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giovedì 13 giugno 2024

SINODALITA' VISSSUTA

 

DICASTERO PER I LAICI, LA FAMIGLIA E LA VITA

Vaticano, 13 giugno 2024

La sinodalità, il nostro stare insieme e camminare insieme, non è mai fine a sé stessa ma va cercata e vissuta.

Incontro annuale con i Moderatori delle associazioni di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità (Aula Nuova del Sinodo, giovedì 13 giugno 2024, ore 11.00)

Introduzione di S.Em. il Cardinale Kevin Farrell

Un cordiale saluto a tutti voi, Moderatori e Delegati delle associazioni internazionali di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità.

1. Le ragioni del Sinodo

In questa giornata rifletteremo sul tema della sinodalità così da partecipare sempre meglio al cammino comune che la Chiesa sta percorrendo. È importante, perciò, comprendere e fare proprie le ragioni che hanno ispirato il Santo Padre nell’impegnare la Chiesa in un Sinodo sulla sinodalità.

Ne richiamo solo due:

 a. Anzitutto l’accento sulla sinodalità. In un recente incontro con l’Azione Cattolica, il Santo Padre ha affermato: «la cosa più importante di questo Sinodo è la sinodalità. Gli argomenti, i temi, sono per portare avanti questa espressione della Chiesa, che è sinodalità. Per questo c’è bisogno di uomini e donne sinodali, che sappiano dialogare, interloquire, cercare insieme» (Discorso all’Azione Cattolica Italiana, 25 aprile 2024). Il Sinodo non è stato voluto per trattare argomenti e temi specifici, né per introdurre 1 cambiamenti dottrinali o pastorali.

Al centro del Sinodo c’è la stessa sinodalità come modo di essere della Chiesa. Il Papa vorrebbe che fosse vissuta sempre di più e sempre meglio, perché è convinto che la sinodalità tocca l’essere stesso della Chiesa, prima ancora che il suo agire.  Un risultato bello di questo lungo Sinodo sarebbe quello di avere suscitato in tutti, pastori e fedeli, il desiderio della sinodalità. Che possano esserci nella Chiesa, come dice il Papa, uomini e donne sinodali che hanno, come modo normale di agire, l’abitudine al dialogo, all’ascolto reciproco, a ricercare insieme soluzioni ai problemi. 

b. Il secondo aspetto è il legame fra Sinodo e Concilio Vaticano II.

Il Santo Padre non considera la sinodalità come una novità introdotta nella Chiesa in questi anni. Si tratta, invece, di continuare quanto iniziato nel Concilio Vaticano II, al cui centro c’è la dottrina della Chiesa come Popolo di Dio, che ha valorizzato la comune dignità e missione di tutti i battezzati (cfr. LG 10, 13). Per questo il Sinodo sulla sinodalità cerca di “risvegliare” il Popolo di Dio, richiamandolo alla sua vocazione, così come il Concilio l’ha messa in luce. Si vuole coinvolgere il Popolo di Dio nel processo di discernimento della situazione attuale della Chiesa, coinvolgerlo nell’assumersi una nuova responsabilità ad ogni livello nella Chiesa, coinvolgerlo nel partecipare alla missione evangelizzatrice a servizio degli uomini di oggi.

2. La sinodalità e i movimenti

Questo ritorno al Concilio e la sua implementazione attraverso l’attuale Sinodo sono particolarmente importanti per voi qui presenti. Molti dei vostri movimenti sono frutto del Concilio. Perciò, per voi, vivere  l’attuale processo sinodale, significa tornare al Concilio e, al tempo stesso, alle origini della vostra storia. Inoltre, voi avete un compito importante nell’attuale processo sinodale e nel lavoro che si sta facendo per riscoprire il dialogo, l’ascolto, il discernimento comunitario, l’apostolato condiviso. Queste, infatti, sono dimensioni della sinodalità che voi già da tempo avete imparato a vivere. Siete stati aiutati in questo, dalla dimensione comunitaria che si vive all’interno delle vostre associazioni, per cui per voi è naturale confrontarsi, progettare insieme le attività di apostolato, dividersi fra tutti i compiti nella missione e fare anche una revisione comune per valutarne i frutti. Questa ricchezza di esperienza siete chiamati a condividere con la Chiesa e ad essere “fermento di sinodalità” nelle più vaste comunità ecclesiali dove vi trovate a vivere e a collaborare: la parrocchia, le diocesi, gli organismi ecclesiali nazionali o continentali.  Allo stesso tempo, riflettere più a fondo sulla costitutiva dimensione sinodale della Chiesa può essere di grande aiuto per voi laddove vi rendete conto che alcune vostre prassi non sono ancora vissute in modo pienamente sinodale.

