giovedì 18 settembre 2025

SI IMPARA DAI COMPAGNI


 Il pedagogista Daniele Novara «L’insegnante non deve fare lo "spiegone" ma una lezione con stimoli che generino domande»

-         di Valentina Rorato

-          Secondo l'esperto e Julin Anquetin-Rault, autrice di «A scuola si impara dai compagni», per imparare bisogna partecipare attivamente alla lezione, collaborare, confrontarsi e anche sbagliare

Per imparare bisogna partecipare attivamente alla lezione, collaborare e confrontarsi con i compagni e anche sbagliare. È questa la filosofia che racchiude il metodo di Julin Anquetin-Rault, insegnante e autrice del libro «A scuola si impara dai compagni – la classe autonoma come risposta alle sfide educative», che suggerisce di mandare in pensione le vecchie lezioni frontali, durante le quali gli studenti possono esercitare solo un ascolto passivo. Che cosa significa dare ai ragazzi l’autonomia di imparare? Lo abbiamo chiesto al pedagogista Daniele Novara e all’insegnante Michela Procaccianti, che si sono occupati della pre e della postfazione del libro.

La classe autonoma

«Che a scuola s’impari dai compagni dovrebbe essere scritto a lettere cubitali in ogni ingresso scolastico», racconta Novara. «Il gruppo crea un’osmosi nei processi di apprendimento, ossia si creano degli incastri, degli effetti domino estremamente importanti che rendono l’apprendimento un gioco di squadra tra gli alunni, dove l’insegnante ha un’azione propulsiva e di regia. Nel mio metodo, l’insegnante arriva in classe non con lo "spiegone", la famigerata lezione frontale, ma con una situazione stimolo, che genera una domanda, una problematizzazione e quindi un lavoro di ricerca e di apprendimento».


«Quando si è autonomi per imparare prima di tutto si è consapevoli delle proprie capacità e delle proprie difficoltà - spiega Procaccianti -. Molto spesso questa consapevolezza però manca, perché si ha paura ad ammettere i propri limiti e perché la dimensione genitoriale a volte offusca o rende un po’ più opaca la visione. Ci sono genitori che faticano ad accettare la mancata eccellenza di un figlio.

 Nel momento in cui si raggiunge questa consapevolezza si diventa anche autonomi, ma non bisogna confondere l’autonomia con il fare tutto da soli. Posso, infatti, sempre chiedere un supporto alla figura di riferimento, che può essere il docente o anche un compagno, anche perché è più facile chiedere aiuto all’amico che al maestro o al professore».

Corriere

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