mercoledì 22 marzo 2023

L'INSEGNANTE IN AGIO NEL DISAGIO

Lavorare con le fragilità dei più giovani mi offre l’opportunità di sfidare l’indecenza di un sistema che non ha a cuore il benessere della comunità.

 

- di Gilda Sciortino

 Si definisce lei stessa un caterpillar e i fatti le danno ragione perché Esmeralda Prinzivalli è la dimostrazione che la determinazione fa la differenza. Originaria di Trapani, la vita l’ha portata per caso a Palermo dove insegna in una scuola elementare di Borgo Nuovo, quartiere della periferia cittadina, nel quale il disagio é presente a causa della mancanza di servizi per la persona. Grazie a Fqts, la Formazione Quadri del Terzo Settore, ha messo in atto un processo di conoscenza agita e attiva che coinvolge la comunità.

«Quando affermo "la dispersione prima di tutto" voglio dire che lavorare con le fragilità dei più giovani mi offre l’opportunità di sfidare l’indecenza di un sistema che non ha a cuore il benessere della comunità.

È indecente, lo ripeto e sottolineo, che nel 2023 si assista a quello che ci circonda.

Io sono di Trapani, ma insegno a Palermo in una scuola elementare di Borgo Nuovo, una delle periferie della città. Mi occupo di dispersione e di quartieri difficili.

Lo faccio in una realtà dove c’è di tutto, il bianco, il nero, il grigio, un vero e proprio arcobaleno di colori, ma io vivo bene qui.

Quando mi suggeriscono altre scuole perché pensano che sia una quotidianità pesante da vivere, io dico che non farei mai a cambio».

Esmeralda Prinzivalli ti trasmette subito il senso di un impegno concreto che fonde l’amore per i più giovani con la consapevolezza che essere insegnanti ha oggi un valore che non sempre è ben compreso.

In lei questo impegno è declinato attraverso le sue tante vite, da volontaria, progettista sociale, educatrice, portavoce del Forum Terzo settore di Trapani, presidente dell’APS “Al Plurale” che ha sede a Erice, in provincia di Trapani, ma soprattutto grazie alla sua capacità di cogliere il senso profondo dell’essere comunità educante.

«Tutto questo l’ho imparato sul campo.

Provengo da una famiglia abbiente, con genitori professori che non mi hanno mai fatto mancare niente. Non vi dico che tutto quello di cui mi occupo oggi lo vedevo solo in televisione, ma quasi.

Quando mi sono scontrata con le realtà in cui il disagio è alla base, ci ho messo un po’ a metabolizzare; all’inizio mi appariva come un’immagine sbiadita molto lontana da me.

Ero anche una ragazzina e non avevo la consapevolezza, ma poi si è aperto un mondo davanti a me che mi ha reso consapevole e responsabile.

Oggi mi occupo quasi esclusivamente di minori e giovani adulti nelle loro varie sfaccettature: migranti, in percorso penale, in fragilità, ma solo per fare qualche esempio».

Un mondo, quello del disagio, nel quale dici di sentirti a tuo agio. Cosa vuol dire?

«Qualcuno potrebbe prendermi per folle, ma credo faccia parte del mio Dna.

Lavorare nelle situazioni in cui la fragilità è presente e parla attraverso i ragazzi, le famiglie, mi fa scoprire anche le mie di fragilità e con loro, attraverso loro, le combatto.

Purtroppo sento molto la solitudine perché, per esempio, con le istituzioni non ci sono relazioni.

Qui la resistenza è di territorio.

La tocchi con mano al bar in cui prendi il caffè, nella bottega dove vai a fare acquisti.

Ho così cercato di creare maggiore connessione con la scuola, come anche con il neuropsichiatra privato che mi fa cortesie personali perchè l’Asp è oberata e non può seguire tutti.

Ho creato una rete, ma continuo a sentimi sola perché l’azione non è sistemica.

Sono tutti bravissimi presi singolarmente, ma manca il sistema di supporto».

Ma quando sei arrivata a Palermo da Trapani in qualità di progettista sociale, consulente per le scuole, sembrava che il sistema funzionasse.

«Allora portavo con me la voglia di condividere, ma lo facevo da tecnico, anche se con una declinazione che, nel mio caso, era quella del condividere per fare insieme “perché così viene meglio”. Io sono montessoriana, quindi questo concetto mi viene facile da esportare.

