Innovazione, inclusione, digitale... La formazione non arricchisce soltanto il docente neoassunto, ma anche la comunità scolastica nel suo insieme. L’auspicio è che continui a essere anche un momento di formazione continua.
Nel Patto formativo tra il docente e la comunità educante si inserisce il ruolo del dirigente chiamato a valutarlo e la figura del “tutor”, un collega esperto che affianca l’aspirante insegnante nell’anno di prova.
Dal
2015, dall’avvio della riforma nota come “Buona scuola”, che ha innovato l’anno
di formazione e prova, quasi un terzo degli insegnanti ha seguito programmi di
aggiornamento
In
otto anni 300mila tra maestri e prof, quasi uno su tre, sono tornati «sui
banchi» per migliorare competenze e capacità didattica. Un’iniezione di
professionalità. E non solo
Dal
2015 ad oggi sono stati 292.440 i docenti neoassunti che hanno svolto l’anno di
prova secondo il modello della “Buona scuola”. Per oltre l’80% si tratta di
donne, per il 44% con un’età compresa tra i 35 e i 44 anni e rappresentano
circa il 30% di tutti gli insegnanti attualmente in servizio in Italia. In
prevalenza (60%) lavorano nelle scuole del primo ciclo (primaria e secondaria
di primo grado), mentre circa il 30% insegna alla secondaria di secondo grado e
un restante 20% circa alla scuola dell’infanzia (in crescita nell’ultimo
quinquennio). Questo nuovo contingente di insegnanti è stato coinvolto
nell’anno di formazione che, tra le caratteristiche principali, ha la
sottoscrizione di un Patto formativo tra il docente in formazione e la comunità
educante in cui si inserisce, un «ruolo incisivo» del dirigente scolastico
chiamato a valutarlo e la figura del docente “tutor”, un collega esperto che
affianca l’aspirante insegnante nell’anno di prova.
Al centro di questo percorso c’è la costruzione del Curriculum formativo, per favorire la «costruzione dell’identità professionale del docente», chiamato a «crescere attraverso la riflessività». « Da dove vengo come insegnante?», «Dove sono e come agisco ora?», «Come voglio diventare nella mia professione futura?», sono, allora, le domande che gli aspirati docenti sono stimolati a porsi, per arrivare a una nuova consapevolezza del proprio ruolo e della propria funzione nella società. Una riflessione che, in seguito, potranno portare nella scuola dove insegneranno, “contaminando” in positivo i colleghi. «In questo giocherà un ruolo chiave l’intraprendenza del legislatore nell’articolare il nuovo sistema di formazione continua incentivata – spiega Maria Chiara Pettenati nell’introduzione – ma è certamente da qui che il nostro Paese deve passare se vuole procedere spedito verso il perseguimento del Goal-4 dell’Agenda 2030 “Assicurare un’istruzione di qualità equa ed inclusiva e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti”».
Ai nuovi 300mila insegnanti, insomma, si chiede di portare nella scuola «vivacità
e nuove idee», contribuendo a far sedimentare la «cultura dell’apprendimento
adulto permanente», azione strategica messa in campo dal Ministero
dell’Istruzione. « È evidente – si spiega nella ricerca dell’Indire – come
questa azione, consolidata ormai da diversi anni, abbia un impatto non solo sul
sistema d’istruzione ma anche su tutto il Paese. Investire nel capitale
professionale e culturale della scuola, rappresenta infatti un fattore fondamentale
nel continuo miglioramento delle metodologie didattiche, delle conoscenze e
delle competenze trasversali dei nostri insegnanti con l’obiettivo di avere
ricadute certe sulla crescita dei nostri ragazzi, preparandoli ai lavori del
futuro, in un contesto di società che è in continua evoluzione e sempre più
globale».
La
formazione non arricchisce soltanto il docente neoassunto, insomma, ma anche la
comunità scolastica nel suo insieme. «L’auspicio – spiegano gli esperti
dell'Indire – è che continui ad essere anche un momento di formazione
continua». Su quali argomenti e con quali contenuti, sono gli stessi insegnanti
a suggerirlo, elencando una serie di “bisogni formativi”. Al primo posto ci
sono le “metodologie didattiche innovative” capaci di appassionare gli studenti
rendendoli davvero protagonisti del processo di apprendimento, ma anche
“l’inclusione e i bisogni formativi speciali degli alunni”.
Dopo
l’esperienza della pandemia e della Didattica a distanza, i nuovi docenti
chiedono di essere formati nelle “competenze digitali”, ma anche nei “bisogni
legati alla relazione” (con gli studenti, i colleghi, i genitori…), anch’essa
segnata in profondità da due anni di lezioni online. L’interesse dei docenti si
rivolge in particolare a quelle opportunità di formazione che sembrano
finalizzate al miglioramento della propria professionalità all’interno della
scuola. Meno frequentati, invece, i temi che fanno riferimento al mondo esterno
rispetto alla realtà scolastica (ad eccezione della relazione con i genitori)
soprattutto per quanto riguarda la scuola per l’infanzia e la primaria. Anche
gli aspetti della professione che hanno a che vedere con il contesto socioeconomico
– è spiegato nel rapporto – come, ad esempio, il tema della dispersione
scolastica «non sembrano catturare particolarmente l’interesse dei docenti». Un
punto, quest’ultimo, su cui l’intero sistema si dovrebbe interrogare, alla luce
dei dati che dicono come, in Italia, vivano un milione e 382mila minori in
povertà assoluta, la dispersione scolastica sia al 12,7% e i giovani tra i 15 e
i 29 anni senza scuola, formazione o lavoro rappresentino il 23,1% del totale,
più che in ogni altro Paese europeo. Per migliorare queste “classifiche” è,
dunque, quanto mai necessaria una nuova generazione di insegnanti appassionati
e contenti del proprio lavoro.
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