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martedì 18 gennaio 2022

UT UNUM SINT


L'unità dei cristiani

 fondamento 

della fratellanza universale

Al centro della celebrazione della Settimana di preghiera per l'unità, che da oggi prosegue fino al 25 gennaio, troviamo l'esperienza dei magi a Betlemme. Il tema, scelto dalle Chiese del Medio Oriente, sollecita tutte le comunità a tornare alle origini, a Cristo, unica sorgente della loro vita. Ai nostri microfoni monsignor Brian Farrell, segretario del dicastero per la Promozione dell'Unità dei cristiani, ricorda che le diversità sono una ricchezza e l'unità ricercata non significa uniformità

- Adriana Masotti - Città del Vaticano

È un'occasione straordinaria per rimettere a fuoco la volontà di Gesù espressa nel Vangelo: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola", l'annuale Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani che quest'anno si svolge dal 18 al 25 gennaio. Al centro delle riflessioni dell'iniziativa è il versetto: “In Oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo”. Le parole, riportate dall'evangelista Matteo, si riferiscono ai magi o sapienti che, dalle loro terre lontane, si mettono in cammino e, seguendo la stella, trovano a Betlemme il Bambino. Melchiorre, Baldassarre e Gaspare - i nomi con cui appaiono nei Vangeli apocrifi - al di là delle apparenze umili, riconoscono in quel neonato un Re e, prostrati davanti a lui, lo adorano. 

La testimonianza di comunione tra i cristiani in Medio Oriente

A proporre le parole dei magi per la celebrazione della Settimana sono stati i cristiani di diverse tradizioni del Medio Oriente. Al Consiglio delle Chiese d'Oriente, infatti, il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei cristiani aveva affidato il compito della scelta del tema per il 2022. Al microfono di Vatican News, il vescovo irlandese monsignor Brian Farrell, segretario del dicastero, spiega il perché di questa decisione e quale messaggio le Chiese di quella regione hanno voluto rivolgere alle comunità di tutto il mondo:

Monsignor Farrell, per quali motivi è stato chiesto al Consiglio delle Chiese d'Oriente di scegliere il tema per la Settimana per l'unità dei cristiani di quest'anno?

Si sa che la Settimana di preghiera per l'unità esiste, in una forma o nell'altra, da oltre 100 anni, e da 50 anni esiste una collaborazione tra il Pontificio Consiglio per l'unità e il Consiglio ecumenico delle Chiese per cui ogni anno, alternativamente noi o loro, scegliamo un gruppo ecumenico o un gruppo di cristiani in un Paese o in una regione, per preparare il materiale. Nel 2020 il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente è sembrata una scelta molto azzeccata perché in quelle regioni c'è tanta sofferenza umana, guerre, povertà, mancanza di diritti, e allo stesso tempo tante Chiese di diverse tradizioni vivono insieme da sempre. Allora in quei luoghi c'è un ecumenismo vissuto naturalmente, quotidianamente, nella società e molte volte anche nelle famiglie. Il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente ha sede nella capitale libanese e quella terribile esplosione nel porto di Beirut dell'agosto 2020 ha portato tanta sofferenza: abbiamo pensato che lì c'era un messaggio per il mondo, per noi cristiani, e allora abbiamo deciso di coinvolgere questa volta i cristiani del Medio Oriente.

"In Oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo" è un tema che, ad un primo sguardo, sembra centrare poco con l'unità dei cristiani. Qual è il legame che lei vede, invece, tra questo episodio dei magi e la ricerca dell'unità?

Direi che, innanzitutto, l'episodio dei magi ci ricorda che questa è la regione in cui Cristo è nato, e la ricerca dell'unità dei cristiani porta frutto solo se Cristo è il centro, il criterio, la fonte dei nostri sforzi. Si tratta di ricomporre la comunione tra i seguaci di Gesù per la quale lui ha pregato la sera prima della sua passione. L'ecumenismo è obbedienza alla volontà di Cristo e ricordo quello che ha detto recentemente Papa Francesco: i magi viaggiano verso Betlemme, il loro pellegrinaggio parla anche a noi chiamati a camminare verso Gesù perché è lui la Stella Polare che illumina i cieli della vita e orienta i passi verso la gioia vera. Cioè l'ecumenismo, la ricerca dell'unità dei cristiani, avanza solo in quanto siamo tutti fedeli al Signore e questo è il punto fondamentale, secondo me.