C’è stato un periodo di grande fermento a Palermo, poi il declino, forse l’ho percepito io nelle associazioni che frequentavo; è seguito il Covid e, successivamente, la riforma del Terzo Settore che ha destabilizzato parecchie realtà.

Oggi ritengo che stiamo tutti vivendo un momento di ristrutturazione».

Un impegno che fa parte del suo Dna e che porta avanti con grande passione, ma soprattutto e lucidità. Una consapevolezza cresciuta grazie all’incontro con Fqts, all’interno del quale Esmeralda ha seguito diversi percorsi.

«Il mio rapporto con Fqts comincia per caso nel lontano 2011, credo alla seconda edizione.

In Sicilia non arrivavano tante informazioni su questa esperienza. mentre amiche mie di altre regioni mi raccontavano meraviglie.

Mi informo e, facendo mille peripezie, riesco a iscrivermi.

Da lì comincia una viaggio bellissimo, del quale porto con me ricordi meravigliosi anche in relazione alle persone che ho conosciuto e con cui continuo a mantenere rapporti solidi, professionali e amicali».

La formazione continua come mantra della tua vita.

«L’ultima scommessa è stata quella con Leonardo Becchetti. Mi è stato chiesto di partecipare al suo corso perchè quello che avevo scelto era pieno.

Sono entrata nel panico perché ho allergia ai numeri e, occupandosi lui di economia, pensavo di fare brutta figura. È stata, invece, l’apertura a un nuovo mondo.

Il suo è un approccio a un’economia diversa, generativa, sociale, solidale, che parte dal basso.

Mi ricordo che uno dei primi compiti che diede è stato su come poter cambiare la dinamica del mio quartiere, San Giuliano, a Erice.

Un quartiere a rischio, di periferia, nel quale ci siamo inventati una piccola biblioteca, il giornalaio che non c’era, due o tre panchine posizionate a quadrato per creare una zona di chiacchiera.

Lui ci spiegava come l’urbanistica e un’economia diversa possono cambiare l’aspetto di un territorio. Grazie anche al contributo del Comune che ha trovato dei fondi, abbiamo installato delle lampade particolari, posizionato libri, scelto delle panchine dalla forma che ti faceva pensare a un’isola dove potersi sedere e raccontare.

Per il quartiere è stato un trauma: “Cosa sono queste cose? 

Non ne abbiamo bisogno”.

Le hanno, infatti, distrutte. Abbiamo così cominciato a lavorare con le scuole realizzando un’indagine bellissima per capire cosa dicevano le famiglie che, non sapendo scrivere, utilizzavano disegni.

Ne sono arrivati di significativi su come avrebbero voluto il loro quartiere.

Un lavoro dal basso che ha dato i suoi frutti, infatti le panchine sono state ripristinate.

È successo circa 4 anni fa e ancora sono in buono stato.

Grazie a Becchetti che mi ha aperto un mondo che non conoscevo».

Fqts ha migliorato in modo significativo non solo le tue competenze...

«lo dico sempre che non ha migliorato solo le mie conoscenze e competenze, le high skills come anche le soft skill, ma è mutato il paradigma di un processo di conoscenza agita e attiva.

Io sono sempre stata una in perenne movimento, ma ho acquisito una forma di consapevolezza capace di mettere in relazione nuovi saperi.

La mia esperienza è, poi, quella di una persona che dal collegio è passata all’ educativa con le famiglie degli allievi.

Da lì è cominciato il mio impegno sociale, che passa anche dalla Chiesa, per poi uscirne mantenendo buoni rapporti anche se non strutturati.

Io a Fqts ci credo follemente e fortemente.

Ti fa indossare degli occhiali che ti fanno accorgere delle cose che stanno davanti il tuo naso e che guardavi diversamente; sembra una cosa banalissima, ma non lo è. Il mio primo giorno del laboratorio con Becchetti mi sentivo come se fossi al primo superiore, chissà cosa mi doveva accadere.

Avevo un’ansia, avrei dovuto avere a che fare con un grande economista; sono andata anche a leggere "Il Sole 24 Ore".

