San Francesco, complesso e radicale.
Ecco perché ha senso prenderlo a modello
Dal 2026 il 4 ottobre tornerà festa nazionale
per ricordare un uomo che nutre
il nostro immaginario collettivo da secoli.
Che
cosa in realtà festeggeremo il 4 ottobre di ogni anno celebrando a partire
dall'anno prossimo la memoria di san Francesco d'Assisi trasformata in festa
nazionale? La figura di questo popolarissimo santo, infatti, è ben lungi
dall'avere la medesima interpretazione.
Da un lato fu il primo
nella storia a ricevere le stigmate e come tale è il simbolo del dolore di
Cristo; dall'altro venne soprannominato "il giullare di Dio" già dai
suoi contemporanei e come tale è diventato il simbolo altrettanto efficace della
gioia spirituale che rasenta la pazzia.
Da un lato fu un ribelle
intransigente alle regole dell'economia, della politica e del potere alla base
di questo mondo; dall'altro fu estremamente obbediente alla Chiesa e ai suoi ministri insegnando ai frati ad
applicare scrupolosamente la medesima sottomissione.
Da un lato superò
l'antropocentrismo per il suo amore verso la natura e le prediche agli uccelli;
dall'altro nella sua laude detta Cantico delle creature o di Frate Sole non
nomina neppure un animale.
Da un lato dimostra una
cultura elementare e un uso del latino spesso imperfetto; dall'altro compone
una delle poesie più belle e più amate della letteratura italiana.
Da un lato disprezza i
libri e lo studio mettendo in guardia i suoi frati dal dedicarvisi; dall'altro
è all'origine di un ordine religioso da cui presto nasceranno alcuni tra i più
acuti teologi e filosofi del tempo quali Alessandro di Hales, Ruggero Bacone,
Roberto Grossatesta, Bonaventura, Duns Scoto, e Guglielmo di Occam dalla logica
implacabile tramite il suo cosiddetto "rasoio".
Da un lato si recò
amichevolmente dal sultano d'Egitto dando vita a uno dei primi episodi del
dialogo interreligioso, tant'è che Assisi è diventata la patria dell'ecumenismo
e del pacifismo; dall'altro il suo ordine fu tra i più zelanti nel perseguitare
gli eretici rivaleggiando con l'ordine dei domenicani nel sostenere la Santa
Inquisizione, tant'è che Dostoevskij vestì il suo Grande Inquisitore non con
l'abito cardinalizio ma con un saio.
Da un lato il governo
fascista ne promosse la memoria e D'Annunzio lo proclamò «il più italiano dei
santi e il più santo degli italiani»; dall'altro la sinistra vede in lui il
padre dell'ecologia e della lotta contro le ingiustizie, con la teologia della
liberazione sudamericana che l'ha assunto quale modello e con papa Bergoglio che decise di chiamarsi proprio come
lui. Chi fu quindi veramente Francesco d'Assisi, figlio di Pietro di
Bernardone, un mercante che aveva scelto di chiamarlo così (e non Giovanni come
voleva la moglie) per onorare i suoi affari con la Francia?
Come per altri grandi personaggi del passato a partire da Gesù, la domanda sulla vera identità di san Francesco, e di conseguenza sul vero oggetto della festa nazionale, è destinata a rimanere senza una risposta definitiva. Il motivo è la situazione delle fonti francescane, cioè di quella ventina di opere sulle vicende biografiche di Francesco composte nei decenni successivi alla sua morte le quali presentano palesi difformità e vere e proprie contraddizioni. Lo mise in luce per primo lo storico francese Paul Sabatier con la sua Vita di San Francesco del 1894, dando origine alla cosiddetta "questione francescana" e subendo il subitaneo inserimento nel famigerato Indice dei libri proibiti della Chiesa cattolica. Ma i problemi non si risolvono con la censura e la violenza, e infatti a distanza di oltre un secolo la questione sollevata da Sabatier rimane del tutto intatta. Non a caso Alessandro Barbero nel suo recente libro su san Francesco pubblicato da Laterza ha scelto di non presentare "la" biografia del santo, ma di analizzare sette diverse versioni della sua vita, affermando all'inizio: «Certamente non mi illudo di essermi avvicinato più di altri a stanare il "vero" Francesco»; e concludendo alla fine: «L'enorme sforzo profuso dall'Ordine francescano per conservare la memoria di Francesco ha finito per creare non tanto il ricordo di un uomo veramente esistito, quanto un personaggio dell'immaginario collettivo».
In questa società che
vive sempre più di immagini individuali prodotte artificialmente dalla
potentissima industria dell'intrattenimento, l'immaginario collettivo è molto
importante e va nutrito, se non vogliamo perdere del tutto il fatto di essere
una collettività, una società, forse addirittura una civiltà. E che tale
immaginario collettivo venga nutrito tramite la figura di Francesco d'Assisi è
una scelta, a mio avviso, assai felice, perché in questo mondo dove tutto
sembra sottoposto alla logica del denaro e del potere, la figura di questo
santo testimonia da otto secoli che l'esistenza umana si compie davvero quando
vive onestamente in funzione di qualcosa di più grande di sé e di più grande
del potere.
Il punto di svolta nella
sua vita fu l'incontro con la povertà più sconvolgente, quella dei lebbrosi. In
un imprecisato giorno d'autunno del 1205 Francesco, allora ventiquattrenne,
vide un lebbroso, scese da cavallo e lo baciò. Il risultato fu un radicale
cambiamento interiore, descritto così nel suo Testamento del 1226: «E di poi,
stetti un poco e uscii dal mondo». Dicendo «uscire dal mondo» Francesco
intendeva l'ingresso nella vita religiosa, ma, come ha scritto padre Balducci, egli «in realtà entrò nel mondo proprio nel
momento che ne uscì». È nell'incontro con il dolore, infatti, che si attua la
più profonda e più autentica comunione con la realtà che chiamiamo mondo.
Prendersi cura del dolore e delle sue vittime produce quell'inaspettato
cambiamento dell'intenzione del cuore e dello sguardo sul mondo che porta a
riconoscere ciò che veramente conta nella vita e ad abbandonare le futilità. Ma
c'è un incredibile paradosso: che la presa in carico del dolore produce in chi
la compie l'opposto, cioè il sorgere della gioia. Per questo Francesco
prescrisse nella Regola non bollata del 1221: «E si guardino i frati dal
mostrarsi tristi all'esterno e oscuri in faccia come gli ipocriti, ma si
mostrino lieti nel Signore e giocondi e garbatamente allegri». Penso sia
precisamente questa stretta connessione tra dolore e vera gioia la prospettiva
da cui emerge la preziosità di san Francesco e della sua festa per chiunque
abbia ancora fiducia nell'umanità e nella sua capacità di bene.
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