Lei l'ha detto poco fa, la regione del Medio Oriente è la terra dove da sempre convivono cristiani di diverse Chiese e confessioni, ma a che punto è questa convivenza? Quale importanza avrebbe una maggiore comunione perché, forse, non è ancora perfetta...

Certo. La prima cosa da dire, secondo me, sarebbe che tutta la diversità dei riti e delle tradizioni e la storia dei cristiani del Medio Oriente, è una straordinaria ricchezza, una grazia che ci viene dalla Divina Provvidenza che ha diretto lo sviluppo delle Chiese in mezzo a vari popoli e culture dall'inizio. Non si tratta, pertanto, di cercare una uniformità tra tutti, ma una comunione, cioè la partecipazione di tutti insieme alla storia della salvezza. Il movimento ecumenico esiste proprio perché questo non si è realizzato, nel corso della storia è esistito il peccato della divisione e, in certe circostanze, gli interessi anche dottrinali degli uni hanno prevalso sugli altri. E allora, come ci ricorda il decreto sull'ecumenismo del Concilio Vaticano II, tale divisione non solo si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la predicazione del Vangelo ad ogni creatura. Bisogna dire che lì, in Medio Oriente, abbiamo la visione, l'orizzonte di cristiani di diverse tradizioni che vivono insieme, naturalmente si tratta di pregare e di lavorare perché questa comunione diventi sempre più forte.

Ecco, ma a che punto è questa esperienza di comunione?

In generale direi che viviamo da tanti anni un'esperienza di crescita, di comprensione e di riconciliazione tra tante Chiese e questo si vede chiaramente anche in Medio Oriente dove concretamente davanti a tante sfide, a tante sofferenze, davanti anche, alle volte, alla morte e alle guerre, i cristiani sono solidali gli uni con gli altri, si aiutano. Io vedo che da tanti anni c'è tutta una nuova situazione in cui non c'è più rivalità e conflitto tra le Chiese ma piuttosto cooperazione e solidarietà.

Qual è il messaggio principale o la sollecitazione più forte che i cristiani d'Oriente rivolgono a tutte le comunità del mondo attraverso il tema che hanno scelto per questa Settimana di preghiera per l'unità?

Credo che l'invito principale che i testi della Settimana ci presentano sia quello di tornare alle origini, cioè a Cristo. Non ridurre la Chiesa ad una organizzazione umana in più, ad una forza politica o culturale, ma fare dell'incontro con il mistero rivelato nella culla di Betlemme, la storia appunto dei magi, il centro di tutta la vita e degli sforzi delle Chiese. Preghiamo per l'unità dei cristiani, ma non si tratta di una unità di interessi o di strategie o di politiche, ma un'unità in cui il Vangelo diventa la regola della nostra vita e l'impegno di fare dell'insegnamento di Gesù, soprattutto l'amore di Dio e del prossimo, la vera strada della nostra vita. Secondo me, questo è l'invito principale che i testi di quest'anno ci presentano.

Quale rapporto c'è, a suo parere, tra l'unità tra le Chiese cristiane e la fratellanza universale e la pace nel mondo, tanto richiamate da Papa Francesco e sentite così necessarie oggi?

Grazie per questa domanda perché la trovo molto appropriata. Ricorderemo che nell'enciclica Fratelli tuttidavanti a un mondo confuso, diviso, un mondo in cui c'è perfino tanto scarto degli esseri umani, Papa Francesco ci chiede di sognare e di lavorare per la rinascita di un senso di fraternità universale che sarebbe conseguenza di un cuore aperto a tutti. Questo, secondo me, è il contesto giusto per capire l'ecumenismo e per capire i rapporti ecumenici: si tratta tra i cristiani di passare dal mutuo rifiuto, dalla divisione, dal conflitto alla mutua comprensione, al rispetto, alla solidarietà e alla cooperazione. Quanto più i cristiani delle diverse Chiese si riconciliano, tanto più saranno segno e strumento dell'unità della famiglia umana, della fraternità universale. Questa è, secondo quello che ci insegna il Papa, l'unica via perché avvenga la pace e la giustizia, perché ci sia un futuro migliore per le generazioni a venire. L'unità dei cristiani, dunque, è un fattore indispensabile per la costruzione di quel mondo futuro.

Vatican News

 

 

martedì 19 gennaio 2021

CRISTIANI UNITI NELLA COMUNE PREGHIERA

 


“Viviamo e celebriamo la nostra unità nella preghiera comune”

Pubblichiamo la Lettera Ecumenica firmata da Mons. Ambrogio Spreafico, Presidente della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, Mons. Polykarpos Stavropoulos, Vicario Patriarcale della Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia e Malta, e dal Pastore Luca Maria Negro, Presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio 2021).