Poi lui ha cominciato a fare lezione e, quasi come per magia, il numero era inesistente tra le sue parole. C’erano, invece, i numeri che ci servivano per fare statistica, per il range, per creare indicatori, per tutto.

Così la mia agitazione è andata scemando anche grazie al suo “Algoritmo della Felicità” applicato alla nostra vita con la declinazione del benessere, ma quello individuale e di comunità.

Ho anche fatto un progetto dal titolo “Ben-Essere”.

Se, poi, penso a Palermo mi accorgo che quello che è manca la comunità educante.

Ci sono libri, scritti, ma la comunità?

Io non la vedo, almeno non a Borgo Nuovo.

Qui di associazioni ce ne sono 3 e sono solo sportive.

O fai attività sportiva o non hai scelta.

Nel frattempo, però, le famiglie hanno bisogno».

Palermo e Trapani possono dirsi connesse almeno idealmente?

«Nel fine settimana rientro a Trapani che non ho mai lasciato, ma dove al momento non tornerei a lavorare stabilmente.

A Erice, però, lo la ,mia associazione “Al Plurale” che si occupa da sempre di giovani. Nasciamo, infatti, nel 2009 grazie a un Apq e, da allora, la nostra progettazione è sempre stata rivolta a giovani, ai bambini in dispersione scolastica.

Poi è arrivato un bando per la valorizzazione dei beni pubblici, che abbiamo vinto, realizzando a Prizzi, in provincia di Palermo, l'ostello "Terra Terra" gestito da disabili perché l’avviso prevedeva l’impiego di risorse in fragilità o di disabili abili al lavoro.

Un progetto che funziona perché frutto della sinergia tra diverse realtà.

Come associazione, anche su Erice lavoriamo molto co-progettando e co-programmando con gli enti locali.

Ci credo tantissimo, da sempre, anche senza la sussidiarietà che si dovrebbe tenere».

Che risposta dare alla dispersione?

«Per combatterla devi offrire continuità e attuare la presa in carico dei soggetti.

Bisogna offrire sempre il modello giusto, andare in punta di piedi, comprendere quello che si anima attorno a te.

Quando mi parlano di legalità o di antimafia chiedo sempre in cosa consiste per loro essere mafioso e antimafioso.

Non sempre le risposte sono adeguate.

Ho lavorato per 20 anni nel mio quartiere, a San Giuliano, a Erice, e quello che conta è ciò che offri alle persone.

Devi calarti nella loro vita.

Chi vive in contesti difficili, come quelli in cui mi trovo a operare, ha molto rispetto di chi si prende cura dei loro figli senza fare pensare loro che vuoi cambiare le loro vite. La contaminazione fa tanto.

Noi, per esempio, a Borgo Nuovo abbiamo la biblioteca in classe dove ognuno è libero di prendere libri e leggerli come e quando vuole.

Ieri ho portato un libro su Frida Kahlo e ne sono rimasti entusiasti».

Esmeralda sprizza energia da tutti i pori.

Questo forse anche grazie, più che a causa, di un incidente di percorso, se cosi vogliamo chiamarlo, che a molti avrebbe impedito di andare avanti.

Per lei una sfida.

«La mia è una battaglia che combatto quotidianamente.

A chi mi chiede perché il giorno dopo avere fatto la chemio vengo a scuola, rispondo che non c’è motivo per stare a casa.

Certo, non sono in forma smagliante, accuso un po’ di stanchezza, ma ammortizzo.

Se sono qua è per quella parolina, benessere, che mi dice che devo esserci.

Ho una visione olistica della vita il mio corpo sta bene se sta bene la mia testa; quindi, anche la scommessa mi aiuta ad attraversare meglio questa tempesta.

Voglio vivere mangiandomi i giorni, voglio vivere attimo per attimo, non con le poesie che scriviamo, e io sono una che ama la poesia, la filosofia e il jazz.

Non ho intenzione di andare via così facilmente.

Quando ho saputo quel che avrei dovuto affrontare, ho respirato, ci ho pensato bene e poi mi sono detta che le soluzioni erano due: farla finita o lottare senza sosta. Una decisione che dovevo prendere subito, senza farmi venire attacchi di panico o depressione. Ho così deciso che declinazione dare a questa mia esperienza: esserci e fare a differenza, ogni ora, ogni giorno, per me, per tutti».

 VITA

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