sabato 11 febbraio 2023

LA FOIBA DEI RAGAZZI

 Quasi 500 studenti della scuola “Parise”, nel vicentino, hanno raccolto in un volume la storia dell’abisso, scoperto nel 2020,  nel quale fu ucciso almeno un centinaio di giovanissimi

 - di LUCIA BELLASPIGA

 «Anch’io ho diritto di sapere! », sbotta Martina all’inizio del romanzo. La sua è la ribellione adolescenziale verso un padre e un nonno che, per proteggerla, l’hanno sempre tenuta all’oscuro di un passato familiare doloroso. Eppure il grido della ragazza metaforicamente simboleggia la rabbia verso un altro silenzio, quello che realmente ha tenuto all’oscuro per decenni l’Italia sulle sorti di una parte della stessa popolazione italiana, gli istriani, i fiumani e i dalmati perseguitati dal regime di Tito, eliminati con sommarie esecuzioni, cacciati dalle loro terre alla fine della seconda guerra mondiale. 

Un capitolo di storia troppo scomodo per tanti, dunque seppellito.

È a questo silenzio, rotto solo da vent’anni, che vuol porre rimedio. La foiba dei ragazzi, romanzo storico appena edito da Loescher (pagine 160) e scritto da quasi 500 studenti di seconda e terza media di ben 21 classi. Un’operazione che sulla carta avrebbe dell’impossibile, ma che è divenuta realtà nella scuola statale “Parise” di Arzignano e Montorso Vicentino, dove i cinquecento ragazzi, guidati da un team di educatori in scrittura creativa, hanno lavorato per un anno intero al “romanzo collettivo”, documentandosi a fondo e affrontando con delicatezza uno tra i temi più rilevanti della storia nazionale. Il risultato è un romanzo ben scritto, che racconta i fatti attraverso gli occhi di un’adolescente e così colma un vuoto nella narrativa per ragazzi. 

La trama.

Come richiede il genere del romanzo storico, i fatti realmente avvenuti si alternano alla fantasia: Martina, sedicenne inquieta, parte di nascosto sulle orme del padre Edoardo, storico dell’Università di Pisa, spinta dall’esigenza di comprendere tanti misteri e troppe risposte evasive sul passato della sua famiglia. Approda così in Slovenia e lì non solo incontrerà verità drammatiche come le foibe e l’esodo giuliano-dalmata, ma scoprirà amaramente che quella tragedia la riguarda da vicino. Questa la trama. Ma le indagini di Martina diventano il pretesto per raccontare con rigore tanti capitoli di questa storia tuttora troppo sconosciuta, citando fatti veri e testimoni ancora in vita. In fondo è esattamente ciò che richiede la legge sul Giorno del Ricordo (istituito nel 2004 da un Parlamento unanime come di rado accade), che alla scuola attribuisce proprio il compito di approfondire le vicende e tramandare l’identità degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate. L’operazione è a dir poco ardita: lavorare in tanti a un’unica opera su un argomento ancora ostico è una follia, di quelle follie geniali che sfidano l’omologazione e la rinuncia. Ogni classe ha realizzato un capitolo, passando alle altre il testimone, e alla fine un ampio apparato didattico approfondisce concetti odierni come “confine” e “pace”. «Siamo partiti da un articolo del 2020 letto su “Avvenire” che raccontava il ritrovamento in Slovenia di una foiba in cui erano state gettate 250 persone, un centinaio erano ragazzini», spiega il preside Pier Paolo Frigotto, appassionato ideatore del progetto. Un ritrovamento dovuto alla “Commissione Statale per l’individuazione delle fosse comuni”, ente sloveno che si occupa del recupero delle vittime uccise dal regime di Tito nel secondo dopoguerra. In questo caso vittime slovene, non italiane, ma cadute sotto i colpi della stessa dittatura. «Ci ha colpito molto la storia di quei ragazzini assassinati in una sola notte del 1945 dalla polizia segreta del regime comunista, in tempo ormai di pace – spiega il dirigente scolastico –, anche loro, come migliaia di altre vittime infoibate, non avranno mai un nome». Proprio da qui, con un salto di decenni, parte l’avventura di Martina, che nel finale trova la commovente soluzione del giallo familiare: almeno uno dei cento ragazzini morti trova un nome, è Joze. Nome inventato, naturalmente, come la sua esistenza, «ma la sua storia rappresenta in modo toccante quella di tutti i giovani uccisi in quella spaventosa notte».

L’onestà intellettuale

Il merito maggiore del libro sta nell’onestà intellettuale degli autori, che non concedono nulla alla retorica horror: con sobrietà e tono asciutto ripercorrono le vicende dei giuliano-dalmati, sia le più note (come il “treno della vergogna”, assalito sui binari di Bologna nonostante trasportasse esuli affamati e innocenti), sia quelle incredibilmente ancora sconosciute ai più, come la strage di Vergarolla (la spiaggia di Pola, in Istria), dove il 18 agosto del 1946 l’esplosione di ventotto ordigni causò la morte di un centinaio di bagnanti, molti dei quali bambini. Fu il primo attentato terroristico nella Repubblica italiana e il più sanguinoso, ma quasi nessuno ne parla… Questo libro sì. Notevole anche la “contestualizzazione” con cui i ragazzi del “Parise” inseriscono la strage dei giuliano dalmati in un contesto molto più ampio: « È probabile che in questa foiba non ci siano italiani ma sloveni, croati, cattolici e oppositori di Tito », scrivono, ma poi specificano che «italiani oppure no non cambierebbe nulla, sono persone che hanno sofferto a causa della follia umana ». Un passaggio fondamentale, sull’onda di quanto fanno da qualche anno le repubbliche di Croazia e Slovenia (nate dalla disgregazione della Jugoslavia), restituendo al maresciallo jugoslavo il suo giusto posto tra i dittatori che insanguinarono il XX secolo (ancora in Italia alcune piazze gli sono dedicate…) e a noi popoli del XXI secolo la riconciliazione e il reciproco perdono.

La scrittura collettiva

Lo storico Raoul Pupo, una delle voci più autorevoli, plaude all’“ottima iniziativa” del “Parise”, “sia per l’idea della scrittura collettiva, sia per i contenuti: il taglio del racconto è coinvolgente, l’apparato didattico interessantissimo”. «Un bel lavoro che salutiamo con emozione – commenta anche Giuseppe de Vergottini, presidente di FederEsuli –. È una storia che provoca stupore e incredulità in chi per la prima volta ne scopre i dettagli e viene a sapere che nelle foibe dell’entroterra giuliano, istriano e dalmata giacciono anche i resti di ragazzini coetanei degli autori».

È vero, La foiba dei ragazzi è un romanzo di ragazzi per altri ragazzi, il passaggio di testimone tra una generazione sfortunata, che conobbe la ferocia del Novecento, e quella di oggi, che può sperare in un’Europa migliore.

 www.avvenire.it

 

 

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