«Israele, ascolta... »
L'arcivescovo di Napoli parla durante le celebrazioni per il patrono:
«Cessa di versare sangue palestinese.
Cessino gli assedi che tolgono pane e acqua» / il testo
integrale
Romanelli,
è interrotto da lunghi e ripetuti applausi dei fedeli, riuniti questa mattina
nel duomo di Napoli per partecipare alla celebrazione in onore di san Gennaro.
La commozione dell’arcivescovo di Napoli, il cardinale Domenico Battaglia è
visibile mentre lancia il suo grido di aiuto: «Oggi con pudore e con fuoco dico
– prosegue, tra le lacrime dei presenti – è il sangue di ogni bambino di Gaza
che metterei esposto in questa cattedrale, accanto all'ampolla del santo perché
non esistono “altre” lacrime: tutta la Terra è un unico altare».
QUI
IL TESTO INTEGRALE DELL'OMELIA
«Se
potessi, accoglierei in un'ampolla il sangue di ogni vittima, bambini, donne,
uomini di ogni popolo, e lo esporrei qui, sotto queste volte, perché nessun
rito ci assolva dalla responsabilità, perché la preghiera senta il peso di ogni
ferita e non scivoli via». Il parroco della Sacra Famiglia di Gaza aveva
infatti parlato di una «situazione ancora molto grave in tutta la Striscia di
Gaza con bombardamenti continui – aveva spiegato padre Gabriel – e la morte che
già si è portata via decine di migliaia di persone. Sono stati uccisi più di
18mila bambini e gli ostaggi ancora non hanno sperimentato il diritto di vivere
in libertà; i feriti e gli ammalati non hanno ancora possibilità di cura perché
all'ospedale manca tutto. Le armi hanno preso il sopravvento».
In
duomo le autorità presenti, tra cui il presidente della regione Vincenzo De
Luca, il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, applaudono e tra la gente c’è chi
grida «pace». Intanto il cardinale di Napoli fa suo l’appello della città e del
popolo, dopo aver annunciato l’avvenuta liquefazione, alle 10.08, del sangue
del patrono. «La parola sangue ci brucia addosso perché il sangue è un
linguaggio che tutti capiamo e che chiede conto a tutti – ha detto
l’arcivescovo – il sangue di san Gennaro si mescola idealmente al sangue
versato in Palestina, come in Ucraina e in ogni terra ferita dove la violenza
si crede onnipotente e invece è solo rumore. Il sangue è sacro: ogni goccia
innocente è un sacramento rovesciato».
Poi
si rivolge ad Israele: «Non ti parlo da avversario, ma da fratello nell’umano.
Ti chiamo col nome con cui la Scrittura convoca il cuore all’essenziale:
Ascolta! Cessa di versare sangue palestinese. Cessino gli assedi che tolgono
pane e acqua; cessino i colpi che sbriciolano case e infanzie; cessino le
rappresaglie che scambiano la sicurezza con lo schiacciamento, cessi
l’invasione che soffoca ogni speranza di pace».
La
grandezza di un popolo, dice allora il pastore, sta «in chi arresta la propria
forza quando la forza profana la giustizia; di chi riconosce che l’unica
vittoria che salva è quella sulla vendetta. Apri i valichi, lascia passare cure
e pane, sospendi il fuoco che non distingue e moltiplica gli orfani».
Da
Napoli, città di pace, si invocano parole chiare «il male non è un’idea, è una
filiera. Ha uffici, contabili, bonus, piani industriali. La guerra non
“scoppia”: si produce, si finanzia, si premia. Ogni bilancio militare che si
gonfia come una vela è vento cattivo contro la carne dei poveri». Così, per
Battaglia, ogni «espansione della spesa per la difesa» che supera scuola e
sanità non ci rende sicuri «ci rende più soli e più poveri».
E
alla “sua Napoli” definita «altare ferito e luminoso», «dove il sangue lo
conosciamo: quello dei giovani perduti, quello delle vittime innocenti, quello
invisibile di chi smette di sognare», il cardinale chiede di diventare «un
cantiere di pace». Che in sostanza significa che la pace non sia uno slogan, ma
una pratica. «Fa’ – ed è questa la preghiera al santo che Napoli riconosce come
patrono – che ogni comunità diventi sala d’attesa di resurrezioni: mensa per
chi ha fame, porta per chi non ha casa, lingua per chi non sa parlare,
compagnia per chi non regge da solo».
Napoli
chiede a san Gennaro di «disarmare e di donare un coraggio senza teatro e
scelte che non fanno notizia, ma cambiano la vita».
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