davvero la gentilezza a scuola,
per renderla un’esperienza quotidiana,
l'arte del vivere nel mondo?
Il
13 novembre è la giornata mondiale della gentilezza.
Talora la giornata passa, e poi la gentilezza
va nel dimenticatoio… come al solito. La gentilezza è la grande assente
nella nostra società e di sicuro non è frequentata nei contesti scolastici.
Manca spesso nei genitori quando si relazionano con noi docenti (e viceversa),
è trascurata nella relazione tra colleghi, tante bambine e bambini nel gruppo
dei pari la ignorano, probabilmente perché noi adulti non siamo in grado di
insegnarne loro il valore.
Purtroppo, la società odierna, i social, arroganza, prepotenza, individualismo, ed anche cafoneria, sovente non stimolano ad essere gentili, ma tutt'altro.
Che
cosa possiamo fare, allora, per celebrare davvero la gentilezza a scuola, per
renderla un’esperienza quotidiana e non una sporadica occasione per ricordarsi
che un “mondo gentile” sarebbe un mondo migliore per tutti?
Risponde Giuseppe Maiolo, Psicologia delle età della vita, Università degli studi di Trento
Se
le giornate dedicate a un tema possono essere in generale uno stimolo alla
riflessione, penso serva soffermarsi sulla “gentilezza” soprattutto perché
potrebbe aiutarci a mettere in moto un processo generativo capace di
trasformare la realtà.
Stabiliamo
prima di tutto che la gentilezza è un sentimento, cioè un sentire specifico da
far crescere e potenziare, per il quale è necessario costruire un significato
condivisibile che dia valore al comportamento gentile. Questo vale soprattutto
in questo momento storico in cui nelle relazioni umane tendono a prevalere
arroganza e prepotenza.
Gentilezza e gratitudine
Di fatto la gentilezza si fonda sull’ascolto e contiene ingredienti come la comprensione, la fiducia, il rispetto. Potrebbe anche essere associata alla cura, ovvero all’abilità di prendersi cura e “pre-occuparsi” dell’altro, che è un “vedere anticipato” e un dargli spazio nei propri pensieri. Competenza questa dell’adulto che va raggiunta per tappe e si potenzia con l’uso, come accade con le abilità linguistiche e la comunicazione. Non a caso Mark Twain sosteneva che “La gentilezza è una lingua che il sordo può sentire e il cieco può vedere”. Di fatto non esiste gentilezza senza comunicazione, cioè senza un sentire e un vedere insieme e non c’è gentilezza senza gratitudine, che nella relazione è l’energia con cui si può generare comunione d’intenti, anche nelle divergenze del pensiero. Ma questo mix di sentimenti è ciò che serve alla relazione per il sostegno reciproco e per il mantenimento dei legami. E poi aiuta a contenere l’idea egoica di una libertà personale che consente a chiunque di fare quello che vuole.
In
altre parole, gentilezza e gratitudine sono un binomio necessario per
fronteggiare egoismo e individualismo.
Gentilezza come obiettivo educativo
Proporre
la gentilezza come obiettivo educativo sia a scuola che in famiglia, vuol dire
avere coscienza delle nostre insufficienze di adulti che spesso sono incapacità
di attenzione e ascolto.
A
volte anche di quelle “buone maniere” che un tempo erano materia di educazione
scolastica.
La
sua assenza educativa dai programmi scolastici di oggi ha cancellato
“l’urbanità”, che è vocabolo desueto ma ancora utile per definire il nostro
essere cittadini rispettosi e cortesi in una comunità che si ritiene civile.
Così
abbiamo finito per rimuovere una quantità di parole semplici ma necessarie al
vivere quotidiano, come “grazie, per favore, posso?”, perché non richieste e
tanto meno affermate nelle relazioni.
La
gentilezza a cui dovremmo rivolgerci è fatta prima di tutto di consapevolezza
relativamente al senso che hanno le cose che si dicono o l’importanza dei gesti
e delle azioni che produciamo.
Una
volta l’attenzione all’altro veniva chiamata “filantropia”, che era amore per
gli esseri umani e capacità reale di condividerne l’esistenza. Ma dal punto di
vista psicologico è ancora adesso abilità di “entrare e stare nei pensieri
dell’altro” che, come dice Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista inglese,
di solito indica un buon livello di salute mentale.
La gentilezza non basta averla in dotazione, serve insegnarla ed educarla
Seminare
e coltivare gentilezza
Ora
che disponiamo di una quantità di ricerche scientifiche e siamo in grado di
sapere quanto la pratica della gentilezza possa avere un impatto positivo anche
sui nostri geni, siamo capaci di comprendere come tutto questo ci aiuti a
trasformare il modo di stare insieme e con-vivere.
Sappiamo
però che gentili non si nasce, ma si può diventare acquisendo con gradualità
ciò che serve per darne esempio e, quello che conta di più, per seminare e
coltivare la gentilezza.
Ci
servirà, però, non fermarci alle giornate celebrative, come ben sottolinea la
maestra Serena, e agli slogan facili (tipo “Scuola gentile” o “Paese gentile”),
perché la gentilezza ha bisogno di contenuti e non di targhe.
L’educazione
civica dovrebbe diventare allora fin dalla primaria “educazione alla convivenza
gentile e insegnamento delle relazioni cortesi”. Ma anche i corsi di
aggiornamento a scuola per gli insegnanti e i momenti di incontro dei genitori,
dovrebbero contenere, almeno in parte, laboratori di “gentilezza verbale” e
percorsi per esercitare il “fare gentile”.
Credo
che ve ne sia un bisogno urgente, quanto meno per contrastare la violenza del
turpiloquio che dilaga sui social, nei media, in particolare nei talk show, e
fronteggiare per esempio quegli sgarbi televisivi che ci stanno abituando a un
parlare offensivo e irrispettoso, rendendoci incapaci di riconoscere
l’importanza del garbo e dell’agire gentile.
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