Dalla distruzione
della ragione
alla bellezza del pensare
La capacità di comprensione dei testi è stata distrutta da una prassi didattica in cui il docente è a rimorchio delle antologie.
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di Monica Bottai
Potenziare
la capacità di comprensione dei testi è da tempo diventato l’obiettivo centrale
di ogni docente di italiano, soprattutto alla scuola secondaria, dove
imperversano test, sondaggi, statistiche, che spesso servono soltanto a dare
visioni angoscianti e non sempre veritiere dei nostri ragazzi. Tuttavia,
proviamo adesso ad interrogarci sul nostro modo di sostenere lo sviluppo di
questa competenza essenziale per essere uomini e donne consapevoli di se stessi
nel mondo.
Purtroppo,
dobbiamo ammettere che l’impostazione didattica tradizionale difficilmente
favorisce lo sviluppo della capacità di comprensione. Innanzitutto, le nostre
antologie sono ricche di brani accompagnati da sequenze di esercizi, batterie
di domande o proposte di attività non efficaci in tal senso: dal brano
introduttivo, che spiega al lettore il contenuto del testo (personaggi,
questione centrale, etc.); alle sottolineature nel testo stesso, che guidano
meccanicamente l’attenzione dello studente; al commento successivo, che offre l’interpretazione
del brano o ne spiega i temi; agli esercizi che guidano lo studente verso
l’unica risposta corretta possibile; fino ai compiti di realtà che, al di là
della loro stereotipia, prendono soltanto spunto dal testo in oggetto, senza
guidare lo studente ad un approfondimento dei suoi significati. Quindi, tutte
queste attività sono (forse) utili per capire e memorizzare, non per comprendere;
sono (forse) utili per gli studenti (pochi) già abili, non per chi è in
difficoltà.
La
comprensione reale, profonda, significativa di un testo non è automatica né
meccanica: essa nasce da azioni reali, personali, autonome di chi legge, in
relazione a qualcuno che prepara l’innesco di specifiche dinamiche cognitive ed
emotive. Infatti, nella comprensione, sono attivati numerosi processi del
pensiero (cfr. una ricerca condotta dal Project Zero della Harward Graduate
School of Education, in AAVV, Making Thinking Visible, New York 2011), che necessitano
di allenamento con una serie di vere e proprie routine (insegnabili,
applicabili, ripetibili, sequenziali e progressive) da proporre con costanza,
per introdurre gli studenti alla bellezza della complessità del pensare e al
ruolo di protagonisti che loro assumono in questo percorso.
Per
chi applica il Reading Workshop (cfr in particolare, Atwell N., In the Middle:
a lifetime of learning about writing, reading and adolescents, Portsmouth 2015;
Poletti Riz J. e Pognante S., Educare alla lettura con il WRW, Erickson 2022;
Serafini F., The reading Workshop: creating space for readers, Portsmouth 2001;
Serravallo J., The reading strategies book, Portsmouth 2015) queste routines
guidano l’educazione alla lettura intesa come processo di una vita di classe
che si fa laboratorio (una vera reading zone), in cui tre sono i momenti
essenziali: la lettura ad alta voce del docente, la lettura autonoma dello
studente, le strategie di lettura attiva, che danno corpo alle routines di
pensiero. Tutto questo è centrato sull’esempio (modeling) del docente, che per
primo vive l’esperienza che propone, in particolare attraverso due aspetti:
porre domande e fare connessioni.
Niente
è più interessante e provocatorio di un docente personalmente coinvolto nella
lettura, tanto da connettere il testo alla propria esperienza e porsi domande
davanti ai propri alunni, invitando ad un dialogo sincero. Spesso facciamo
domande che spaventano o che sono ovvie o che contengono già indicazione della
risposta: fare le domande giuste al momento giusto è un’arte da imparare (cfr.
Chambers A., Il lettore infinito. Educare alla lettura fra ragioni ed emozioni,
Equilibi 2015; Id., Siamo quello che leggiamo, Equilibi 2011); servono domande
autentiche, aperte a diverse possibilità di risposta, generatrici di altre
domande. Per questo la lettura a voce alta del docente è il cuore del
laboratorio: in quel momento i ragazzi imparano “come si fa”, vedendo come chi
legge muove il proprio pensiero e il proprio cuore dentro al testo (thinking
talking, thinking aloud); le scelte dei personaggi, i conflitti, i temi, i
simboli, le connessioni col mondo, tutto avviene davanti ai ragazzi in modo
vivo, non dentro i commenti dell’antologia, tramite le note, i pensieri, le
reazioni del docente, quasi per immersione. Leggere diventa dunque avvenimento,
guardando chi legge.
Capiamo
bene quindi che parlare di routine e strategie e organizzatori grafici (altra
parola tipica del Wrw, Writing and Reading Workshop) non indicano procedure
meccaniche che sostituiscono gli altrettanto meccanici esercizi dei nostri
libri in adozione; sono invece qualcosa che permette allo studente di imitare
il prof, sperimentandosi con il proprio testo (scelto, non imposto); sono il
supporto con cui lo studente impara a sciogliere i nodi del proprio pensiero e
a dare forma al proprio giudizio personale sul testo.
In
tal modo, l’interpretazione del testo diventa cruciale (non il cappello finale
a precedenti analisi esteriori formali), perché il dialogo fra studente e testo
è reale e vivo. Come fare perché essa non sia fuorviante o non generi
fraintendimenti? Non esiste una soggettività assoluta davanti al testo e il
“come lo sai?” diviene domanda ineludibile per i giovani lettori, che vivono il
confronto con l’alterità, cioè l’autore stesso del testo.
Ancora
una volta, una domanda rilancia ed amplia l’orizzonte delle infinite
possibilità ed il docente per primo dovrà avere il coraggio di navigare tenendo
la rotta, ma anche disponibile a seguire percorsi imprevisti. E ancora una
volta siamo noi prof a doverci interrogare…
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