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domenica 22 agosto 2021

IL SILENZIO: COMUNICAZIONE EFFICACE

“Il silenzio è la lingua di Dio ma anche il linguaggio dell'amore. …. Tutti abbiamo bisogno del silenzio per scoprire l’altro, umano o divino che sia. È un linguaggio necessario. Quando due persone si vogliono veramente bene, riescono a trasmettere il loro amore anche solo guardandosi negli occhi, avvicinando i loro volti. Non parlano. Ma quella comunicazione misteriosa, fatta appunto di sguardi, genera vita, voglia di stare insieme, condivisione di un pezzo di strada” (Papa Francesco).



 “Abbiamo due orecchie ed una sola bocca”, scommetto che forse hai già sentito questa frase altrove, è una banalità che però spiega molto bene l’importanza dell’ascolto. E l’ascolto può avvenire solo se stai “in silenzio”, una cosa che oggi si nota sempre più raramente tra le persone, che tendono a parlarsi sopra ecc. Il silenzio “dentro e fuori” Come hai avuto modo di sentire il silenzio di cui parliamo oggi non è solo quello “vocale” ma è anche un silenzio interiore, questione che abbiamo già trattato parlando del bellissimo Thích Nhất Hạnh. Ma tecnicamente tutto inizia con il rendersi conto che restare in silenzio è terribilmente difficile soprattutto durante le conversazioni con le persone che conosciamo. Perché, conoscendole, ci sembra di sapere dove vogliono andare a parare, ci sembra di anticipare i loro discorsi e quindi tendiamo ad anticipale. Questo è solo uno dei motivi per cui “odiamo il silenzio”. 
Un altro motivo è legato all’immagine che vogliamo proiettare sugli altri. Sembra infatti che le persone silenziose siano “incapaci di comunicare”, incapaci di rispondere. Il silenzio genera in molti questa sensazione, quella di non essere all’altezza della conversazione, quella di dover riempire tutti gli spazi vuoti senza lasciare spazio a dubbi. 
La verità è che “senza spazi vuoti”, senza silenzio non esiste comunicazione. Parlare di continuo è un po’ come suonare uno strumento senza fare alcuna pausa musicale. Un po’ come quando stai imparando una lingua straniera e all’inizio non riesci a distinguere le singole parole, ti è mai capitato? Infatti uno dei trucchi per apprendere una lingua è quello di ascoltarlo prestando attenzione all’aspetto paraverbale, cioè alle pause e alle intonazioni più che al significato delle singole parole. La prossima volta che ascolti una lingua straniera che conosci poco, concentrati sulle pause e sulle intonazioni, dopo poco ti sembrerà di comprenderla meglio. Se le parole e i gesti sono le due peculiarità della comunicazione umana, allora di certo i suoi aspetti ancora più essenziali sono “il suono ed il silenzio”. 
Potremmo scrivere un libro su questa dicotomia perché vale praticamente ovunque nel nostro mondo: luce ed ombra, figura e sfondo, suono e silenzio. E’ in questi opposti che si radica la nostra percezione della realtà. L’immagine del silenzio Oggi una persona silenziosa non è proprio l’immagine del leader, dell’uomo moderno che sa affascinare tutti con le proprie parole, quell’immagine di carisma di cui ci siamo occupati nella scorsa puntata. La gente viene nel mio studio e mi chiede: “Voglio imparare a rispondere adeguatamente al mio capo” oppure al “bar con gli amici” ecc. Nessuno mi ha mai detto “voglio imparare a stare in silenzio”. Perché l’immagine di successo attuale è quella di chi “parla, parla e parla” e non di chi “ascolta e ascolta”. Eppure posso assicurarti che chi sa davvero comunicare sa anche gestire bene questi due aspetti. 
Parlare e ascoltare sono ancora una volta  facce della stessa medaglia. Se parli sempre senza ascoltare ad un certo punto la gente se ne accorgerà e smetterà anche di ascoltare te. “Dare per ricevere” è una delle regole fondamentali della condotta umana. Se non doni ascolto e attenzione al prossimo prima o poi nessuno lo farà anche con te. La forza del silenzio Se ricordi nella puntata dedicata alla negoziazione abbiamo visto che all’interno delle strategie più potenti è sempre presente “il silenzio” e la capacità di ascolto. Chiunque svolga un lavoro di negoziazione, di vendita di mediazione sa perfettamente che il silenzio ha una forza dirompente. Sa bene quando è il momento di chiudere la bocca e ascoltare. Provaci davvero, se sei una persona che desidera riempire tutti gli spazi, sforzati di restare in silenzio e sarai sorpreso dall’effetto incredibile di questo “spazio”. Inoltre la ricerca ha provato che chi si prendere “il suo tempo” durante le conversazioni in realtà non veicola un’immagine debole, come siamo portati a pensare. Ma in realtà è come se “si prendesse più spazio”, proprio come quando ti viene detto di “occupare spazio fisico” durante le interazioni per dare un senso di padronanza della situazione. La presenza E’ chiaro che tutto questo discorso ha molto a che fare con la nostra cara “presenza” cioè con la capacità di osservare il momento presente senza giudicarlo e senza reagirvi. Sono infatti i nostri “pensieri” uno degli ostacoli più grandi alla capacità di restare in silenzio. E’ una abilità straordinaria quella di riuscire ad anticipare i discorsi degli altri ma non è sempre utile farlo. Mentre leggi queste parole una parte di te sta anticipando ciò che sto per scrivere, è del tutto normale. 