Per questo rileggere alla luce della sinodalità la vostra vita ordinaria, le vostre strutture di governo e le vostre attività missionarie, sarà di grande beneficio anche per voi. Il cammino sinodale, per voi movimenti e associazioni, può essere molto utile per creare uno spirito di vicinanza, di comunione e di sincera collaborazione con i vostri pastori. Allo stesso modo, da parte dei pastori, il cammino sinodale può essere utile per conoscere meglio associazioni e movimenti, che in numerosi casi sono presenti da anni nelle loro diocesi, molto prima del loro arrivo. Anche i pastori, perciò, possono imparare a camminare insieme ai movimenti, a comprendere le loro specificità, i loro doni e la ricchezza di contenuti, di metodi, di forze vive missionarie che essi portano in diocesi.

3. Sinodalità e missione

Nel tema scelto per questo incontro si parla del legame fra sinodalità e missione e si dice che rappresenta una “sfida”: “La sfida della sinodalità per la missione”. È un legame che possiamo trovare già nei testi del Concilio. Nella Lumen Gentium, ad esempio si afferma che: «Il Popolo di Dio … è costituito da Cristo per la comunione di vita, di carità e di verità», questa è la sinodalità! «… ed è inviato a tutti gli uomini come luce del mondo e sale della terra» (LG 9), questa è la missione!

Vi invito a riflettere sull’origine e sulla natura di questo legame forte fra sinodalità e missione che si vive nei movimenti. Prenderne coscienza, metterlo bene a fuoco, vi aiuterà a viverlo meglio e soprattutto a non lasciare che si spenga.  Certo è che vivere la sinodalità in vista della missione rimane sempre una sfida. È facile infatti ritornare all’individualismo, ripiegarsi su di sé e abbandonare la sinodalità, la fede vissuta insieme, il cammino comune ecclesiale.

E così pure è facile perdere l’orientamento alla missione, perché può prevalere la nostra comodità personale e il quieto vivere (essere discepoli missionari è sempre scomodo!), può prevalere il conformismo alla mentalità del mondo, il timore, la rassegnazione, l’abitudine a quello che si è sempre fatto, etc. 

 Aggiungo un ultimo pensiero.

La sinodalità non si attua inserendo semplicemente alcuni laici, uomini e donne, nei “luoghi di potere” della Chiesa, oppure creando appositamente nuovi organismi per mostrare che i laici sono maggiormente coinvolti nei processi decisionali. Non si tratta nemmeno di riempire con i laici i vuoti delle parrocchie, delle diocesi, delle associazioni e movimenti. In questo modo si finirebbe per “clericalizzare” i laici, come il Papa spesso ci avverte. La sinodalità, e la comunione che essa promuove nella Chiesa, deve servire, invece, per camminare realmente insieme – laici e pastori, carismi e istituzioni ecclesiali – e trovare insieme la strada che lo Spirito ci indica per portare avanti, con nuovo slancio, la missione evangelizzatrice della Chiesa.

 In definitiva, come indica il titolo del nostro incontro, è importante che ci ricordiamo gli uni gli altri, che la sinodalità, il nostro stare insieme e camminare insieme, non è mai fine a sé stessa ma va cercata e vissuta perché, insieme, andiamo “fino ai confini della terra” (At 1,8), come Gesù ci ha detto, perché raggiungiamo quei nostri fratelli e sorelle che attendono la luce consolante del Vangelo.  Mi auguro che questa giornata di riflessione e di comunione ecclesiale sia di aiuto per tutti voi, per il vostro cammino, per la vostra missione.