 

Care sorelle e cari fratelli,

mai come in questo tempo abbiamo sentito il desiderio di farci vicini gli uni gli altri, insieme alle nostre comunità che sono in Italia. La sofferenza, la malattia, la morte, le difficoltà economiche di tanti, la distanza che ci separa, non vogliamo nascondano né diminuiscano la forza di essere uniti in Cristo Gesù, soprattutto dopo aver celebrato il Natale. La sua luce, infatti, è venuta ad illuminare la vita delle nostre comunità e del mondo intero: è luce di speranza, di pace, luce che indica un nuovo inizio. Sì, non possiamo solo aspettare che dopo questa pandemia “tutto torni come prima”, come abitualmente si dice. Noi, invece, sogniamo e vogliamo che tutto torni meglio di prima, perché il mondo è segnato ancora troppo dalla violenza e dall’ingiustizia, dall’arroganza e dall’indifferenza. Il male che assume queste forme vorrebbe toglierci la fede e la speranza che tutto può essere rinnovato dalla presenza del Signore e della sua Parola di vita, custodita e annunciata nelle nostre comunità.

In questi mesi di dolore e di grande bisogno abbiamo visto moltiplicarsi la solidarietà. Molti si sono uniti alle nostre comunità per dare una mano, per farsi vicino a chi aveva bisogno di cibo, di amicizia, di nuovi gesti di vicinanza, pur nel rispetto delle giuste regole di distanziamento. Sentiamo il bisogno di ringraziare il Signore per questa solidarietà moltiplicata, ma vogliamo dire anche grazie a tanti, perché davvero scopriamo quanto sia vero che “c’è più gioia nel dare che nel ricevere” (cfr. Atti 20,35). La gratuità del dono ci ha aiutato a riscoprire la continua ricchezza e bellezza della vita cristiana, inondata dalla grazia di Dio, che siamo chiamati a comunicare con maggiore generosità a tutti. Così, non ci siamo lasciati vincere dalla paura, ma, sostenuti dalla presenza benevola del Signore, abbiamo continuato ad uscire per sostenere i poveri, i piccoli, gli anziani, privati spesso della vicinanza di familiari e amici. Le nostre Chiese e comunità hanno trovato unità in quella carità, che è la più grande delle virtù e che, unica, rimarrà come sigillo della nostra comunione fondata nel Signore Gesù.

Desideriamo, infine, intensificare la preghiera gli uni per gli altri, per i malati, per coloro che li curano, per gli anziani soli o in istituto, per i profughi, per tutti coloro che soffrono in questo tempo. Come abbiamo scritto nella presentazione del sussidio per la Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, oggi la nostra preghiera sale intensa, perché il Signore guarisca l’umanità dalla forza del male e della pandemia, dall’ingiustizia e dalla violenza, e ci doni l’unità tra noi. Ci uniamo con la nostra preghiera anche nella memoria del Metropolita Zervos Gennadios, che per diversi anni ha condiviso con noi il cammino verso la piena unità e ci ha lasciato il 16 ottobre dello scorso anno. La preghiera stessa infatti diventi a sua volta fonte di unità. Ignazio di Antiochia ricorda ai cristiani di Efeso nei suoi scritti: “Quando infatti vi riunite crollano le forze di Satana e i suoi flagelli si dissolvono nella concordia che vi insegna la fede”. Rimanere in Gesù vuol dire rimanere nel suo amore. Quell’amore che ci spinge ad incontrare senza timore gli altri, specialmente i più deboli, i periferici, i poveri ed i sofferenti, come Gesù stesso ci ha insegnato, percorrendo senza sosta le strade del suo tempo.

Viviamo e celebriamo la nostra unità nella preghiera comune, che vedrà riunite le nostre comunità soprattutto in questa settimana.

Un fraterno saluto a tutti nell’amicizia e nella stima che ci uniscono.

 

venerdì 18 gennaio 2019

PERCHÉ' SIANO UNA COSA SOLA

SETTIMANA PER L'UNITA' DEI CRISTIANI
Quando la società non ha più come fondamento il principio della solidarietà e del bene comune, assistiamo allo scandalo di persone che vivono nell’estrema miseria accanto a grattacieli, alberghi imponenti e lussuosi centri commerciali, simboli di strepitosa ricchezza. Ci siamo scordati della saggezza della legge mosaica, secondo la quale, se la ricchezza non è condivisa, la società si divide.