Il nostro cervello è essenzialmente una macchina che fa previsioni sulla realtà. Quando parliamo con le persone, soprattutto se le conosciamo bene, abbiamo come l’impressione che ci stiano dicendo “sempre le stesse cose”, e magari in parte è un po’ così. Ma la verità è che noi utilizziamo spesso un numero ristretto di parole e di argomenti, è normale pensare di riconoscerli tutti ma se ti sforzi a restare un po’ di più in silenzio, scopri che le parole hanno sempre significati leggermente diversi e nuovi. Il potere che ci consente quasi “di leggere la mente” degli altri è incredibilmente positivo quando è una buona mentalizzazione ed incredibilmente dannoso quando non la è. Mentalizzare non significa anticipare Quando una persona è in grado di mentalizzare significa che è capace di tenere conto della mente delle altre persone, ne abbiamo parlato diverse volte durante questi anni. E’ qualcosa di molto simile al concetto di “empatia” ma che lo travalica perché non si tratta solo di sentire ciò che potrebbe sentire l’altro ma anche di capire, c’è una componente cognitiva. Questa “componente” è quella che ti consente anche di comprendere che la tua mentalizzazione è solo un’ipotesi su cosa sta pensando l’altro e non una assoluta verità. Se la mentalizzazione fosse “assolutamente certa” non sarebbe tale, ma sarebbe una lettura nel pensiero, qualcosa di psico-magico che di tanto in tanto ci riesce ma che a poco a che vedere con una buona comunicazione. 
Un bravo comunicatore sa che le proprie idee sull’altro sono “solo idee” e che dovrà adattare il proprio discorso in base a ciò che accade “qui ed ora” e non alle sue aspettative. Il silenzio come presenza Se ci pensi bene non puoi stare a lungo in silenzio durante una conversazione, o meglio se stai in silenzio ma sei assente non puoi sostenere la comunicazione. Perché o sei completamente dissociato, cioè talmente distratto da non ascoltare ciò che ti dice il prossimo oppure lo stai ascoltando attentamente. La tendenza a scappare nei pensieri è del tutto normale ma anomala. Prova a passare 20 minuti con un amico e sforzati di non ascoltarlo restando in silenzio. Di certo dopo poco inizierai a sentirti strano, inizierai a notare che lui sta notando la tua “assenza”. Lo so che è normale perdersi pezzi di comunicazione perché si sta pensando ad altro, ma se ci sforziamo di restare in silenzio come “metodo” sicuramente ci rendiamo conto di questa differenza. 
Il silenzio comunica, comunica spazio ed apertura. Guardare negli occhi il tuo interlocutore senza ascoltarlo non solo è inutile e porta alla chiusura della conversazione, ma è anche quasi impossibile! L’intenzione del silenzio Per cui se intenzionalmente stai un “po’ più zitto” ti accorgerai di una sorta di apertura naturale verso il prossimo. Basta poco, un attimo di pausa prima di dire la tua, anche quando vieni interpellato direttamente. Basta l’intenzione di lasciare uno spazio di silenzio, anche molto piccolo se sei come me, cioè impaziente di dare risposte all’altra persona. Prenditi una piccola pausa e noterai piccoli miracoli. Il silenzio Immagina un mio collega che non ha voglia di ascoltare il paziente, secondo te farà bene o bene a non ascoltarlo? E’ ovvio che da un punto di vista clinico farà molto male al paziente, ma a se stesso? La verità è che farà male anche se stesso, perché quelle parole (spesso di sofferenza) gli entreranno dentro senza che neanche se ne accorga. 
La presenza nella conversazione all’inizio “può far male” ma è anche una difesa. Forse è proprio questa una delle paure di chi parla di continuo senza lasciare spazio agli altri: quella di essere invaso a sua volta dalle persone dell’altro, proprio come fa lui. Per gli addetti ai lavori, è una sorta di proiezione. Meno pensi di essere ascoltato e più parli A meno che tu non sia particolarmente timido meno credi che gli altri siano disposti ad ascoltarti e più, non appena hai l’occasione (stra) parli. Cogli l’occasione per riuscire a dire anche la tua. Ecco sappi che questo atteggiamento oltre ad essere controproducente per la tua comunicazione, funziona un po’ come la profezia che si auto-realizza. Esempio: temo che gli altri non mi ascoltino, allora quando ne ho occasione urlo e parlo di brutto, questo irrita i miei interlocutori che daranno segnali (verbali e non verbali) di fastidio che confermeranno la mia ipotesi di partenza. Insomma ragazzi gestire il silenzio è un’abilità preziosa che richiede sforzo ed impegno, perché non siamo stati abituati a farlo se non in rare e circoscritte occasioni.