 Grazie del vostro ascolto.


AGIRE CON CARITA'

 


DICASTERO PER I LAICI, LA FAMIGLIA E LA VITA

INCONTRO ANNUALE ASSOCIAZIONI DI FEDELI E MOVIMENTI ECCLESIALI

SANTA MESSA  (Basilica di San Pietro – 13 giugno 2024 – ore 8:00)

OMELIA DEL CARD. FARRELL

Cari fratelli e sorelle, Gesù pone una condizione esigente per entrare nel Regno dei cieli: avere una giustizia superiore a quella di scribi e farisei.

I farisei, pur essendo molto osservanti, pensavano quasi esclusivamente al rapporto con Dio, cioè, possiamo dire, la loro “giustizia” si concentrava sulla dimensione verticale dell’amore, trascurando però la relazione con gli altri, la dimensione orizzontale. 

Per illustrare il suo insegnamento su questo tema, Gesù accenna a tre atteggiamenti che ci separano dal fratello: adirarsi con lui, chiamarlo “stupido”, chiamarlo “pazzo”. Sono tre gradi progressivi di condanna: allontanare da sé il fratello con l’ira; considerare le sue idee di poco valore; presumere di entrare nell’intimo della sua coscienza, arrivando a svalutare persino la sua relazione con Dio, considerandola falsa, superficiale e ipocrita.

Queste parole Gesù le pronuncia commentando il quinto comandamento: “non uccidere”. Fa comprendere così che si può “uccidere” il fratello dentro di sé, cioè non materialmente, ma spiritualmente.

Disprezzare il prossimo e condannarlo senza appello è violare il quinto comandamento, è già “uccidere” il fratello nel proprio cuore. Gesù, dunque, invita ad andare oltre la “giustizia dei farisei”, cioè a superare la separazione fra il culto reso a Dio e la relazione con gli altri.

In Gesù tutto si trova unito: Egli è uomo e Dio, ama perfettamente il Padre e ama gli uomini. Si sente amato dal Padre suo e con lo stesso amore ama i fratelli: «come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi» dice nel Vangelo di Giovanni (Gv 15,9). Egli desidera portare Dio agli uomini, ma, allo stesso tempo, desidera portare gli uomini a Dio.

Se ci pensiamo bene, la “giustizia superiore”, di cui parla Gesù, è Lui stesso, è il suo modo di essere e di agire. Ma anche noi possiamo diventarne partecipi e questo ci consola! Infatti, chi ha creduto in Gesù e ha ricevuto da Lui lo Spirito Santo, diventa come Lui! Partecipa della sua “giustizia superiore”! Non separa più la relazione con Dio e quella con i fratelli. Diventa capace di amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come sé stesso. Questa ritrovata unità, quest’unico amore che abbraccia Dio e i fratelli, è il frutto più maturo della fede cristiana!

 Carissimi, nel prepararci a vivere questa giornata di riflessione sul tema della sinodalità missionaria, chiediamo la carità che è dono dello Spirito Santo perché nei nostri rapporti personali, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità ecclesiali, nutriamo sempre un sincero amore per i fratelli che il Signore ci ha messo accanto.

 Amen.


martedì 18 gennaio 2022

UT UNUM SINT


L'unità dei cristiani

 fondamento 

della fratellanza universale

Al centro della celebrazione della Settimana di preghiera per l'unità, che da oggi prosegue fino al 25 gennaio, troviamo l'esperienza dei magi a Betlemme. Il tema, scelto dalle Chiese del Medio Oriente, sollecita tutte le comunità a tornare alle origini, a Cristo, unica sorgente della loro vita. Ai nostri microfoni monsignor Brian Farrell, segretario del dicastero per la Promozione dell'Unità dei cristiani, ricorda che le diversità sono una ricchezza e l'unità ricercata non significa uniformità

