L’identità non si esaurisce nell’autocoscienza, si compie nell’amore
La persona non è tale
se chiusa in sé, ma se aperta all’altro e all’Altro
L’elezione
di Leone XIV ha rilanciato l’interesse non solo sulla dottrina sociale della
Chiesa ma prima ancora per sant’Agostino, il padre della Chiesa del IV secolo
di cui Prevost è figlio spirituale come religioso della famiglia agostiniana, a
lungo priore generale. Se c’è un tratto che spicca nel pensiero di papa Leone è
il saldo, esplicito e costante radicamento nel pensiero del vescovo di
Ippona, che nelle parole di Prevost ci sta mostrando tutta la sua eccezionale
attualità. Paola Muller, profonda conoscitrice del pensiero di Agostino,
docente di Filosofia medioevale all’Università Cattolica di Milano, ci
accompagna in un viaggio nei grandi temi cari ad Agostino (e a Leone).
L’identità
L’ identità
non è una struttura rigida, ma una “distensione dell’animo”, un racconto che si
svolge nel tempo e trova senso solo in rapporto all’eternità. In un’epoca come
la nostra in cui tutto è misurato dal presente, Agostino ci ricorda che l’io è
anche memoria e attesa. Senza storia da ricordare e senza un orizzonte a
cui tendere, l’identità si dissolve. È nel confronto tra finito e infinito che
l’uomo scopre la propria misura e la propria apertura. Oggi tendiamo a
sovrapporre i concetti di individuo, soggetto e persona. Agostino, pur non
usando questi termini con il nostro stesso significato, ne intuisce le
distinzioni. L’individuo è l’essere umano nella sua singolarità empirica; il
soggetto è chi prende coscienza di sé; la persona è l’essere capace di
relazione. E proprio qui sta la svolta agostiniana: l’identità non si esaurisce
nell’autocoscienza, ma si compie nell’amore. La persona non è tale se chiusa in
sé, ma se aperta all’altro e all’Altro. L’uomo, creato a immagine di Dio, è
relazione, comunione, dono.
«
I l mio amore è il mio peso: da esso sono portato ovunque vada»
(Confessioni, XIII, 9.10). Con questa immagine potente, Agostino colloca
l’amore al cuore stesso dell’identità personale. Non siamo ciò che diciamo, né
ciò che possediamo: siamo, in definitiva, ciò che amiamo. È l’ordo amoris –
l’ordine giusto degli amori – a dare forma e coerenza all’io. Se l’uomo orienta
il proprio amore verso il Bene sommo, cioè verso Dio, trova unità, pace e
verità. Se invece si volge ai beni effimeri, si disperde, si frammenta, si
smarrisce. L’io agostiniano non è mai neutro, né riducibile a una pura
razionalità: è una volontà orientata, un desiderio in cammino. L’identità,
quindi, non si costruisce solo con la ragione, ma si compie nella libertà del
cuore.
L’amore
L’amore è, per Agostino, la radice
dell’identità e insieme la direzione del suo compimento: orienta la vita, ne è
il centro di gravità. Ma amare significa anche trasformare la propria
finitezza. Quella fragilità originaria che accompagna ogni uomo fin dalla
nascita può essere trasfigurata in una tensione verso l’eterno. L’amore diventa
così via di superamento dei limiti, anticipo di immortalità. I l
valore autentico di una persona – la sua consistenza – si misura dunque nella
qualità e nella direzione del suo amore. È l’amore che plasma il destino, nella
vita presente e oltre la soglia della morte. Per questo risuona, ancora oggi
con forza, l’esortazione agostiniana: «Ama e fa’ ciò che vuoi» (Commento alla
prima Lettera di Giovanni, 7, 8). Non è un invito all’arbitrio, ma il
riconoscimento che l’amore, se è autentico, orienta l’intera esistenza. E
tuttavia, per comprendere ciò che si ama e da che cosa si è attratti, è
necessario ritrovare se stessi. Ed è qui che entra in scena un’altra dimensione
fondamentale dell’io: la memoria.
La
memoria
Nel
libro X delle Confessioni, Agostino la descrive come un “palazzo immenso”
capace di contenere immagini, conoscenze, emozioni. Ma la memoria non è
solo archivio: è il luogo in cui l’io si raccoglie e si ritrova. È lì che
prende coscienza di sé come continuità e come storia. E proprio lì, nel fondo
della memoria, Agostino scopre Dio: «Tardi ti amai, bellezza tanto antica e
tanto nuova, tardi ti amai. Tu eri dentro di me, e io fuori: lì ti cercavo»
(Confessioni, X, 27.38). L’identità non è solo biografica, ma anche teologica:
la memoria custodisce la presenza di un Altro che ci ha fatti, ci conosce, ci
chiama.
Per
Agostino, l’io non è un dato biologico, né una costruzione arbitraria: è una
vocazione. L’identità non si possiede, si riceve. L’uomo è creato a immagine di
un Dio che è relazione, memoria, amore. Ma questa immagine può offuscarsi, per
la distrazione, per il peccato, per l’oblio. Per questo è necessario un ritorno
interiore, sostenuto dalla grazia: solo rientrando in sé e aprendosi alla
verità, l’uomo può ritrovare se stesso. La vera identità, per Agostino, è
quella filiale: l’uomo è figlio di Dio. È solo in questa relazione che scopre
il proprio nome, il proprio volto, la propria dignità. Nel De civitate
Dei, Agostino estende questa riflessione sul sé in chiave storica e
comunitaria. L’uomo non è solo un essere interiore, ma anche un cittadino,
parte di una storia condivisa. Due città si confrontano: la civitas
Dei, fondata sull’amore di Dio, e la civitas terrena,
edificata sull’amore di sé. Non sono luoghi, ma orientamenti del cuore. L’io
non nasce solo nella solitudine della coscienza, ma anche nell’appartenenza,
nella responsabilità, nella testimonianza pubblica. L’identità personale
diventa così anche vocazione civica. Non si è se stessi da soli. I n
un’epoca come la nostra, che oscilla tra la frammentazione dell’io e la sua
assolutizzazione, Agostino offre un’immagine dell’identità profondamente
attuale.
L’io
L’io
non è un’essenza fissa, ma nemmeno un costrutto fluido e indefinito. È una
realtà viva, che si sviluppa nel tempo, nello spazio della memoria, nella
verità dell’amore.
Alla
domanda «Chi sono io?», Agostino non risponde con una formula, ma con un
itinerario. L’identità non è qualcosa da afferrare, ma un cammino da
percorrere. L’uomo è un essere inquieto, che ama, che ricorda, che cerca. È
soggetto, è anima, è persona in relazione.
Ed
è, soprattutto, una creatura fatta per Dio. Solo in Lui trova pace.
In
un tempo in cui l’io sembra smarrito, Agostino ci invita a rientrare in noi.
Non per isolarci, ma per aprirci a ciò che di più vero ci abita. L’interiorità,
riscoperta come luogo della verità, ci sottrae all’illusione dell’apparenza; la
memoria, vissuta come radice del sé, ci riconnette al passato e orienta il
futuro; la relazione, intesa come pienezza dell’identità, ci libera
dall’isolamento individualista e ci restituisce alla comunione.
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