domenica 26 gennaio 2020

ADOLESCENTI, L'ARTE DI ACCOMPAGNARLI


Servono più genitori ed educatori 
e meno psichiatri

 


Bellezza, denaro, morte, corpi, vecchiaia, attesa, le droghe che sono una maschera. Lo psichiatra racconta con onestà gli adolescenti di oggi. «La soluzione migliore per lavorare con loro è accettare e dire che non sappiamo chi sono. E aggiungo: essere adolescenti significa, prima di tutto,"essere contro". Preoccupatevi quindi di quelli che non hanno conflitti»

 

Vittorino Andreoli, psichiatra, è intervenuto durante il seminario “Adolescenti e dipendenze” organizzato dalla Fondazione Exodus di don Mazzi. Andreoli restituisce un’immagine degli adolescenti inedita. E per farlo parte della dipendenza: «Il problema della dipendenza è grande. Ma per parlarne dovremmo partire dalla nostra vita e della società, solo così possiamo capire quella dei nostri figli».
Chi sono gli adolescenti di oggi?
Non c’è nessuna dottrina in grado di spiegare chi è l’adolescente. Vive dentro la società ma muta continuamente. La soluzione migliore per lavorare con loro è accettare e dire che non sappiamo chi sono, solo cosi potremmo conoscerli meglio. Poi, bisogna guardare all’adolescenza nel mondo e nell’ambiente. Non è possibile separare i ragazzi, decontestualizzarli. Mi chiedete chi sono gli adolescenti? Per me giovani che vivono in un’età difficile ma piena di fascino e che meritano di essere non aiutati ma capiti. Io non ho formule, sia chiaro, ma solo alcune considerazioni.
Quali?
La prima – fondamentale – è che l’adolescenza non è una malattia. Sembrerà banale sottolinearlo, ma ormai c’è la tendenza a considerarla tale appena si presenta un problema, anche minimo. L’adolescenza è una fase dell’esistenza che ha delle caratteristiche precise. Come la vecchiaia d’altronde, che pure è una fase straordinaria dell’esistenza con caratteristiche proprie da cui non bisogna scappare, anzi bisogna viverle perché hanno grande senso e valore nel mondo sociale. Ecco la vecchiaia c’entra molto con l’adolescenza. Questi giovani hanno bisogno dei vecchi, del rapporto con i nonni: perché la figura del nonno rappresenta la storia e bisogna far sentire all’adolescente che anche lui si inserisce in una storia, e la storia si capisce solo in relazione a chi è più grande. Adolescenza e vecchiaia non sono diversissime tra loro.
In alcuni adolescenti la bellezza è diventata un trauma. Se non sei bello sei da buttare.
Da cosa è caratterizzata questa età?
Essere adolescenti significa, prima di tutto, essere contro. E questo dipende da una percezione del mondo che vorrebbero diverso. Ma non perché non gli piaccia la famiglia, la mammà, il papà, o la casa. Ma perché in qualche modo devono trovare un equilibrio, una sincronia tra il loro mondo che sta cambiando e quello che hanno attorno. “Sono contro” perché non si sentono più simmetrici: l’adolescenza è una metamorfosi. E sono conviti che sia il modo a dover cambiare e non loro ad aspettare di cambiare, di trasformarsi appunto.
Non sanno aspettare?
Bisogna amarla l’attesa. Oggi, e questo non riguarda più solo gli adolescenti, nessuno sa più aspettare. Si vuole tutto subito. Invece l’attesa vuol dire poter vedere che cos’è la crescita, la curiosità. Attesa significa saper immaginare. Quello che dobbiamo insegnare è la pazienza. Ma “essere contro” non significa conflitto, non è una patologia. Abbiamo considerato il conflitto una patologia per molti anni. Senza accettare che esiste anche un conflitto positivo, che alla fine è quello che si verifica con più frequenza negli anni dell’adolescenza. “Essere contro” è fondamentale, preoccupatevi di quelli che non hanno conflitti.
Quali sono le altre possibilità?
Poi ci sono le adolescenze difficili e quelle malate, ma non sono la regola. È questo che dobbiamo capire.
