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sabato 25 gennaio 2025

IL LIETO ANNUNCIO

 


 -DOMENICA 

26 GENNAIO 2025-


- Vangelo Lc 1, 1-4; 4, 14-21





-  Commento delle Clarisse di Sant'Agata -

Il cuore della liturgia di questa terza domenica del Tempo Ordinario è senza dubbio la Parola di Dio; come ci testimonia la Prima lettura, il Vangelo e anche la sapienza della Chiesa che proprio oggi ci fa celebrare la domenica della Parola.

 Questo tempo ordinario è cominciato domenica scorsa con il racconto tratto dal Vangelo di Giovanni del primo segno che Gesù ha compiuto a Cana di Galilea.  Da oggi il nostro percorso assume lo sguardo dell’evangelista Luca.  L’anno liturgico però va sempre compreso come un itinerario che la Chiesa ci fa fare, perciò, anche se con uno sguardo diverso e attraverso la voce di due differenti evangelisti, è importante leggere il brano del Vangelo di oggi in continuità con quello di domenica scorsa.  Anche nel racconto di Cana abbiamo visto come il vero segno compiuto da Gesù fosse la sua Parola, accolta e attuata dai servitori. Abbiamo inoltre compreso che c’è un’“Ora” nella vita di Gesù, nella quale tutto giungerà a compimento. 

Luca ci fa fare un passo ulteriore, dice che quell’ora non riguarda il passato (quel giorno in cui Gesù è morto e risorto), ma il presente: ‹‹Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato›› (Lc 4, 21).   La Parola di Dio, ci dice l’evangelista Luca, non si è compiuta solamente duemila anni fa. La Parola, che è la vita di Gesù, si sta compiendo anche in questo momento nella nostra storia. Come a Cana, il punto sta nel riconoscere nella storia questo compimento.  Se guardiamo a ciò che sta avvenendo nel mondo con guerre, divisioni e sopraffazione, ci sembra impossibile credere nella ‹‹solidità degli insegnamenti›› di Gesù (Lc 1, 4), tutto ci sembra, al contrario, estremamente fragile e privo di senso. 

Davanti al Vangelo di oggi si ha un’impressione analoga.  Gesù parla del compimento di una parola, quella del Profeta Isaia: ‹‹Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l'anno di grazia del Signore››. Siamo all’inizio del Vangelo di Luca, Gesù ha già ricevuto lo Spirito (nel Battesimo al Giordano) per questo può dire che lo Spirito del Signore è sopra di lui.  Questo è solido, ci crediamo, ma c’è qualcosa che non torna nella lettura di questa profezia di Isaia... perché nella narrazione di Luca Gesù ancora non ha portato nessun annuncio ai poveri, non ha proclamato la liberazione di prigionieri, non ha ridato la vista ai ciechi, non ha liberato gli oppressi. Ma allora in che senso dice che questa Parola si è compiuta?  Proprio come abbiamo fatto a Cana di Galilea, dobbiamo prendere coscienza di qualcosa che non è immediatamente visibile, dobbiamo capire in che modo la Parola si compie quando Gesù la pronuncia. 

Un’immagine che dice bene questo e che, non a caso, viene adottata dagli Evangelisti per parlare della Parola è quella del seme: un seme contiene già in sé stesso ciò che diventerà.  Questo ci dice molto della nostra relazione con il Signore, ci fa comprendere cos’è la Parola di Dio nella vita di un cristiano. Il Vangelo ci dice che nel momento in cui accogliamo la Parola di Dio, riconosciamo il suo valore performativo, riconosciamo cioè che la Parola stessa darà forma alla nostra vita impegnandoci a prendere quella forma, che poi è la vita stessa di Gesù.  Accogliere la Parola dunque è lasciarsi formare da essa, prima ancora di aderivi pienamente con la fede. Gesù può dire che quella Parola è compiuta perché, con il suo ministero, ha iniziato ad aderirvi. La Parola è un seme nascosto, germoglia e cresce in noi, tante volte senza che noi ce ne accorgiamo (Mc 4,27). Anche per Gesù è stato lo stesso: scegliendo di aderire alla volontà del Padre, questa ha plasmato in Lui ciò che sarebbe diventato. Per questo può dire che la parola di Isaia si è compiuta, non perché si sia verificata materialmente in quell’occasione, ma perché Gesù, con il dono dello Spirito sta aderendo a quella Parola, sta scegliendo di farsi formare da essa. 

Questo vale per ogni parola profetica: la profezia non immagina una realtà che non esiste, ma crede in ciò che non si vede, convinta che ciò che è nascosto, come il seme nella terra, ha il potere di dare una nuova forma alla realtà.  Gesù nella Sinagoga non solo legge cosa sarà di lui, ma crede a quello che il Padre ha pensato per Lui e lo diventa prima ancora che la sua ora si compia. C’è poi un altro particolare molto interessante nel Vangelo di oggi: il suo incipit.  È un caso unico che l’Evangelista renda esplicito l’intento del suo Vangelo.  Non ci viene detto il nome di chi scrive, sappiamo solo che è un cristiano come noi.  Non è un discepolo della prima ora, non ha conosciuto Gesù personalmente, ci dice addirittura che non è stato tra i testimoni oculari. Come noi ha conosciuto Gesù grazie alla testimonianza di altri. 