- Adriana Masotti - Città del Vaticano

È un'occasione straordinaria per rimettere a fuoco la volontà di Gesù espressa nel Vangelo: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola", l'annuale Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani che quest'anno si svolge dal 18 al 25 gennaio. Al centro delle riflessioni dell'iniziativa è il versetto: “In Oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo”. Le parole, riportate dall'evangelista Matteo, si riferiscono ai magi o sapienti che, dalle loro terre lontane, si mettono in cammino e, seguendo la stella, trovano a Betlemme il Bambino. Melchiorre, Baldassarre e Gaspare - i nomi con cui appaiono nei Vangeli apocrifi - al di là delle apparenze umili, riconoscono in quel neonato un Re e, prostrati davanti a lui, lo adorano. 

La testimonianza di comunione tra i cristiani in Medio Oriente

A proporre le parole dei magi per la celebrazione della Settimana sono stati i cristiani di diverse tradizioni del Medio Oriente. Al Consiglio delle Chiese d'Oriente, infatti, il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei cristiani aveva affidato il compito della scelta del tema per il 2022. Al microfono di Vatican News, il vescovo irlandese monsignor Brian Farrell, segretario del dicastero, spiega il perché di questa decisione e quale messaggio le Chiese di quella regione hanno voluto rivolgere alle comunità di tutto il mondo:

Monsignor Farrell, per quali motivi è stato chiesto al Consiglio delle Chiese d'Oriente di scegliere il tema per la Settimana per l'unità dei cristiani di quest'anno?

Si sa che la Settimana di preghiera per l'unità esiste, in una forma o nell'altra, da oltre 100 anni, e da 50 anni esiste una collaborazione tra il Pontificio Consiglio per l'unità e il Consiglio ecumenico delle Chiese per cui ogni anno, alternativamente noi o loro, scegliamo un gruppo ecumenico o un gruppo di cristiani in un Paese o in una regione, per preparare il materiale. Nel 2020 il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente è sembrata una scelta molto azzeccata perché in quelle regioni c'è tanta sofferenza umana, guerre, povertà, mancanza di diritti, e allo stesso tempo tante Chiese di diverse tradizioni vivono insieme da sempre. Allora in quei luoghi c'è un ecumenismo vissuto naturalmente, quotidianamente, nella società e molte volte anche nelle famiglie. Il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente ha sede nella capitale libanese e quella terribile esplosione nel porto di Beirut dell'agosto 2020 ha portato tanta sofferenza: abbiamo pensato che lì c'era un messaggio per il mondo, per noi cristiani, e allora abbiamo deciso di coinvolgere questa volta i cristiani del Medio Oriente.

"In Oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo" è un tema che, ad un primo sguardo, sembra centrare poco con l'unità dei cristiani. Qual è il legame che lei vede, invece, tra questo episodio dei magi e la ricerca dell'unità?

Direi che, innanzitutto, l'episodio dei magi ci ricorda che questa è la regione in cui Cristo è nato, e la ricerca dell'unità dei cristiani porta frutto solo se Cristo è il centro, il criterio, la fonte dei nostri sforzi. Si tratta di ricomporre la comunione tra i seguaci di Gesù per la quale lui ha pregato la sera prima della sua passione. L'ecumenismo è obbedienza alla volontà di Cristo e ricordo quello che ha detto recentemente Papa Francesco: i magi viaggiano verso Betlemme, il loro pellegrinaggio parla anche a noi chiamati a camminare verso Gesù perché è lui la Stella Polare che illumina i cieli della vita e orienta i passi verso la gioia vera. Cioè l'ecumenismo, la ricerca dell'unità dei cristiani, avanza solo in quanto siamo tutti fedeli al Signore e questo è il punto fondamentale, secondo me.

Lei l'ha detto poco fa, la regione del Medio Oriente è la terra dove da sempre convivono cristiani di diverse Chiese e confessioni, ma a che punto è questa convivenza? Quale importanza avrebbe una maggiore comunione perché, forse, non è ancora perfetta...

