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giovedì 10 luglio 2025

CHI SONO IO ?


L’identità non si esaurisce nell’autocoscienza, si compie nell’amore

 La persona non è tale se chiusa in sé, ma se aperta all’altro e all’Altro

 Per l’Ipponate, Agostino, la verità non si trova nel mondo esterno ma nell’interiorità, che è spazio spirituale, sede di memoria, intelligenza e volontà: tre facoltà riflesso della Trinità nell’anima

L’elezione di Leone XIV ha rilanciato l’interesse non solo sulla dottrina sociale della Chiesa ma prima ancora per sant’Agostino, il padre della Chiesa del IV secolo di cui Prevost è figlio spirituale come religioso della famiglia agostiniana, a lungo priore generale. Se c’è un tratto che spicca nel pensiero di papa Leone è il saldo, esplicito e costante radicamento nel pensiero del vescovo di Ippona, che nelle parole di Prevost ci sta mostrando tutta la sua eccezionale attualità. Paola Muller, profonda conoscitrice del pensiero di Agostino, docente di Filosofia medioevale all’Università Cattolica di Milano, ci accompagna in un viaggio nei grandi temi cari ad Agostino (e a Leone).

 -di PAOLA MULLER

 «Chi sono io?» – una domanda antica quanto l’uomo, che in Agostino d’Ippona (354-430) acquista un significato nuovo. Per lui, la ricerca dell’identità non nasce da un’esigenza astratta, filosofica o psicologica, ma da un’esperienza vissuta: l’inquietudine del cuore, la fragilità della vita, il dolore, la morte. E insieme, il desiderio di verità e di bene. La vita dell’Ipponate è infatti attraversata da un quaerere continuo, una ricerca che coinvolge l’uomo nella sua interezza. Interrogarsi su di sé significa iniziare un cammino che conduce alla verità e, nella verità, all’incontro con Dio. L’inquietudine che apre le Confessioni – «Ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (Confessioni, I, 1.1) – non è un semplice disagio esistenziale, ma il motore stesso della ricerca dell’identità. Agostino non si limita a pensare l’io: lo racconta, lo interroga, lo vive. Lo fa mettendosi in gioco in prima persona: «Sono diventato un grande enigma per me stesso » (Confessioni, X, 33.50). Una dichiarazione che inaugura la ricerca occidentale sulla soggettività, senza separarla dalle sue radici teologiche. P er Agostino, la verità non si trova nel mondo esterno, ma nell’interiorità. «Non uscire fuori: rientra in te stesso. Nell’uomo interiore abita la verità» (La vera religione, 39, 72). È un invito che contiene un’intera antropologia: l’uomo è corpo e anima, ma è nell’anima – nella sua profondità spirituale – che si apre la possibilità di incontrare Dio. L’interiorità non è introspezione psicologica, ma spazio spirituale: sede della memoria, dell’intelligenza, della volontà. In queste tre facoltà – memoria, intelletto, volontà – Agostino scorge il riflesso della Trinità nell’anima. La notitia sui, la conoscenza che l’anima ha di se stessa, non è un sapere teorico, ma esperienza viva. Sapere di esistere, di pensare, di amare: è in questa consapevolezza che l’uomo ritrova se stesso.

L’identità

L’ identità non è una struttura rigida, ma una “distensione dell’animo”, un racconto che si svolge nel tempo e trova senso solo in rapporto all’eternità. In un’epoca come la nostra in cui tutto è misurato dal presente, Agostino ci ricorda che l’io è anche memoria e attesa. Senza storia da ricordare e senza un orizzonte a cui tendere, l’identità si dissolve. È nel confronto tra finito e infinito che l’uomo scopre la propria misura e la propria apertura. Oggi tendiamo a sovrapporre i concetti di individuo, soggetto e persona. Agostino, pur non usando questi termini con il nostro stesso significato, ne intuisce le distinzioni. L’individuo è l’essere umano nella sua singolarità empirica; il soggetto è chi prende coscienza di sé; la persona è l’essere capace di relazione. E proprio qui sta la svolta agostiniana: l’identità non si esaurisce nell’autocoscienza, ma si compie nell’amore. La persona non è tale se chiusa in sé, ma se aperta all’altro e all’Altro. L’uomo, creato a immagine di Dio, è relazione, comunione, dono.