In quanti modi si può essere contro?
Io ne riconosco tre. Utilizzando la trasgressione, i ragazzi che seguono le regole e in maniera ritmica le infrangono per poi rientrarci. Poi si può essere oppositivi. Oppositivo è il ragazzo che dice sempre no a tutto, dice di no anche quando vorrebbe dire sì. L’opposizione è una dipendenza al contrario e in questo caso il ragazzo va aiutato.
Le droghe sono le maschere che gli adolescenti usano perché non si piacciono, con le droghe l’adolescente si percepisce diverso
Vittorino Andreoli
Come si supportano i ragazzi durante gli anni dell’adolescenza?
Nella nostra società c’è bisogno di sicurezza. La nostra è la società della paura. Ogni giorno ci facciamo sollecitare, oltre che da quella esistenziale, anche da tante altre paure. La paura è uno strumento difensivo che ci permette di riconoscere i rischi ma noi la stiamo esasperando. E allora come facciamo da insicuri a supportare gli adolescenti nelle loro insicurezze? Nell’adolescente l’insicurezza ha una via potentissima e privilegiata.
E il rapporto con le dipendenze?
Tutto è cambiato e continua a cambiare velocemente. In 10 anni si sono diffuse altre 600 nuove sostanze. E il rapporto tra gli adolescenti e le sostanze è molto cambiato.
In che senso?
Partiamo dalla bellezza, occupiamoci della bellezza. Ormai è diventata un trauma. Una specie di imperativo. Se non sei bello sei da buttare. Ma sentirsi orrendi è la condizione più ricorrente nell’adolescenza. Proprio perché è una condizione di trasformazione. E gli adolescenti non sanno come cambierà il corpo e se sarà uguale all’immagine stabilita dai giornali di moda. Domina la bellezza di superficie in questa società dei sacerdoti della dieta. Questa società sta ossessionando l’adolescenza. Ma la bellezza è un’altra cosa. C’è la bellezza del modo di fare, del sorriso, dello sguardo. Quindi per evitare che i ragazzi cadano nel circolo delle dipendenze, la prima cosa, è aiutarli parlando con loro della bellezza. Discutere con loro su che cos’è essere belli. Altrimenti si corre il rischio di buttarsi via, e ci sono tanti modi per farlo: usando le sostanze per non sentirsi più brutti, bere cinque bicchieri di vino alla volta perché così si sballano e non si sentono più preoccupati per il naso o non so che cosa. Il secondo tema è il denaro, che è un vero problema per l’adolescente. Perché se non hai quei venti euro li devi avere, diventa una questione di vita o di morte, di morte sociale. Poi se non hai denaro e avverti la bruttezza è difficile girare per strada. Ci sono persone brutte che vogliono morire e la droga si inserisce in questo malessere per essere la maschera. Le droghe sono le maschere che gli adolescenti usano perché non si piacciono, con le droghe l’adolescente si percepisce diverso. Attenua il dolore. La terza parola è la morte. Non si parla mai di morte, la morte è un tabù. Eppure se parliamo di morte possiamo spiegare ai ragazzi che cosa significa essere in questo mondo, e che la vita è un’esperienza straordinaria, basta superare delle difficoltà e non credere che tutto sia legato al denaro.
Dobbiamo dire della bellezza di vivere, raccontare la gioia di vivere. L’amore è una grande cosa e anche il corpo è una cosa meravigliosa, le persone con il corpo si devono amare. Il corpo l’ha dato il Padreterno quindi basta con questi tabù. Basta vederlo come qualcosa di osceno. Il corpo è un’espressione straordinaria, gli educatori la devono raccontare questa cosa ai loro ragazzi. Perché non dire dell’umanità straordinaria e della bellissima storia di essere amati e che se perdiamo – attraverso le sostanze – la sensazione della nostra fragilità queste cose non possiamo ricordarcele.

Testo raccolto durante il seminario “Adolescenti e dipendenze” organizzato dalla Fondazione Exodus di don Mazzi