho imparato a percepire le sensazioni delle altre persone»hanno suggerito altri. «Quando provo gioia sono particolarmente energica e questa emozione mi arriva quando realizzo i miei sogni», ha attestato un’altra bambina nella didascalia del suo disegno.
Tra i vari temi trattati da Campanale, sembra che quello dell’inclusione abbia lasciato una traccia più incisiva nella percezione dei bambini e delle bambine: includere significa non escludere mai nessuno. L’inclusione garantisce ad ogni persona di partecipare pienamente alla società, indipendentemente dalle sue caratteristiche. Tutti insieme nel girotondo senza escludere nessuno dal mondo. Affermazioni semplici, dirette, trasparenti, eppure così inafferrabili quando si diventa adulti.
Lo psicologo americano Jonathan Haidt nel suo ultimo libro intitolato La generazione ansiosa (Ed. Rizzoli) ci chiede di affrontare una realtà scomoda: dal 2012 con l’arrivo degli smartphone molte cose sono cambiate; l’ansia, la depressione, l’autolesionismo, l’isolamento e i disturbi alimentari sono aumentati drasticamente tra gli adolescenti. Gli algoritmi sono programmati per trattenerli online più a lungo possibile e il tempo dedicato alla parola scritta, parlata o anche cantata, al gioco, alla scoperta del mondo reale si è ridotto considerevolmente. Lo spostamento dal mondo fisico a quello virtuale sta riconfigurando l’infanzia e interferisce pericolosamente con lo sviluppo sociale e neurologico dei bambini e degli adolescenti, causando soprattutto paura del confronto sociale.

Un’esperienza vincente

«L’esperienza di C.a.r.e. è stata sicuramente vincente»racconta Maria Antonietta Di Gravina, docente e referente per bullismo, cyberbullismo ed educazione civica per la scuola primaria Istituto Comprensivo Rocca Bovio Palumbo D’Annunzio di Trani.

«In classe non mancano occasioni per parlare dei temi affrontati dal progetto» dice, «ma l’intermediazione di una psicologa è un evento raro con i più piccoli. Nella scuola primaria non è ancora previsto lo sportello psicologico, presente alle medie e alle superiori. La figura professionale dello psicologo invece servirebbe tantissimo anche alla primaria, sia per i giovani alunni, ma anche per le famiglie e il corpo docente.
Progetti come questo rappresentano quindi occasioni preziose per percorrere l’unica strada possibile per evitare violenze, suicidi, maltrattamenti, depressioni, abbandoni scolastici. L’unica strada è quella della prevenzione. Prima se ne parla a chiare lettere ma con un linguaggio chiaro per i più giovani, comprensibile e soprattutto coinvolgente, prima si può sperare di evitare tanti episodi che purtroppo alimentano le cronache quotidiane. Non possiamo che ringraziare», conclude, «per questa settimana di incontri così proficui e profondi e si spera fruttuosi per i nostri alunni e le loro famiglie»

La voce delle mamme e dei papà

In chiusura dell’incontro di restituzione la Fondazione ha invitato tutti i genitori presenti a rispondere su un post-it anonimo ad una domanda: «Nella relazione con i vostri figli quale emozione vi risulta più complessa da gestire?»

Tra le risposte più significative: la paura, la delusione, la frustrazione, l’incapacità di difendersi. Una mamma tra tutte ha scritto: la sua ingenuità. La risposta più frequente è stata: la rabbia.
Intorno a queste parole, che pure dicono molto della difficoltà e della fragilità dei cosiddetti grandi, si è tentato di aprire delle finestre e lanciare dei semi, con l’auspicio di continuare ad osservare e coltivare.
Prima dei saluti e della consegna degli attestati di partecipazione, Cardenia Casillo ha fatto dono a ciascuna classe di alcune copie di Prendi una lacrima, di Beatrice Masini e Lucia Scuderi, un libro illustrato nato dall’incontro tra Carthusia Edizioni e l’Associazione Anto Paninabella Odv che mostra come accogliere, interpretare e condividere le emozioni.

Portarsi a casa

«Mi porto gli occhi curiosi dei bambini e la loro voglia di scoprire», dice Campanale, «ogni incontro è stato una sorpresa, perché anche nelle cose più semplici sono riusciti a meravigliarsi e a farmi vedere prospettive nuove. Mi resta la sensazione di aver potuto osservare una piccola parte dei loro mondi che piano piano si aprivano, attraverso racconti personali, domande, emozioni condivise. Mi restano i loro grazie sinceri, i sorrisi, ma soprattutto la conferma che, quando ai bambini e ai ragazzi si lascia uno spazio sicuro e accogliente per parlare di ciò che provano, loro rispondono con autenticità e profondità».

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