Solitamente ci si sofferma sulla seconda parte del brano di oggi, come abbiamo fatto fin ora, ma credo che questi primi versetti siano oltremodo importanti per comprendere il modo in cui la Parola può coinvolgere la nostra vita. Questo incipit ci dice, come quello che seguirà, che la Parola di Gesù non è attuale solo nel contenuto, ma anche nella scelta dei destinatari.  La Parola non ha trasformato solo la vita di quei dodici uomini che hanno vissuto con lui duemila anni fa. Coinvolge l’Evangelista che si fa erede della testimonianza di altri, coinvolge noi se ci lasciamo cambiare da questa Parola, se diventiamo “Teofili”, amanti di Dio.

Credo che qui sia il messaggio centrale della vita cristiana: Dio è amore (1Gv 4,8) e la nostra conoscenza di Lui non può che percorrere questa sua stessa strada. Eh sì, perché aderire alla sua Parola, lasciarsi plasmare da essa, credere nella sua potenza nascosta è come innamorarsi, è cogliere quello che gli altri non vedono, è scorgere dentro ogni cosa il mistero di Dio. 

Clarisse di Sant’Agata

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sabato 12 maggio 2018

ANDATE E PREDICATE!

Mc 16, 15-20
Dal Vangelo secondo Marco
15E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. 16Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, 18prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». 19Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. 20Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.


Gesù, lasciando la terra, ha consegnato a noi il compito non soltanto di vivere il suo Vangelo, ma di predicarlo e farlo conoscere con i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre azioni.
“Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto”.
È la chiusura del vangelo di Marco che ci viene proclamata nella Solennità dell’Ascensione. Gesù, prima di lasciare la terra, saluta gli Undici (non c’è Giuda e non c’è ancora il suo sostituto: Mattia), che ci rappresentano tutti e nei quali tutti dobbiamo ritrovarci. Bellissima questa immagine! Gesù chiude la sua esperienza terrena salendo al cielo, cioè rientrando nella sua dimensione divina, e i suoi discepoli partono a portare il vangelo dappertutto. Accadde proprio così e in pochissimo tempo – cosa che gli storici non riescono a spiegare – l’annuncio del Vangelo giunse oltre i confini dell’impero romano.
Quello che accadde “in quel tempo” è ciò che dovrebbe accadere “nel nostro tempo”.
«Ma come può accadere? Noi non stiamo sul monte dell’Ascensione!».
Ogni volta che lasciamo l’incontro con il Signore Gesù, prima di tutto nella Messa dove l’incontro è “reale e fisico”, ma anche negli altri sacramenti, nella preghiera, nonché nelle opere di carità, dovremmo partire e predicare dappertutto, cioè dovunque ci troviamo a vivere e a operare: la famiglia, il lavoro, gli amici… Partire significa passare dall’incontro con il Signore all’incontro con i fratelli. Predicare non vuol dire andare in giro a fare prediche, ma far conoscere attraverso i nostri pensieri, le parole, le azioni il messaggio e la logica del vangelo.
Accade questo?
Certamente! Non mancano mai persone di ogni età e condizione che, mosse dallo Spirito, vivono la fede in modo “missionario”. Però succede troppo poco, perché la fede non viene vissuta come un “mandato missionario”, come una consegna per far conoscere Gesù, ma come un dovere personale da assolvere, offrendo al Signore la Messa, la preghiera, l’opera di carità. In questo modo, la fede viene concepita e vissuta come “spazio ricavato”, spesso frettolosamente e senza gioia, tra attività per le quali il vangelo non è luce ed energia per i pensieri, le parole, le azioni. È praticamente un debito da saldare, non un compito da svolgere. Così dall’incontro con il Signore torniamo a fare quello che abbiamo fatto sempre, e come lo abbiamo sempre fatto.
È necessario tornare al monte dell’Ascensione. Questa è la grande conversione riscoperta e rilanciata dal Concilio Vaticano II e da numerosi documenti dei Vescovi di tutto il mondo, in primis italiani, che però fa una grande fatica a realizzarsi e ad affermarsi. La Chiesa Italiana, le Diocesi, le Parrocchie devono trasformarsi da luoghi in cui si va a “regolare i propri debiti” con il Signore a “luoghi di incontro” con il Signore, che possano rifornire di nuova energia i doni che lo Spirito ha dato a ciascuno, come ci ricorda San Paolo: «… egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo».
«Ma in quel tempo il Signore “agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”, nel nostro tempo invece…»
Oggi agisce allo stesso modo anche con noi se andiamo predicare, come conferma la testimonianza di tanti cristiani che, vivendo la fede così, realizzano cose che a noi sembrano impossibili. Gesù, infatti, “seduto alla destra di Dio”, asceso al cielo e tornato nella sua dimensione divina, può essere accanto a noi dovunque e sempre, mantenendo fede alla sua promessa: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).
Don Tonino Lasconi