mercoledì 13 novembre 2024

COLTIVARE LA GENTILEZZA


Che cosa possiamo fare per celebrare 

davvero la gentilezza a scuola, 

per renderla un’esperienza quotidiana,

 l'arte del vivere nel mondo?



Il 13 novembre è la giornata mondiale della gentilezza.

Talora la giornata passa, e poi la gentilezza va nel dimenticatoio… come al solito. La gentilezza è la grande assente nella nostra società e di sicuro non è frequentata nei contesti scolastici. Manca spesso nei genitori quando si relazionano con noi docenti (e viceversa), è trascurata nella relazione tra colleghi, tante bambine e bambini nel gruppo dei pari la ignorano, probabilmente perché noi adulti non siamo in grado di insegnarne loro il valore.

Purtroppo, la società odierna, i social, arroganza, prepotenza, individualismo, ed anche cafoneria, sovente non stimolano ad essere gentili, ma tutt'altro.

Che cosa possiamo fare, allora, per celebrare davvero la gentilezza a scuola, per renderla un’esperienza quotidiana e non una sporadica occasione per ricordarsi che un “mondo gentile” sarebbe un mondo migliore per tutti?


 Risponde Giuseppe Maiolo, Psicologia delle età della vita, Università degli studi di Trento

Se le giornate dedicate a un tema possono essere in generale uno stimolo alla riflessione, penso serva soffermarsi sulla “gentilezza” soprattutto perché potrebbe aiutarci a mettere in moto un processo generativo capace di trasformare la realtà.

Stabiliamo prima di tutto che la gentilezza è un sentimento, cioè un sentire specifico da far crescere e potenziare, per il quale è necessario costruire un significato condivisibile che dia valore al comportamento gentile. Questo vale soprattutto in questo momento storico in cui nelle relazioni umane tendono a prevalere arroganza e prepotenza.

 Gentilezza e gratitudine

Di fatto la gentilezza si fonda sull’ascolto e contiene ingredienti come la comprensione, la fiducia, il rispetto. Potrebbe anche essere associata alla cura, ovvero all’abilità di prendersi cura e “pre-occuparsi” dell’altro, che è un “vedere anticipato” e un dargli spazio nei propri pensieri. Competenza questa dell’adulto che va raggiunta per tappe e si potenzia con l’uso, come accade con le abilità linguistiche e la comunicazione. Non a caso Mark Twain sosteneva che “La gentilezza è una lingua che il sordo può sentire e il cieco può vedere”. Di fatto non esiste gentilezza senza comunicazione, cioè senza un sentire e un vedere insieme e non c’è gentilezza senza gratitudine, che nella relazione è l’energia con cui si può generare comunione d’intenti, anche nelle divergenze del pensiero. Ma questo mix di sentimenti è ciò che serve alla relazione per il sostegno reciproco e per il mantenimento dei legami. E poi aiuta a contenere l’idea egoica di una libertà personale che consente a chiunque di fare quello che vuole.

In altre parole, gentilezza e gratitudine sono un binomio necessario per fronteggiare egoismo e individualismo.

 Gentilezza come obiettivo educativo

Proporre la gentilezza come obiettivo educativo sia a scuola che in famiglia, vuol dire avere coscienza delle nostre insufficienze di adulti che spesso sono incapacità di attenzione e ascolto.

A volte anche di quelle “buone maniere” che un tempo erano materia di educazione scolastica.

La sua assenza educativa dai programmi scolastici di oggi ha cancellato “l’urbanità”, che è vocabolo desueto ma ancora utile per definire il nostro essere cittadini rispettosi e cortesi in una comunità che si ritiene civile.

Così abbiamo finito per rimuovere una quantità di parole semplici ma necessarie al vivere quotidiano, come “grazie, per favore, posso?”, perché non richieste e tanto meno affermate nelle relazioni.

La gentilezza a cui dovremmo rivolgerci è fatta prima di tutto di consapevolezza relativamente al senso che hanno le cose che si dicono o l’importanza dei gesti e delle azioni che produciamo.

Una volta l’attenzione all’altro veniva chiamata “filantropia”, che era amore per gli esseri umani e capacità reale di condividerne l’esistenza. Ma dal punto di vista psicologico è ancora adesso abilità di “entrare e stare nei pensieri dell’altro” che, come dice Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista inglese, di solito indica un buon livello di salute mentale.

 La gentilezza non basta averla in dotazione, serve insegnarla ed educarla

Seminare e coltivare gentilezza

Ora che disponiamo di una quantità di ricerche scientifiche e siamo in grado di sapere quanto la pratica della gentilezza possa avere un impatto positivo anche sui nostri geni, siamo capaci di comprendere come tutto questo ci aiuti a trasformare il modo di stare insieme e con-vivere.

Sappiamo però che gentili non si nasce, ma si può diventare acquisendo con gradualità ciò che serve per darne esempio e, quello che conta di più, per seminare e coltivare la gentilezza.

Ci servirà, però, non fermarci alle giornate celebrative, come ben sottolinea la maestra Serena, e agli slogan facili (tipo “Scuola gentile” o “Paese gentile”), perché la gentilezza ha bisogno di contenuti e non di targhe.

L’educazione civica dovrebbe diventare allora fin dalla primaria “educazione alla convivenza gentile e insegnamento delle relazioni cortesi”. Ma anche i corsi di aggiornamento a scuola per gli insegnanti e i momenti di incontro dei genitori, dovrebbero contenere, almeno in parte, laboratori di “gentilezza verbale” e percorsi per esercitare il “fare gentile”.

Credo che ve ne sia un bisogno urgente, quanto meno per contrastare la violenza del turpiloquio che dilaga sui social, nei media, in particolare nei talk show, e fronteggiare per esempio quegli sgarbi televisivi che ci stanno abituando a un parlare offensivo e irrispettoso, rendendoci incapaci di riconoscere l’importanza del garbo e dell’agire gentile.

 Giunti Scuola

 

 


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