Certo. La prima cosa da dire, secondo me, sarebbe che tutta la diversità dei riti e delle tradizioni e la storia dei cristiani del Medio Oriente, è una straordinaria ricchezza, una grazia che ci viene dalla Divina Provvidenza che ha diretto lo sviluppo delle Chiese in mezzo a vari popoli e culture dall'inizio. Non si tratta, pertanto, di cercare una uniformità tra tutti, ma una comunione, cioè la partecipazione di tutti insieme alla storia della salvezza. Il movimento ecumenico esiste proprio perché questo non si è realizzato, nel corso della storia è esistito il peccato della divisione e, in certe circostanze, gli interessi anche dottrinali degli uni hanno prevalso sugli altri. E allora, come ci ricorda il decreto sull'ecumenismo del Concilio Vaticano II, tale divisione non solo si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la predicazione del Vangelo ad ogni creatura. Bisogna dire che lì, in Medio Oriente, abbiamo la visione, l'orizzonte di cristiani di diverse tradizioni che vivono insieme, naturalmente si tratta di pregare e di lavorare perché questa comunione diventi sempre più forte.

Ecco, ma a che punto è questa esperienza di comunione?

In generale direi che viviamo da tanti anni un'esperienza di crescita, di comprensione e di riconciliazione tra tante Chiese e questo si vede chiaramente anche in Medio Oriente dove concretamente davanti a tante sfide, a tante sofferenze, davanti anche, alle volte, alla morte e alle guerre, i cristiani sono solidali gli uni con gli altri, si aiutano. Io vedo che da tanti anni c'è tutta una nuova situazione in cui non c'è più rivalità e conflitto tra le Chiese ma piuttosto cooperazione e solidarietà.

Qual è il messaggio principale o la sollecitazione più forte che i cristiani d'Oriente rivolgono a tutte le comunità del mondo attraverso il tema che hanno scelto per questa Settimana di preghiera per l'unità?

Credo che l'invito principale che i testi della Settimana ci presentano sia quello di tornare alle origini, cioè a Cristo. Non ridurre la Chiesa ad una organizzazione umana in più, ad una forza politica o culturale, ma fare dell'incontro con il mistero rivelato nella culla di Betlemme, la storia appunto dei magi, il centro di tutta la vita e degli sforzi delle Chiese. Preghiamo per l'unità dei cristiani, ma non si tratta di una unità di interessi o di strategie o di politiche, ma un'unità in cui il Vangelo diventa la regola della nostra vita e l'impegno di fare dell'insegnamento di Gesù, soprattutto l'amore di Dio e del prossimo, la vera strada della nostra vita. Secondo me, questo è l'invito principale che i testi di quest'anno ci presentano.

Quale rapporto c'è, a suo parere, tra l'unità tra le Chiese cristiane e la fratellanza universale e la pace nel mondo, tanto richiamate da Papa Francesco e sentite così necessarie oggi?

Grazie per questa domanda perché la trovo molto appropriata. Ricorderemo che nell'enciclica Fratelli tuttidavanti a un mondo confuso, diviso, un mondo in cui c'è perfino tanto scarto degli esseri umani, Papa Francesco ci chiede di sognare e di lavorare per la rinascita di un senso di fraternità universale che sarebbe conseguenza di un cuore aperto a tutti. Questo, secondo me, è il contesto giusto per capire l'ecumenismo e per capire i rapporti ecumenici: si tratta tra i cristiani di passare dal mutuo rifiuto, dalla divisione, dal conflitto alla mutua comprensione, al rispetto, alla solidarietà e alla cooperazione. Quanto più i cristiani delle diverse Chiese si riconciliano, tanto più saranno segno e strumento dell'unità della famiglia umana, della fraternità universale. Questa è, secondo quello che ci insegna il Papa, l'unica via perché avvenga la pace e la giustizia, perché ci sia un futuro migliore per le generazioni a venire. L'unità dei cristiani, dunque, è un fattore indispensabile per la costruzione di quel mondo futuro.

Vatican News