Papa Francesco: Oggi ha inizio la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nella quale siamo tutti invitati a invocare da Dio questo grande dono. L’unità dei cristiani è frutto della grazia di Dio e noi dobbiamo disporci ad accoglierla con cuore generoso e disponibile. Questa sera sono particolarmente lieto di pregare insieme ai rappresentanti delle altre Chiese presenti a Roma, ai quali rivolgo un cordiale e fraterno saluto. Saluto anche la Delegazione ecumenica della Finlandia, gli studenti dell’Ecumenical Institute of Bossey, in visita a Roma per approfondire la loro conoscenza della Chiesa Cattolica, e i giovani ortodossi e ortodossi orientali che qui studiano con il sostegno del Comitato di Collaborazione Culturale con le Chiese Ortodosse, operante presso il Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
Il libro del Deuteronomio immagina il popolo d’Israele accampato nelle pianure di Moab, sul punto di entrare nella Terra che Dio gli ha promesso. Qui Mosè, come padre premuroso e capo designato dal Signore, ripete la Legge al popolo, lo istruisce e gli ricorda che dovrà vivere con fedeltà e giustizia una volta che si sarà stabilito nella terra promessa.
Il brano che abbiamo appena ascoltato fornisce indicazioni su come celebrare le tre feste principali dell’anno: Pesach (Pasqua), Shavuot (Pentecoste), Sukkot (Tabernacoli). Ciascuna di queste feste richiama Israele alla gratitudine per i beni ricevuti da Dio. La celebrazione di una festa richiede la partecipazione di tutti. Nessuno può essere escluso: «Gioirai davanti al Signore, tuo Dio, tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo schiavo e la tua schiava, il levita che abiterà le tue città, il forestiero, l’orfano e la vedova che saranno in mezzo a te» (Dt 16,11).
Per ogni festa, occorre compiere un pellegrinaggio «nel luogo che il Signore avrà scelto per stabilirvi il suo nome» (v. 2). Là, il fedele israelita deve porsi davanti a Dio. Nonostante ogni israelita sia stato schiavo in Egitto, senza alcun possesso personale, «nessuno si presenterà davanti al Signore a mani vuote» (v. 16) e il dono di ciascuno sarà in misura della benedizione che il Signore gli avrà dato. Tutti riceveranno dunque la loro parte di ricchezza del paese e beneficeranno della bontà di Dio.
Non deve sorprenderci il fatto che il testo biblico passi dalla celebrazione delle tre feste principali alla nomina dei giudici. Le feste stesse esortano il popolo alla giustizia, ricordando l’uguaglianza fondamentale tra tutti i membri, tutti ugualmente dipendenti dalla misericordia divina, e invitando ciascuno a condividere con gli altri i beni ricevuti. Rendere onore e gloria al Signore nelle feste dell’anno va di pari passo con il rendere onore e giustizia al proprio vicino, soprattutto se debole e bisognoso.
I cristiani dell’Indonesia, riflettendo sulla scelta del tema per la presente Settimana di Preghiera, hanno deciso di ispirarsi a queste parole del Deuteronomio: «La giustizia e solo la giustizia seguirai» (16,20). In essi è viva la preoccupazione che la crescita economica del loro Paese, animata dalla logica della concorrenza, lasci molti nella povertà concedendo solo a pochi di arricchirsi grandemente. È a repentaglio l’armonia di una società in cui persone di diverse etnie, lingue e religioni vivono insieme, condividendo un senso di responsabilità reciproca.
Ma ciò non vale solo per l’Indonesia: questa situazione si riscontra nel resto del mondo. Quando la società non ha più come fondamento il principio della solidarietà e del bene comune, assistiamo allo scandalo di persone che vivono nell’estrema miseria accanto a grattacieli, alberghi imponenti e lussuosi centri commerciali, simboli di strepitosa ricchezza. Ci siamo scordati della saggezza della legge mosaica, secondo la quale, se la ricchezza non è condivisa, la società si divide.
San Paolo, scrivendo ai Romani, applica la stessa logica alla comunità cristiana: coloro che sono forti devono occuparsi dei deboli. Non è cristiano «compiacere noi stessi» (15,1). Seguendo l’esempio di Cristo, dobbiamo infatti sforzarci di edificare coloro che sono deboli. La solidarietà e la responsabilità comune devono essere le leggi che reggono la famiglia cristiana.
Come popolo santo di Dio, anche noi siamo sempre sul punto di entrare nel Regno che il Signore ci ha promesso. Ma, essendo divisi, abbiamo bisogno di ricordare l’appello alla giustizia rivoltoci da Dio. Anche tra i cristiani c’è il rischio che prevalga la logica conosciuta dagli israeliti nei tempi antichi e da tanti popoli sviluppati al giorno d’oggi, ovvero che, nel tentativo di accumulare ricchezze, ci dimentichiamo dei deboli e dei bisognosi. È facile scordare l’uguaglianza fondamentale che esiste tra noi: che all’origine eravamo tutti schiavi del peccato e che il Signore ci ha salvati nel Battesimo, chiamandoci suoi figli. È facile pensare che la grazia spirituale donataci sia nostra proprietà, qualcosa che ci spetta e che ci appartiene. È possibile, inoltre, che i doni ricevuti da Dio ci rendano ciechi ai doni dispensati ad altri cristiani. È un grave peccato sminuire o disprezzare i doni che il Signore ha concesso ad altri fratelli, credendo che costoro siano in qualche modo meno privilegiati di Dio. Se nutriamo simili pensieri, permettiamo che la stessa grazia ricevuta diventi fonte di orgoglio, di ingiustizia e di divisione. E come potremo allora entrare nel Regno promesso?

