lunedì 27 febbraio 2023

CAPIRE UN TESTO


Dalla distruzione della ragione

 alla bellezza del pensare

La capacità di comprensione dei testi è stata distrutta da una prassi didattica in cui il docente è a rimorchio delle antologie.

- di  Monica Bottai

 

Potenziare la capacità di comprensione dei testi è da tempo diventato l’obiettivo centrale di ogni docente di italiano, soprattutto alla scuola secondaria, dove imperversano test, sondaggi, statistiche, che spesso servono soltanto a dare visioni angoscianti e non sempre veritiere dei nostri ragazzi. Tuttavia, proviamo adesso ad interrogarci sul nostro modo di sostenere lo sviluppo di questa competenza essenziale per essere uomini e donne consapevoli di se stessi nel mondo.

Purtroppo, dobbiamo ammettere che l’impostazione didattica tradizionale difficilmente favorisce lo sviluppo della capacità di comprensione. Innanzitutto, le nostre antologie sono ricche di brani accompagnati da sequenze di esercizi, batterie di domande o proposte di attività non efficaci in tal senso: dal brano introduttivo, che spiega al lettore il contenuto del testo (personaggi, questione centrale, etc.); alle sottolineature nel testo stesso, che guidano meccanicamente l’attenzione dello studente; al commento successivo, che offre l’interpretazione del brano o ne spiega i temi; agli esercizi che guidano lo studente verso l’unica risposta corretta possibile; fino ai compiti di realtà che, al di là della loro stereotipia, prendono soltanto spunto dal testo in oggetto, senza guidare lo studente ad un approfondimento dei suoi significati. Quindi, tutte queste attività sono (forse) utili per capire e memorizzare, non per comprendere; sono (forse) utili per gli studenti (pochi) già abili, non per chi è in difficoltà.

La comprensione reale, profonda, significativa di un testo non è automatica né meccanica: essa nasce da azioni reali, personali, autonome di chi legge, in relazione a qualcuno che prepara l’innesco di specifiche dinamiche cognitive ed emotive. Infatti, nella comprensione, sono attivati numerosi processi del pensiero (cfr. una ricerca condotta dal Project Zero della Harward Graduate School of Education, in AAVV, Making Thinking Visible, New York 2011), che necessitano di allenamento con una serie di vere e proprie routine (insegnabili, applicabili, ripetibili, sequenziali e progressive) da proporre con costanza, per introdurre gli studenti alla bellezza della complessità del pensare e al ruolo di protagonisti che loro assumono in questo percorso.

Per chi applica il Reading Workshop (cfr in particolare, Atwell N., In the Middle: a lifetime of learning about writing, reading and adolescents, Portsmouth 2015; Poletti Riz J. e Pognante S., Educare alla lettura con il WRW, Erickson 2022; Serafini F., The reading Workshop: creating space for readers, Portsmouth 2001; Serravallo J., The reading strategies book, Portsmouth 2015) queste routines guidano l’educazione alla lettura intesa come processo di una vita di classe che si fa laboratorio (una vera reading zone), in cui tre sono i momenti essenziali: la lettura ad alta voce del docente, la lettura autonoma dello studente, le strategie di lettura attiva, che danno corpo alle routines di pensiero. Tutto questo è centrato sull’esempio (modeling) del docente, che per primo vive l’esperienza che propone, in particolare attraverso due aspetti: porre domande e fare connessioni.

Niente è più interessante e provocatorio di un docente personalmente coinvolto nella lettura, tanto da connettere il testo alla propria esperienza e porsi domande davanti ai propri alunni, invitando ad un dialogo sincero. Spesso facciamo domande che spaventano o che sono ovvie o che contengono già indicazione della risposta: fare le domande giuste al momento giusto è un’arte da imparare (cfr. Chambers A., Il lettore infinito. Educare alla lettura fra ragioni ed emozioni, Equilibi 2015; Id., Siamo quello che leggiamo, Equilibi 2011); servono domande autentiche, aperte a diverse possibilità di risposta, generatrici di altre domande. Per questo la lettura a voce alta del docente è il cuore del laboratorio: in quel momento i ragazzi imparano “come si fa”, vedendo come chi legge muove il proprio pensiero e il proprio cuore dentro al testo (thinking talking, thinking aloud); le scelte dei personaggi, i conflitti, i temi, i simboli, le connessioni col mondo, tutto avviene davanti ai ragazzi in modo vivo, non dentro i commenti dell’antologia, tramite le note, i pensieri, le reazioni del docente, quasi per immersione. Leggere diventa dunque avvenimento, guardando chi legge.

Capiamo bene quindi che parlare di routine e strategie e organizzatori grafici (altra parola tipica del Wrw, Writing and Reading Workshop) non indicano procedure meccaniche che sostituiscono gli altrettanto meccanici esercizi dei nostri libri in adozione; sono invece qualcosa che permette allo studente di imitare il prof, sperimentandosi con il proprio testo (scelto, non imposto); sono il supporto con cui lo studente impara a sciogliere i nodi del proprio pensiero e a dare forma al proprio giudizio personale sul testo.

In tal modo, l’interpretazione del testo diventa cruciale (non il cappello finale a precedenti analisi esteriori formali), perché il dialogo fra studente e testo è reale e vivo. Come fare perché essa non sia fuorviante o non generi fraintendimenti? Non esiste una soggettività assoluta davanti al testo e il “come lo sai?” diviene domanda ineludibile per i giovani lettori, che vivono il confronto con l’alterità, cioè l’autore stesso del testo.

Ancora una volta, una domanda rilancia ed amplia l’orizzonte delle infinite possibilità ed il docente per primo dovrà avere il coraggio di navigare tenendo la rotta, ma anche disponibile a seguire percorsi imprevisti. E ancora una volta siamo noi prof a doverci interrogare…

 Il Sussidario

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