« I l mio amore è il mio peso: da esso sono portato ovunque vada» (Confessioni, XIII, 9.10). Con questa immagine potente, Agostino colloca l’amore al cuore stesso dell’identità personale. Non siamo ciò che diciamo, né ciò che possediamo: siamo, in definitiva, ciò che amiamo. È l’ordo amoris – l’ordine giusto degli amori – a dare forma e coerenza all’io. Se l’uomo orienta il proprio amore verso il Bene sommo, cioè verso Dio, trova unità, pace e verità. Se invece si volge ai beni effimeri, si disperde, si frammenta, si smarrisce. L’io agostiniano non è mai neutro, né riducibile a una pura razionalità: è una volontà orientata, un desiderio in cammino. L’identità, quindi, non si costruisce solo con la ragione, ma si compie nella libertà del cuore.

L’amore

 L’amore è, per Agostino, la radice dell’identità e insieme la direzione del suo compimento: orienta la vita, ne è il centro di gravità. Ma amare significa anche trasformare la propria finitezza. Quella fragilità originaria che accompagna ogni uomo fin dalla nascita può essere trasfigurata in una tensione verso l’eterno. L’amore diventa così via di superamento dei limiti, anticipo di immortalità. I l valore autentico di una persona – la sua consistenza – si misura dunque nella qualità e nella direzione del suo amore. È l’amore che plasma il destino, nella vita presente e oltre la soglia della morte. Per questo risuona, ancora oggi con forza, l’esortazione agostiniana: «Ama e fa’ ciò che vuoi» (Commento alla prima Lettera di Giovanni, 7, 8). Non è un invito all’arbitrio, ma il riconoscimento che l’amore, se è autentico, orienta l’intera esistenza. E tuttavia, per comprendere ciò che si ama e da che cosa si è attratti, è necessario ritrovare se stessi. Ed è qui che entra in scena un’altra dimensione fondamentale dell’io: la memoria.

La memoria

Nel libro X delle Confessioni, Agostino la descrive come un “palazzo immenso” capace di contenere immagini, conoscenze, emozioni. Ma la memoria non è solo archivio: è il luogo in cui l’io si raccoglie e si ritrova. È lì che prende coscienza di sé come continuità e come storia. E proprio lì, nel fondo della memoria, Agostino scopre Dio: «Tardi ti amai, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti amai. Tu eri dentro di me, e io fuori: lì ti cercavo» (Confessioni, X, 27.38). L’identità non è solo biografica, ma anche teologica: la memoria custodisce la presenza di un Altro che ci ha fatti, ci conosce, ci chiama.

Per Agostino, l’io non è un dato biologico, né una costruzione arbitraria: è una vocazione. L’identità non si possiede, si riceve. L’uomo è creato a immagine di un Dio che è relazione, memoria, amore. Ma questa immagine può offuscarsi, per la distrazione, per il peccato, per l’oblio. Per questo è necessario un ritorno interiore, sostenuto dalla grazia: solo rientrando in sé e aprendosi alla verità, l’uomo può ritrovare se stesso. La vera identità, per Agostino, è quella filiale: l’uomo è figlio di Dio. È solo in questa relazione che scopre il proprio nome, il proprio volto, la propria dignità. Nel De civitate Dei, Agostino estende questa riflessione sul sé in chiave storica e comunitaria. L’uomo non è solo un essere interiore, ma anche un cittadino, parte di una storia condivisa. Due città si confrontano: la civitas Dei, fondata sull’amore di Dio, e la civitas terrena, edificata sull’amore di sé. Non sono luoghi, ma orientamenti del cuore. L’io non nasce solo nella solitudine della coscienza, ma anche nell’appartenenza, nella responsabilità, nella testimonianza pubblica. L’identità personale diventa così anche vocazione civica. Non si è se stessi da soli. I n un’epoca come la nostra, che oscilla tra la frammentazione dell’io e la sua assolutizzazione, Agostino offre un’immagine dell’identità profondamente attuale.

L’io

L’io non è un’essenza fissa, ma nemmeno un costrutto fluido e indefinito. È una realtà viva, che si sviluppa nel tempo, nello spazio della memoria, nella verità dell’amore.

Alla domanda «Chi sono io?», Agostino non risponde con una formula, ma con un itinerario. L’identità non è qualcosa da afferrare, ma un cammino da percorrere. L’uomo è un essere inquieto, che ama, che ricorda, che cerca. È soggetto, è anima, è persona in relazione.

Ed è, soprattutto, una creatura fatta per Dio. Solo in Lui trova pace.

In un tempo in cui l’io sembra smarrito, Agostino ci invita a rientrare in noi. Non per isolarci, ma per aprirci a ciò che di più vero ci abita. L’interiorità, riscoperta come luogo della verità, ci sottrae all’illusione dell’apparenza; la memoria, vissuta come radice del sé, ci riconnette al passato e orienta il futuro; la relazione, intesa come pienezza dell’identità, ci libera dall’isolamento individualista e ci restituisce alla comunione.

  www.avvenire.it

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