Il culto che si addice a quel Regno, il culto che la giustizia richiede, è una festa che comprende tutti, una festa in cui i doni ricevuti sono resi accessibili e condivisi. Per compiere i primi passi verso quella terra promessa che è la nostra unità, dobbiamo anzitutto riconoscere con umiltà che le benedizioni ricevute non sono nostre di diritto ma sono nostre per dono, e che ci sono state date perché le condividiamo con gli altri. In secondo luogo, dobbiamo riconoscere il valore della grazia concessa ad altre comunità cristiane. Di conseguenza, sarà nostro desiderio partecipare ai doni altrui. Un popolo cristiano rinnovato e arricchito da questo scambio di doni sarà un popolo capace di camminare con passo saldo e fiducioso sulla via che conduce all’unità.


sabato 14 gennaio 2017

HO VISTO E NE RENDO TESTIMONIANZA - Domenica 15 gennaio

COMMENTO AL VANGELO  -  Giovanni 1,29-34

Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». 

di Onorina Spera.
Con questa domenica la liturgia ritorna al “Tempo Ordinario”, cioè il tempo in cui siamo chiamati a fare esperienza e a testimoniare la presenza del Signore nel ritmo quotidiano della nostra esistenza. Essa si sofferma ancora sulla figura di Giovanni Battista, “testimone” credibile della presenza del Messia in mezzo al suo popolo.
L’evangelista Giovanni presenta il Battista non più come il profeta che richiama il popolo alla conversione, quanto piuttosto come colui che ha fatto un’esperienza nuova, imprevedibile per lui stesso: ha incontrato Dio. Ed ecco che si spalanca per lui un mondo, un orizzonte, una comprensione del mistero di Dio totalmente inattesa.
Credeva di sapere, credeva di credere, credeva di conoscere. Tutta la sua vita si era consumata intorno a quell’attesa, a quella preparazione, a quell’incontro. E adesso è disposto ad ammettere che esiste un prima, un avanti che il Nazareno conosce e lui non ancora.
“Ho visto”, dice Giovanni. Ha visto Gesù venire verso di lui. Ha visto un Dio che gli si fa incontro, presente, prossimo, vicino; un Dio che diventa bambino, che ribalta le nostre prospettive, che colma le nostre stalle; un Dio che prende l’iniziativa, che annulla le distanze.
Aspettava un Dio giudice forte, adesso vede un Dio che salva, venendo verso di lui. Comincia in lui un modo nuovo di “vedere”: il “vedere credente”. Per due volte Giovanni ripete: “Io non lo conoscevo (non lo vedevo)”: fino a quando era chiuso nella sua concezione di Dio, non poteva “vedere” Dio in Gesù che si fa ultimo, che sta con i peccatori.
Adesso Giovanni vede e testimonia che ha scoperto in Gesù il Figlio di un Dio che è Padre. Non il Messia vendicatore, ma l’agnello che toglie, cancella, elimina il peccato del mondo che ci allontanava inesorabilmente da Dio. Oggi, siamo noi, che accogliendo la testimonianza del Battista, siamo chiamati a vedere e testimoniare il volto nuovo di un Dio che ama e raggiunge la nostra vita per dimorare in essa.   

(tratto da www.tuttavia.eu)
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18-25 gennaio - 
SETTIMANA DI PREGHIERA PER L'UNITA' DEI CRISTIANI

L’amore di Cristo 

ci spinge verso la riconciliazione